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domenica 12 gennaio 2025

AUSTRALIAN OPEN 2025 - Day 1 - Il ritorno del Samurai Kei Nishikori






Una Melbourne piovosa accompagna la prima giornata degli Australian Open di tennis. Tra scrosci di pioggia e match indoor, il programma si è concluso senza grossi sussulti per i favoriti. 

Nell'insonne notte italiana colpisce la mia intorpidita attenzione l'esordio di Kei Nishikori, personaggio sempre gradevole. Uno capace di arrivare al numero 4 al mondo e in finale slam nell'epoca dei Fab Four merita sicuramente rispetto. Se dopo una delicata operazione "stronca carriera" all'anca e altri malanni fisici a 35 anni sei ancora lì a combattere rientrando in top 100 dopo due anni di stop, meriti anche una grande ammirazione. Per sua stessa ammissione all'80% della condizione, appare destinato ad una onorevole sconfitta contro il martello terraiolo Monteiro. Sotto di due set e a un centimetro dalla sconfitta però, è l'animo del samurai a prendere il sopravvento. Kei salva due match point con gliaciale freddezza orientale e allunga il match al quarto set. Non sarà più quello di una volta, ma è sempre bello ammirarne l'intelligenza tattica e composta pulizia di colpi, la voglia di combattere contro se stesso e i suoi limiti attuali. Vola Kei, dilagando anche nel quarto set, quando mi coglie il sonno dei giusti. Ne ho però viste abbastanza per addormentarmi con la serena certezza che l'avrebbe spuntata al quinto set.

Nella nottata italiana, esordio complicato per Casper Ruud, sulla carta (tenera tenderly) tra i favoriti del torneo. Il danese deve combattere quasi quattro ore per domare al quinto set le buffe sfuriate dello spagnolo Jaume Munar. Sarà la canotta, abbastanza ridicola se hai il fisico di Lino Banfi, ma lo spagnolo si esalta tra drop shot, attacchi all'arma bianca con tanto di tragicomici smash al salto. Un mix tra Sampras, Alcaraz, Nadal e Ridolini. Prima passerella anche per Sasha Zverev: in un fiammante rosso Ferrari che rimanda a Schumacher strapazza Pouille, senza mai dare l'impressione di spingere a pieni giri. Lo scenario è simile a un match da circolo, quando incontri uno molto inferiore, un 80enne o un invalido, e cerchi di limitarti per rendere l'incontro un filo più divertente ed allenarti un po'. 6-4 periodico e via, verso la prima vittoria di uno slam.

Nella mattinata, mentre mi accingevo ad andare in chiesa per la Santa Messa, assisto poi all'eroica difesa di Matteo Gigante, opposto al favorito Hugo Humbert. Sorprende l'italiano proveniente dalla qualificazioni che, al primo match in un palcoscenico così importante, gioca per tre ore un tennis mancino gredevolmente estroso, alla pari e a specchio col talentuoso numero 14 d'oltralpe. Manca, fatalmente, nei momenti decisivi di ogni set e il francese col fisico da lanciatore di coriandoli e colpi al fulmicotone la porta a casa. Pochi problemi anche per i gemelli sparapalline cechi Machac e Lehecka, i Berdych mignon, che mi fanno abbastanza impressione. Un po' per i muscoli guizzanti, a stento contenuti nei pantaloncini, mascella squadrata, colpi asettici e plastici, inappuntabili. Sembrano fabbricati in un glaciale laboratorio di Ostrava, facendo rimpiangere la vera scuola ceca dei Korda e degli Stepanek.

Fra le donne, esordio senza patemi per pin up cinese Zheng e la svampita erinni Sabalenka, che si sbarazza in due rapidi set di Sloane Stephens, una che anni fa lottava per vincere slam e che ora veleggia con serena mestizia nelle retrovie. Sorpresa relativa la sconfitta della ceca Noskova (rivelazione dello scorso anno e dai colpi piacevoli) contro l'armadio a sei ante danese Tauson.




mercoledì 25 gennaio 2012

AUSTRALIAN OPEN 2012 - I QUATTRO CAVALIERI DELL'APOCALISSE



Day 10 – Dal vostro inviato conscio che la crisi non esiste e la vedono solo i menagramo, pessimisti ed invidiosi comunisti (i ristoranti di Cortina infatti sono sempre pienissimi, ed i voli per le isole Kayman sempre zeppi), ma per puro scrupolo di coscienza ha appena fatto approvvigionamenti pre bellici: Pane, pompelmi e birra. Sia mai che si accaniscano contro i consumatori di luppolo e non con quelli di cocaina

Eccovele sul piatto, le due semifinali maschili: Federer-Nadal e Djokovic-Ferrer. Serviti quelli che pensavano a possibili sorprese ed inserimenti. I più forti restano quelli. Gli altri, i vari Tsonga, Berdych o Del Potro, possono ancora poco, se non approfittare di loro estemporanei cali dei quattro cavalieri dell'apocalisse. Se al meglio, quelli lì davanti rimangono di un altro pianeta tennistico. Murray nella notte passeggia contro Nishikori. Il ragazzo con gli occhi a mandorla nulla può, reduce da tre battaglie consecutive al quinto set. Lo scozzese giunge in semifinale dopo un torneo condotto senza grossi intoppi, causa anche l’autoeliminzazione dei rivali più pericolosi, e ancora senza la prova di un match tirato contro un avversario di livello. E forse nemmeno ce ne sarà uno, visto il serio rischio di un truculento impatto contro Djokovic. Nole ha condotto il torneo australiano con la solita attitudine cannibalesca senza dover (svalvolamento finale con Hewitt e qualche commedia dell'arte su fantomatici acciacchi, a parte) nemmeno troppo serrare la mascella scucchiata. Oggi ha agevolmente disposto del volenteroso vangatore Ferrer, chiudendo in tre set il suo quarto di finale. Poco, davvero poco, può questo ingobbito spagnolo re dell’ineleganza, numero 5 al mondo grazie a grande costanza, ma che per qualità e picchi di tennis risulta essere molto meno pericoloso rispetto ad un Berdych, uno Tsonga o un numero 20 in gran giornata d’ispirazione.
Delineate anche le due semifinali femminili. Anche qui, ci giungono forse le quattro più forti attualmente. Serena Williams (sforzandosi di considerarla ancora un’atleta) e Wozniacki (sforzandosi di ritenerla davvero una tennista, se non la numero uno di un computer commodore 64), a parte. Già detto di una Kim Clijsters che, ormai assuefatta al dolore, proverà l’impresa di arginare Victoria Azarenka, nella notte italiana si sono facilmente appaiate nell’altra semifinale, Maria Sharapova e Petra Kvitova. Niente, ma proprio niente, potevano le due intruse: Makarova ed Errani. Grande attenzione, in Italia, per le gesta del piccolo, rumoroso e tozzo trattorino arrotatore, Sara Errani. Onesta lavoratrice formatasi nelle dure palestre d’Iberia, volenterosa, straordinaria ad issarsi fino ai quarti di uno slam senza aver in decimo dei colpi di altre, iper allenata, ammirevole e chi più ne ha più ne metta. Aggettivi che non possono impedirmi di considerare il risultato finale di questa sbalorditiva abnegazione come inguardabile scempio tennistico, condito da urla triviali. Pazienza se è italiana, svizzera, spagnola o esquimese.

lunedì 17 ottobre 2011

L'ORA (D'ARIA) DI MURRAY


In diretta da un luogo di massima sicurezza, ove sto imparando "di scrivere" col prestigioso strumento "smartphonico" che finirò di pagare a rate nel 2016. Se le urlanti scimmie che avranno invaso la terra concepiranno ancora lo strumento rateale. Su di una panca, baciato da un languido sole autunnale, che rende meno malvagio il freddo della rigida stagione allo annizzo. E con qualche foglia che svolazza irridente, simile ad un neurone che se va.

Murray in libera uscita. Reduce dalla visione del deludentissimo videotape di Belen assieme ad un ginecologo esibizionista e perso nei meandri un delirio spirituale, che in questa settimana mi ha fatto stracciare una (immaginaria) tessera di partito “apartitico” rispettoso delle inesistenti istituzioni nell’ambito di una lotta politica fatta di disubbidienza civile, di tennis ce n’è poco. Poco spazio per immani profluvi d’inarrestabili vaneggiamenti scilipoteschi applicati al tennis, dunque. Ma come, c’era il Master 1000 di Shanghai, dirà qualcuno. Ebbene sì, visto poco o niente. Qualche mattutino scorcio tra la prima e la seconda sigaretta, un set mentre deglutivo un ottimo risotto surgelato ai funghi prataioli e poco altro.
In Cina s’impone Andy Murray, a completamento di una trionfale tournée asiatica. Tre tornei vinti, quindici vittorie di fila e terza piazza mondiale sottratta niente meno che a Roger Federer. Trionfa dopo un cammino meno insidioso di quello sostenuto nel più piccolo torneo Atp500 di Tokyo e senza il simbolico scalpo di Nadal in finale. Piccolo paradosso lontanamente paragonabile a quello della chierica pulzelletta Rosy Bindi nuovo baluardo delle sinistre contro i Radicali biechi sostenitori dello sfascismo imperante. Ci sono paradossi ovunque, cari miei. Diventare sostenitori del regime votandogli coerentemente no. Candidare gente che poi vota sì, e rimanere i simboli dell’antiregime. L'insensatezza si annida ovunque come un serpe, state accorti. Il figlio di Scozia adottato dall’Inghilterra chiude senza sbavature, domando un sempre arrembante Ferrer in finale. Andy è ormai diventato il primo degli altri. O il migliore quando non c’è nessuno. Nessuno scatto in avanti, alcuna folgorazione sulla via di Damasco. Ha semplicemente fatto il suo, Andy. L’effettiva maturazione da talentuoso ragazzaccio dal tennis raffinatamente e geneticamente anaorgasmico a campione reale, esige ben altre platee. Quel maledetto slam, ad esempio, che fino ad ora si è dimostrato incapace di azzannare con quella dentatura d’antologia. Chi è assente ha sempre torto, ed allora celebriamo un successo che poco aggiunge alle ambizioni dello scozzese, visto che di Masters 1000 ne aveva vinti ed a tabelloni completi, battendo (sporadicamente, in vero) anche i tre dominatori mondiali.
A proposito degli altri "fab tre". Djokovic e Federer, riposati e guariti da piccoli acciacchi, saranno pronti per contendersi il successo a Parigi e Londra. L’altro in Asia c’era: Rafael Nadal. Poco più che una smunta ed afflosciata sagoma di quel terribile satanasso arrotatore del recente passato. Anche qui, poche novità. Si è abituati al Nadal modello Giuditta-autunnale. Scarico, spento, inefficace e vulnerabile come una gomma lisa che va per bucarsi. E puntualmente si buca al primo infingardo sassolino smussato. Bastano le sontuose geometrie di un Florian Mayer in versione ispirata, per mettere a nudo le falle maiorchine di fine anno. Il tedesco, sempre con quell’aria dimessa di chi sta cogliendo un mazzolin di fiori di lillà ma con un formidabile talento da pianista nelle dita, addormenta il match e parte con rasoiate “gattonesche”. Nadal rema, annaspa ed arrota troppo corto. Inquietantemente corto. Se le gambe non girano e non v’è la necessaria forza per sostenere un tennis così dispendioso, diventa un agonizzante sorcio in gabbia. Il neo gattone teutonico segue anche il servizio a rete, azzanna sapidamente lo spagnolo grazie ad una prestazione tatticamente inappuntabile. Manca solo che gli dipinga qualcosa in faccia con un penello e scappi, ma è così garbato Florian. Alla fine vince in due set, e quasi si scusa con Rafa, stringendogli la mano.
Ferrer e quell’incresciosa costanza podistica che procura orchite alle meningi. Per il resto, il torneo cinese ha detto poco o niente, tra assenze e parecchie seconde linee a tocchi che han fatto la stessa fine dei tacchini la vigilia di natale. Emerge chi ha ancora birra e chi ha fatto della costanza operaia una ragione di vita. David Ferrer acchiappa un’altra finale. Tra ingobbite corse, colpi d’ineleganza mortale e forza di volontà impressionante, c’è sempre. Linguetta tra i denti, passo da rottweiler squilibrato e ciuffo da shining, somiglia ad un sensoriale scotennamento del bello. Ma è sempre lì, zappando allegramente grazie a quelle gambe poderose, ai piedi del podio. Battere quei quattro o solo provarci è altro mestiere però.
Agghiacciante vedere la semifinale tutta iberica tra Ferrer e Feliciano Lopez. Pare una crudele trasposizione di “Angeli e Demoni” (immortale romanzo che mai leggerò, ma mi piaceva l’accostamento coi due). Feliciano elegante e bello come il nazareno in croce, ed un feroce soldato con la frusta di frassino a passargli l’aceto sulle ferite. Forse troppo cruenta come immagine, lo ammetto. Soprattutto per uno che ha abbandonato la visione di “The passion of christ” dopo ventidue secondi netti. Sarà per questo che l’esaltazione feroce poco mi attrae. Ma la fine è la stessa.
Si rivede anche il pokemon nippo Kei Nishikori che giunge fino alle semifinali. Uno che, si può sempre sbagliare, ma ha talento da vendere e buona maturità mentale. A ventidue anni è rientrato per la seconda volta nei primi 50, dopo un grave infortunio al polso. La stessa età, per dire, in cui i cocchi d’Italia assai talentuosi veleggiano garruli tra i primi 450. Ussignur, ho usato il termine “cocchi”, ma niente ha a che vedere coi “cocchi di sinistra” riferito ai black-bloc, titolone di un giornale di satira involontaria delle proprie servili demenze.
Bolelli perde l’aereo. No, non è mica una barzelletta sciocca. Di quelle submentali che racconta il lucidissimo premier in occasioni solenni per far ridere due invertebrati servi della gleba visibilmente imbarazzati. E’ proprio così. Reduce dalla fatiche della prestigiosissima competizione a squadre (la serie A italiana di tennis, dove ben figurano Santopadre, Pescosolido ed un drappello di under14), l’eroe dei due mondi italico perde l’aereo che lo avrebbe condotto ad Orleans. Già lo si prefigurava come novello pulzelletto addormentato, capace di sciorinare schioccanti colpi puliti e vincere di slancio. Invece ha perduto l’aviogetto. Voglio dire, può succede a tutti, per carità. Ma dona perfettamente l’idea dell’essenza intima del bell’addormentato di Budrio. Forse è un geniale ed inconsapevole pittore di se stesso, e non lo sapevamo. Fa anche molta tenerezza immaginarlo assonnato e scocciato, che non ha sentito la sveglia. “Sochmel” avrà sibilato a mezza voce, prima di rigirarsi e dormire ancora. Il piccolo Federer.
Il resto della settimanale rubrica “Italia e dintorni”, ha poca carne al fuoco. Seppi si riposa meritatamente dopo il trionfo di Mons. Oggi, come ardimentoso gladiatore ibernato da sei anni, proverà a battere anche il pubblico moscovita, prima di Andreev. In ultimo, ma non per ultimo, Fognini. Il ligure si separa dallo storico allenatore Pablo Martin. Aperte le selezioni per scegliere il nuovo martire affetto da incurabile sadomasochismo. Una selezione simile a quelle di x-factor o amicidimariadefilippi. Già molte le ipotesi sui papabili: Un domatore pazzo di foche epilettiche, uno strizzacervelli sadico e violento, un medico della mutua in pensione, un radiatorista con la gotta, fino alle meno improbabili e fantasiose: Un frigorifero guasto, Lele Mora (a distanza perché attualmente, smagrito ed afflitto, dimora a San Vittore), una bicicletta a tre ruote, una mela cotogna, etc…

lunedì 17 gennaio 2011

AUSTRALIAN OPEN 2011 – Federer e Wozniacki senza problemi. Dokic, altro dolce schiaffo al cinico destino


Day 1 – Dal vostro inviato, costipato nella stiva.

Federer e big, avanzano senza lasciare nulla. La prima giornata dell’Open d’Australia 2011 si chiude con poche sorprese e senza grandi scossoni. Si presenta nel migliore dei modi l’ex numero uno al mondo Roger Federer. Poco più di un’ora occorre ad uno scintillante svizzero per sbrigare la pratica Lucas Lacko, e cinque games lasciati per strada. Ben più probante sarà il prossimo ostacolo: quel Gilles Simon fresco vincitore a Sydney e che dopo un set di comatosa attesa piega il cinese di Taiwan Lu (forse uno tra i cinque tennisti più insignificanti della storia ad essere arrivati nei quarti in uno slam, a Wimbledon 2010). Lasciano per strada le briciole anche Andy Roddick, Novak Djokovic e Thomas Berdych. Liscio come l’olio anche l’esordio di Nando Verdasco. L’iberico, con tanto d’imbarazzante cresta da gallo cedrone che vuol spaventare le allodole da latte, si libera agevolmente di quell’irriducibile e straziante figuro teutonico rispondente al nome di Rainer Schuettler. Quello dal “tennis brioso, divertente e spumeggiante” (colui che scrisse simili versi venati di una poesia subumana, ora vaga in un centro d’igiene mentale. Racconta barzellette, canta e dice di avere una compagna immaginaria. No, non è colui che ci governa. Ha un altro tipo di squilibrio, oltre che cinquant’anni di meno.).
Anche tra le donne, pochi sussulti e big che marciano spedite al secondo turno. Continuano a considerare tale anche Maria Sharapova, malgrado le evidenze. La statua di piombo siberiana non solo è onorata del campo centrale, ma addirittura di inaugurare l’intera edizione, con una prestazione da timpani lacerati che urlano pietà. Tutto il mondo è paese, e la sindrome da velinismo è un morbo diffuso tra i vecchi depravati. Tornando, per quanto possibile, al tennis, alla russa sono rimasti solo i rantoli disumani e qualche randello sparso. Bastano e avanzano per disinnescare la modesta thailandese Tamarine Tanasugarn. Per Masha l’urlatrice, l’obiettivo massimo sembra alla portata (ottavi di finale, se non avvengono cataclismi inimmaginabili). Data non al meglio, Caroline Wozniacki, in un candido vestitino plissettato anni ’40, è attenta a non strafare contro Gisela Dulko. L’ordinata e scolastica argentina rimane sempre agganciata, senza mai dare l’impressione di poter entrare in partita grazie a qualche refolo propizio. Le rimane il fantastico doppio da rivista patinata assieme a Flavia Pennetta. Avanzano di slancio pure Na Li, Svetlana Kuznetsova, sempre imbarazzante in quegli shorts da disco anni ‘70, col fisico ogni volta più simile ad una papera muta, e l’atteggiamento di chi si diverte a prendere in giro qualcuno con versi triviali da maniscalco baritonale. Yanina Wickmayer viena a capo di un complicato match d'esordio con la tennista più in forma del momento, Jarmila Groth, deliziosa australiana spaurita come funa foca nella stagione delle mattanze, in Alaska. Prova in vano a resistere, sostenuta dal pubblico, poi perde al terzo. Perde il primo set e s’innervosisce, Francesca Schiavone. Inizia a smoccolare, per metà in dialetto milanese neanche fosse la nipotina del “dogui” e metà in inglese, contro giudici (di linea, eh. Vabbè che le visite a Palazzo Grazioli sono state memorabili, però...) miopi. Reclama giustizia. Poi prende a giocare come sa, e viene a capo di una virago spagnola con occhiali da sole che spara fendenti a tutto campo, Aranxta Parra Santoja.
Gli altri. Piccole sorprese e piccole conferme. Non delude Xavier Malisse, tenendo fede al pronostico, alla mano magica e ad una forma finalmente confinante con la decenza sportiva. Batte in tre set Pablo Andujar e si avvicina a quel terzo turno con Federer che attendiamo con garrulo palpitizio al corazon. Il giovane Grigor Dimitrov, reduce da trionfali qualificazioni, abbatte il Kazako di Bra Andrei Golubev, in chiara fase di disconoscimento della realtà. Forse lo sventurato già paga il fatto d’allenarsi in Italia. Bene anche il volleante Mahut nel confronto tra qualificati con l’elfo malvagio argentino Dabul. Note positive anche dall’anacronistico e piacevolissimo mancino d’oltralpe Mannarino, dal vecchio pirata calvo Ljubicic, l’airone Stakhovsky, Janko Tipsarevic, autoritario contro l’impalpabile tedesco di Russia Mischa Zverev e (udite-udite) da Richard Gasquet, liberatosi in tre set del fenomenale ed esplosivo talento tenuto assieme dal nastro adesivo, al secolo Frank Dancevic, già eroico nel superare le qualificazioni.
Le piccole sorprese vengono invece dall’eliminazione di Nikolay Davydenko per mano del gradevole “Mecir minore” Florian Mayer. Una sorpresa prevedibile, che non mi lascia scosso. Il teutonico, oltre a farmi fibrillare il cuore per un movimento di servizio ed il bimane rovescio di stampo quasi “gattonesco”, è tennista di valore. E di talento. In sintesi, è tedesco mica italiano. Chiude il programma la sconfitta di Ivo Karlovic contro il connazionale Ivan Dodig, alla fine di una maratona di cinque set. Lascia malinconicamente il torneo il vecchio Ivo, non prima di aver sparato una cinquantina di aces. Tutto regolare, insomma. Tranne quel buffo tizio, Dodig, nato a Medjugorje, e che dalla madonnina dei miracoli deve aver ricevuto diverse grazie. Su tutte, quella di fare il tennista. Malgrado quella faccia, quel fisico, quel braccio. Tra le donne, piccola sorpresa la prematura dipartita della sempre più sperduta Aravane Rezai, in condizioni non eccelse.
L’angolo delle fiabe, in uno sport sempre più arido e meccanico se lo prende Jelena Dokic. Non è poi rilevante la sconosciuta avversaria. Non è forse nemmeno una questione che riguarda il tennis. Ma la ventisettenne serba adottata dall’Australia, a Melbourne mette sempre sul campo il cuore. Sostenuta e coccolata dal pubbico. L’ex bimba prodigio torturata da un orco alticcio degno solo di un carcere di massima sicurezza, da due anni è rinata a nuova vita. Jelena Dokic non è più una campionessa. Non ha ancora risolto tutti i problemi causati da quell’infanzia dell’orrore, ma ogni suo gesto è finalmente pervaso di una insondabile leggerezza. Che passa sopra ogni evidenza. E pazienza se è ormai tennista da challenger, se la bilancia spesso non le è amica. Domina in due facili set, e la sua vittoria non può che essere salutata piacevolmente. Addirittura commuovere un cuore arido e cinico, come quello di chi scrive. Commozione che si fa più violenta pensando ai 101 euro e 68 cents che la sua vittoria (assieme ai risultati esatti di Malisse, Federer e delle tre orchesse wta) mi ha regalato. Ora è al secondo turno, e per Jelena qualsiasi cosa, rimarrà sempre una vittoria.
L’Italia s’è desta. Mi struggo per non aver visto nemmeno un fotogramma dei match dei tre azzurri. Adeguatamente oscurati dalle telecamere e dimenticati da un complice sonno ristoratore. Ma per le cose patriotticamente oscene m’era bastato il videomessaggio a reti unificate di un tizio gravemente malato. Di mente.
Ma veniamo con ordine. Perde in quattro set Fabio Fognini contro Kei Nishikori, gradevolissimo Pokemon da talento cristallino. Nessuna sopresa (per chi ha un briciolo di competenza tennistica, ma basterebbe anche di Baghmington o pelota basca). Il nippo è tennista tecnicamente e mentalmente di categoria superiore rispetto al nostro miglior tennista. Nessuno si aspettava il gran miracolo da Marco Prugnola contro Thomas Berdych. Già bravissimo il nostro a passare le qualificazioni, umiliando anche il presunto talento del predestinato Simone Bolelli (non crediate che io possa spendere una parola sullo scintillante talento di Budrio). Non riesce il miracolo nemmeno all’altro nostro (più che) encomiabile alfiere Flavio Cipolla. Anche lui brillante nel superere le qualificazioni. Qualche italiota in permesso premio da una casa di cura e i bookmakers evidentemente reduci da una settimana consecutiva di sbronze violente di vodka, davano il romano favorito contro il francese Benoit Paire (la cui vittoria era pagata a 2,37). Come mischiare i gioielli col piombo. Bastava aver visto mezzo match di un challenger o un filmato di youtube, per capire come il transalpino è tennista di ben altro spessore. Talentuoso, squilibrato, folle e geniale. Perdente in pectore forse, ma non certo contro Cipolla. E infatti domina il pur volenteroso Flavio in tre set.

Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.