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lunedì 14 maggio 2012

FEDERER L'EQUILIBRISTA, TRA I LIVIDI MADRILENI



Bastano un paio di fotogrammi, e lo smarrimento inziale lascia ben presto il campo alle più svariate congetture. Quella distesa di un elettrico azzurrino o blu cobalto quando il cielo è nuvolo, che sarà mai? Un enorme solarium per vitelloni della terza età o forse è una piscina olimpionica, dal cui trampolino gustarsi rutilanti tuffi a pelle di leone? Si andrà dal funambolico carpiato di un Federer travestito da Cagnotto, alla terrificante spanciata fantozziana dei vari Nadal o Djokovic.Sconcerto per l’epocale novità che l’estroso Ion Tiriac (uno che mi sta oltremodo simpatico, perché non piace alla gente che a tutti piace ma non a me) ha portato nel Masters 1000 di Madrid. La terra dal tradizionale color rosso tarocco di Sicilia è diventata di uno smarrente azzurro rifrangente. Una pacchianeria kitch, inutile negarlo. Cosa brutta, ma non più grave di altre meno eccentriche sconcezze che hanno cambiato questo sport, nel recente passato. Si rincorrono le reazioni, in uno stucchevole spettacolo già visto. Ritrite lamentele da prima ballerina che pretende tutti s’adeguino ai suoi formidabili piedi storti, e risposte svizzere che somigliano al sibilo di un retro pensiero abilmente celato e disvelato solo da qualche signor Freud imprestato alla pizzicagnoleria spiccia. 
Puntuali come un treno ai tempi del littorio in un binario morto: Nadal s’indigna per una superficie a suo dire orrenda. Federer risponde a tono con un “poffore” di algido assenso. Perché se vinci su un terreno su cui quasi tutti faticano anche a stare in piedi, significa che sei il migliore in assoluto. La cosa non fa altro che pompare il suo ego. Tutti felici, insomma, in questo psicologico rincorrersi a mosca cieca.Lo spagnolo però è scuro in volto. Pesto, livido, quasi bluette come l’ignominiosa  terra madrilena. Arriva a spingersi fino all’insano gesto: “Se ci sarà ancora questa terra blu, qui non tornerò più a giocare”. Silenzio e sgomento per una decisa presa di posizione che farebbe impallidire l’autore di “non gioco più me ne vado”, ebbro e sbronzo come una spugna, quando l’ispirazione delle muse lo colse nel sonno. Giusto, forse. Ma il tennis, non pare ancora essersene fatto una ragione, non è cosa sua. Un affare personale. 
La sconfitta patita contro Verdasco è una specie di oltraggio al pubblico/personale pudore in salsa maiorchina. Rimbalzi irregolari, superficie troppo veloce e scivolosa, completamente inadeguata per il tennis e buona per i pattini, a suo dire. Torce il labbro leporino e se ne va, Rafa. Celando pietosamente il perché di quello smash che si tira nei piedi o dritti d’attacco sgozzati a mezza rete, partoriti quando per due volte serve per il match. Terra azzurra, verde o fumante spianata di pizza margherita. E’ solo una folle coincidenza di quelle cui puoi assistere una sola volta nella vita: L’invincibile campione che si capotta maldestramente innanzi al succube paggetto Nando, vittima sacrificale di sempre. “Anvedi come perde Nando”, ed anche quando vince, per questo fantozziano torello madrileno, dev’esserci la scusante del carnefice. Con De Coubertain imbavagliato ed incaprettato.
Cadono come pere mature, alcuni favoriti, mentre Federer estraneo a tutto, svolazza, dritto per dritto, con qualche ancheggio, per la sua strada. Lo capirebbe anche un ipovedente quanto lo svizzero possegga una maggior capacità tecnica nel fronteggiare i rimbalzi imprevedibili. Il rapido guizzo che lega mente e braccio, nell’affrontare una pallina impazzita. Trasforma un difficoltoso aggancio in recupero disperato, in morbida carezza vincente. Dopo Nadal, a ruota, cede anche Djokovic. Il serbo regala un paio di antologiche scucchie ritorte da “Famiglia Addams” e qualche svogliato colpo in croce, prima di cedere al magnifico orco filoso Tipsarevic. In semifinale poi è il turno di Del Potro, ad accodarsi al torpedone della lagna cantata. Tutti nell’epocale verità alla Max Catalano, che su questa superficie si hanno maggiori difficoltà. Infantili scusanti a parte, l’innovativo strato blu, oltre a far riposare le diottrie dello spettatore in panciolle, ha favorito gli attaccanti, penalizzando gli strenui difensori e strisciatori da sabbie mobili nepalesi. Non mi sembra vicenda così persecutoria o un complotto dei giudici rossi travestiti d’azzurro. Specie pensando a superfici cementizie sempre più collose o erbe simili a pasture per pescecani agonizzanti, che hanno reso meno veloce il gioco nel 90% degli altri tornei. Anche Slam, e non solo un unico Masters 1000 stagionale.
Il torneo, malgrado la gioviale atmosfera da ufficio di Equitalia, è andato avanti senza impiccagioni di piazza. Perché su quell’infida argilla pennellata ci hanno giocato tutti. Alcuni hanno vinto, persino. Nel maschile e nel femminile, sono arrivati in finale tennisti tecnicamente dotati ed esplosivi. Roger Federer ha giganteggiato, ma i suoi bravi problemi ad adeguarsi alla difficile superficie li ha avuti anche lui. All’esordio l’ha spuntata d’esperienza e grazie all’innata classe, contro la deflagrante pera gigante Raonic che sulla terra azzurra pare un magnifico fuciliere d’assalto. Federer ha poi menato le danze per tutto il torneo, alla sua maniera. In fuga, l’uomo solo al comando, simile a Coppi che fluttuava leggiadro tra due ali di gente estasiata nell’irreale silenzio dei maestosi monti. Dopo gli affanni iniziali, finisce per domare la futurista terra non terra col solito spettacolare assolo immacolato. Lo stesso che tende ad aggrinzirsi di sgomento, appena qualcuno ha l’ardire di gettarlo nella mischia della lotta.
Anche in finale, contro il “gazzolesco” talento impostato di Berdych, inizia male, la riprende e rischia gettarla al vento. Ma alla fine vince, come un equilibrista folle che passeggia in punta di piedi su quel filo invisibile, dal quale gli altri cadono goffamente procurandosi lividi. E poiché ciascuno ha una sua storia ed un destino, lo svizzero partorisce l’ennesimo guizzo che manda in sollucchero i suoi estimatori, mettendo altra legna sul fuoco chi da anni ne critica i successi-passerella, quando gli avversari veri si sono già autoeliminati. La mirabolante fiera delle verità assolute che la gente possiede in tasche bucate: Nadal è un combattente che sconfigge anche il dolore, Federer vittorioso sempre contro avversari inesistenti, Djokovic divertentissimo istrione, il tennis italiano sta benissimo, etc…Roba fine, articolata e troppo complessa. Roba da giornalai seri.


Filosofica riflessione pubblicata anche su Tennisworlditalia

Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.