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sabato 6 luglio 2013

WIMBLEDON 2013 – Murray abbatte il gigante d’argilla Janowicz





Day 11 – Tanto tuonò che non piovve


Il vostro solerte e prodigo inviato “sempre teso” e sparatore di mirabolanti minchiate tennistiche all’incontrario, stamani ha avuto un’importante visita medica (non ginecologica). Il responso è grave, ma non (ancora) mortale. Tanto basta per starmene a casa e poter godere in santa pace delle semifinali maschili in programma sul certer court di Wimbledon. Senza residui serali, video postumi e quant’altro. Bene allora. Il Persichetti (molti di voi lo ricorderanno come Cencetti, con me nelle avventure da Pacciani e Vanni al Foro, ne celo il nome altrimenti lo opprimete di richieste d’amicizia su Facebook) viene al mio capezzale, a darmi coraggio all’ora di pranzo. Manca l’estrema unzione, ma non escludo arrivi prossimamente. Mi porta in dono un boccione di vino a 14%. Come a dire “e non pensarci più”. Infatti, pranzando, me la scolo allegramente. E ciao Peppa, e ciao semifinali. “Ciao, ciao mare”, cantava Raul Casadei, mentre Del Potro tiene botta contro Djokovic, ma dà l’impressione di dover cedere, da un momento all’altro.
Nell’abbiocco più placido, faccio sogni di marzapane: Gianluigi Quinzi, bravissimo a raggiungere la finale nel torneo junior. Ragazzo dal buon futuro, ottime doti tecniche e caratteriali, non ci piove. Leggo, trionfali dichiarazioni dei soliti esaltati: “Torneo di Wimbledon junior negli ultimi trent’anni vinto da Federer, Edberg, Borg”. Verità, che si trasforma in mistificazione propagandistica, se si cela il resto della storia: oltre a quei campioni, fu vinto anche da Morgea, Valent, Mutis, Humphries, il fenomenale messicano Lavalle (Lavajo, nella pronunzia del grande Tommasi) e decine di altri tennisti poi scomparsi nei meandri del tennis minore o non professionistico. Questo perché il salto nel tennis dei grandi, non è mai scontato o garantito. E il timore che con tutte le aspettative da “morti di tennis” in crisi d’astinenza secolare nel nostro paese, un’ottima carriera da top 20 di Quinzi rischierebbe di provocare struggenti suicidi di massa all'alba. Vedo, anche, nel dormiveglia, quel talento formidabile di Jiri Vasely. Mancino ceco che (mi sbilancio) entrerà agevolmente nella top 10/15 entro due anni. Segnate, non temo nulla. Dancevic grida ancora vendetta.
Mi sveglio e, clamorosamente, Del Potro sta mettendo alla frusta il serbo numero uno. Tira bombe criminali, sbraccia colpi di potenza inaudita. Mai visto così positivo negli spostamenti laterali, con un ginocchio a pezzi. C’è da credere come, d’ora in avanti, i tennisti chiederanno d’esser sprangati sulle rotule, per correre di più. Innegabile l’infortunio, testimoniato da immagini cruente stile "Real Tv". Trascurabili, evitabili, le pantomime. Soprattutto nelle dichiarazioni della vigilia “Non so se scenderò in campo”. Certo. Questo mena come un fabbro, contro un Nole a tratti svagato quanto il miglior Federer, senza averne il braccio. Ha capito, Giovan Martino, come convenga darsi per morto in partenza. Oltre ad impietosire avversari non avvezzi al vilipendio di cadavere, nessuno mai pretenderà più di un’onorevole capitolazione. E qualsiasi cosa vada oltre il dignitoso funerale, sarà vista come atto d’eroismo. E’ infatti quella l’atmosfera che si respira. Recupera due match point, vanga colpi di mortaio e s’issa in un quinto set incredibile. Potrebbe addirittura scappare avanti di un break, prima di cedere. Djokovic si salva, ma per vincere la finale deve alzare il suo livello di tennis, evitando simili cali stile Paris.
Poi il momento più atteso. La semifinale, sulla carta più interessante (per me). E non solo per motivi venali. Se non sarà botto Jumbo Jerzy, si prova a salvare il salvabile con Murray schiaffato in una multipla “quadruplicante” ben assestata (Djokovic, Murray, Vasely, Zemlja, Mayer, Lorenzi). Si spera che Jerzy possa fare l’impresa. Abbattere Murray e devastare l’intero Alla England Club, a colpi di medievale clava. 
Inizia forte. Mena sbraccia, smorza. Tira servizi omicidi, urla e geme come animale selvaggio sfuggito dal gregge. Disturbato, scosso, completamente pazzo. Si salva e rifugiatosi al tie-break e finisce per portarlo a casa. Sembra possa fare il miracolo. Murray nervoso, violentato dal polacco nerbante e oppresso dal clima di subumano delirio attorno a lui. In un trionfo di croci e bandiere da secoli nemiche giurate, che lo spingono all’impresa. La sfinge Lendl non muove un muscolo, eppure vorrebbe spiegargli come si fa a vincere quel Wimbledon che lui mai vinse. Judy Murray paonazza, sull’orlo di un embolo fulminante. La fidanzata, una specie di bambolina killer, lo catechizza con lo sguardo e occhi gelidi. Starsene in casa, o fare il loro mestiere, queste insopportabili wags ultrà, mai? Povero ragazzo selvaggio di Scozia. C’è da capirlo. Janowicz è devastante, ma ancora acerbo e discontinuo. Paga la distrazione del servizio perso a inizio secondo set. Fatale. E la scellerata condotta, inspiegabilmente svogliata, quando si trattava di spingere, avanti di un break nel terzo. Invece spegne la luce, ammaina tutta la sua forza animalesca.
Con Murray avanti due set a uno, si sospende e riprende sotto il tetto. Poco da fare, in un impeto di speranza, uno immagina che il polacco con la faccia da Andre the Giant magro, ma ugualmente vittima di gigantismo, impazzisca del tutto. Stanco di quegli schiamazzi orrendi, impugni una mazza ferrata e distrugga tutto. Devasti ogni cosa e infierisca anche sull’avversario. Tra gli “oooohhhh” s’indignazione del pubblico british. Sarebbe meraviglioso. Ma, ahimè, non avviene. Murray scappa anche nel terzo. Lendl si lascia andare a un gesto di plateale esultanza, arricciando il naso e guardando l'ora. Buon dio. E vince Andy. Janowicz esce con molte luci e qualche ombra legata all’inesperienza. McEnroe, al rutilante commento, però, si sbilancia: “Geeeeeinowick’s (pronunciato alla nuovayorchese) tornerà sicuramente su questo campo”. Tocca pregare.
Finale tra Murray e Djokovic aperta a ogni risultato e, temo, molto noiosa.

Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.