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lunedì 19 settembre 2011

SEMIFINALI DAVIS CUP – "NO MAS". IL LARMANTE ABBANDONO DI NOLE


Perde ancora, Novak Djokovic, senza perdere. Altro abbandono e “no mas”, che ben si appaia all’estivo k.o. di Cincinnati. Il nuovo padrone dell’Atp ormai cede ad un umano avversario solo quando non sta in piedi, è ovvio, lapalissiano. Al meglio della condizione può perdere solo per fatalità o da Gesù travestito da ispirato mojcano. Ma questa sconfitta-abbandono ha un sapore ancor più amaro (per me dolcissimo come una sambuca con la mosca di primo mattino), perché davanti al suo invasato pubblico, in un match di Davis ove l’ultrà nazionalista (è voluto, questo lezioso calambour) difendeva i gloriosi colori della Serbia detentrice del titolo ed a caccia di un’altra finale. Un set di insostenibile supplizio e teatrale esibizione del dolore che potrebbe fargli guadagnare la parte di protagonista nella prossima fiction “i nuovi mostri-la via crucis” (uno strano connubio tra “passione di cristo” e “Rocky horror pictures show”). Lo perde al tie-break con Juan Martin Del Potro, ed inizia il commovente dramma umano ed intima lacerazione dei suoi sentimenti: larme che sgorgano copiose ed inconsolabili, sul volto di ardito combattente che giammai vorrebbe gettare la spugna prima d’aver fatto il segno delle tre dita sul corpo del nemico, vinto e moncato delle falangi. Giammai. E’ la patria che chiama. Quella patria che non conosce il lassista dolore nello ardito milite. Sarà mica una femmina. Ma proprio non sta in piedi. Ci tiene a farcelo capire in tutti i modi. E’ un esibizionista, lo sappiamo. Lui che sottolinea al pubblico newyorkese una stecca di Federer, ricevendone solo altri meritati spernacchiamenti, figurarsi. Esibisce tutto, purtroppo. Non mi piace proprio perché non v'è niente da dover scoprire in lui. Il mistero, qualche arcano segreto della mante. E' come una bella donna (vabbè, forse è paragone stridente e sinistro, visto che ci riferiamo ad "Aigor") che però non ti accende la miccia dell'ignoto, senza mistero o velature da scoprire. Ecco allora smorfie, elongazioni, interventi di solerti luminari, quasi un operazione a cuore aperto. Combattuto tra eroismo estremo e diserzione. La morte sul campo o la resa del vinto.
Totalmente afflitto da 9 mesi di torture sensoriali, non posso che godermi quegli attimi. Fa cenni (ancora) come a convincerci che non vuole abbandonare, lui. Ma sono i medici ad imporlo. La mia teoria è semplice, elementare oserei: Non stai bene? Non giochi. Vuoi fare l'eroe salvatore della patria anche a mezzo servizio? Ne paghi le conseguenze, scendi in campo e becchi i tuoi 6-0 di rito, su una gamba o servendo dal basso con la schiena svitata. E' un altro paradosso mostrarsi eroe a metà. Niente da fare, non v'è spazio per leggendarie gesta antiche ed una gloriosa dipartita in battaglia. Io che l'attendevo fremente. Come sono lontane quelle immagini di un Nalbandian che con dodici muscoli lacerati e senza reggersi in piedi, continuava. Paonazzo e lagrimante (per il dolore) seguitava a tirar palline come un ossesso. Diretto e sorretto da quella magica camiseta albiceleste. Concluse incredibilmente, e vinse anche. Ecco uno dei centoundici motivi per cui è più genuino, vero e sanguigno l'eroismo della Pampa. Sconfitta-non sconfitta-abbandono che sarà anche giustificata dal ben evidente malessere, ma che suona ugualmente come beffa atroce ed ennesimo controsenso di questo figuro che ormai domina le scene. Lascia alfin per dolore delle carni, lui che da provetto sadico non dovrebbe provarlo. Laddove gli insegnamenti basilari che si leggono nel “manuale del piccolo nazionalista”, dettano a chiare lettere l’assoluta superiorità verso ogni forma di dolore fisico. E lo fa mentre combatte per la sua nazione, senza "trastullagini". Orrore, ignominia. Macchiata ancor di più da quelle lacrime da femminuccia. 
Invece se n’è andato singhiozzando sotto le amorevoli cure dei medici e lo sguardo commosso del servo Troicki. Ok, dovevo pur sfogarmi dopo mesi di lingue morsicate e sciropposi amari da mandar giù. Tecnicamente, cambia poco, era già in dubbio all’inizio, il numero uno al mondo. Non aveva nemmeno giocato i primi due singolari. I suoi seguaci combinano disastri, asfaltati da una fortissima Argentina con l’ottimo Del Potro e un Nalbandian in gran spolvero, come suino tirato a lucido. Scelta della disperazione quella di mandare in campo Djokovic versione “fatebenefratelli” nell'ultima giornata, piuttosto che la maldestra controfigura sana come un pesce scorfano, Troicki. L’allocco per antonomasia. Avrei fatto lo stesso, in ultima istanza, forse mi sarei spinto a naturalizzare anche il 53enne Johan Kriek, pur di evitare quel coso.

Nadal continua a correre. Altra semifinale senza storia, con la Spagna che in casa e sulla terra, divora la Francia. I transalpini qualcosa avrebbero potuto con Monfils a disposizione. Forse giocarsi il punto contro Ferrer. Le/li prova tutte/i il capitano Guy Forget, in serie. Da Gasquet a Simon, fino a Tsonga. Raccolgono tutti le briciole da un Nadal versione rullo d’argilla. Ma lo sappiamo ormai, lo spagnolo è come quei cavalli che non riescono a fermarsi dopo l’arrivo. Piccola, ed insignificante, soddisfazione, pensare a quel serbo a pezzi, scarnificatosi per batterlo a New York. Amen. Dotta riflessione: due quasi top ten che raccolgono 9 games in due match contro il numero 2, sono il chiaro segno dell’abisso che intercorre tra i dominatori e le seconde linee.

E venne la serie A. Dopo 11 anni l’Italia torna nella serie A tennistica. Notizia epocale, storica. Gran festeggiamenti e contentezza irrefrenabile. Anche se non ho visto caroselli. Senza un top player ma con quattro o cinque top 100, mi pare un risultato poco sorprendente. Drammatici ed incresciosi semmai, questi anni senza esserci passati di striscio, nemmeno per sbaglio. Massima serie raggiunta espugnando il temutissimo e tremendissimo fortino cileno (narravano anche di infanti ammazzati, laggiù). Una cosa che fa spavento solo a pensarla. E se i cileni avessero due discreti e sani (o almeno vivi) atleti da mettere in campo, sarebbe stato impegno addirittura più improbo. Capdeville è tennista che merita il numero 100/130, quindi bravo Starace a regolarlo di giustezza. Fernando Gonzalez è davvero una triste ombra di quello che fu gran picchiatore. Un picchiatore senza più pugno, ha la sorte segnata. Mette davvero gran mestizia vederlo, malgrado sia al 15% della condizione di un atleta, fare partita pari con Fognini, e poi abbandonare al terzo. Altro “no mas”. Il resto lo fanno gli allegri “woodies pizza e mandolino” Bolelli/Fognini. Ed un servizio seguito a rete neanche a pagarlo, con deprimenti scambi incrociati (e due allodole che osservano lo "spettacolo" appollaiate a rete) che manco in un torneo over 75. La sensazionale coppia addetta suonare la fanfara nell’elegia funebre del doppio, ci dà il punto decisivo. Ma è serie A, occorre giubilare. Ora nessun traguardo ci è precluso. Persino battere la Spagna (magari scegliendo accuratamente un pantano in terra -meglio sarda- per mettere in grossa difficoltà Nadal). A noi.

Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.