Day 11 –
Tanto tuonò che non piovve
Il
vostro solerte e prodigo inviato “sempre teso” e sparatore di mirabolanti
minchiate tennistiche all’incontrario, stamani ha avuto un’importante visita
medica (non ginecologica). Il responso è grave, ma non (ancora) mortale. Tanto
basta per starmene a casa e poter godere in santa pace delle semifinali
maschili in programma sul certer court di Wimbledon. Senza residui serali,
video postumi e quant’altro. Bene allora. Il Persichetti (molti di voi lo
ricorderanno come Cencetti, con me nelle avventure da Pacciani e Vanni al Foro,
ne celo il nome altrimenti lo opprimete di richieste d’amicizia su Facebook)
viene al mio capezzale, a darmi coraggio all’ora di pranzo. Manca l’estrema
unzione, ma non escludo arrivi prossimamente. Mi porta in dono un boccione di
vino a 14%. Come a dire “e non pensarci più”. Infatti, pranzando, me la scolo
allegramente. E ciao Peppa, e ciao semifinali. “Ciao, ciao mare”, cantava Raul
Casadei, mentre Del Potro tiene botta contro Djokovic, ma dà l’impressione di
dover cedere, da un momento all’altro.
Nell’abbiocco
più placido, faccio sogni di marzapane: Gianluigi
Quinzi, bravissimo a raggiungere la finale nel torneo junior. Ragazzo dal buon
futuro, ottime doti tecniche e caratteriali, non ci piove. Leggo, trionfali dichiarazioni dei soliti esaltati: “Torneo di Wimbledon junior negli
ultimi trent’anni vinto da Federer, Edberg, Borg”. Verità, che si trasforma in mistificazione
propagandistica, se si cela il resto della storia: oltre a quei campioni, fu
vinto anche da Morgea, Valent, Mutis, Humphries, il fenomenale messicano Lavalle (Lavajo, nella pronunzia del grande Tommasi) e decine di altri tennisti poi
scomparsi nei meandri del tennis minore o non professionistico. Questo perché il
salto nel tennis dei grandi, non è mai scontato o garantito. E il timore che
con tutte le aspettative da “morti di tennis” in crisi d’astinenza secolare nel
nostro paese, un’ottima carriera da top 20 di Quinzi rischierebbe di provocare
struggenti suicidi di massa all'alba. Vedo, anche, nel dormiveglia, quel talento formidabile
di Jiri Vasely. Mancino ceco che (mi sbilancio) entrerà agevolmente nella top 10/15 entro due
anni. Segnate, non temo nulla. Dancevic grida ancora vendetta.
Mi
sveglio e, clamorosamente, Del Potro sta mettendo alla frusta
il serbo numero uno. Tira bombe criminali, sbraccia colpi di potenza inaudita. Mai
visto così positivo negli spostamenti laterali, con un ginocchio a pezzi. C’è
da credere come, d’ora in avanti, i tennisti chiederanno d’esser sprangati sulle
rotule, per correre di più. Innegabile l’infortunio, testimoniato da immagini cruente stile "Real Tv". Trascurabili, evitabili,
le pantomime. Soprattutto nelle dichiarazioni della vigilia “Non so se scenderò
in campo”. Certo. Questo mena come un
fabbro, contro un Nole a tratti svagato quanto il miglior Federer, senza averne
il braccio. Ha capito, Giovan Martino, come convenga darsi per morto in
partenza. Oltre ad impietosire avversari non avvezzi al vilipendio di cadavere,
nessuno mai pretenderà più di un’onorevole capitolazione. E qualsiasi cosa vada
oltre il dignitoso funerale, sarà vista come atto d’eroismo. E’ infatti quella
l’atmosfera che si respira. Recupera due match point, vanga colpi di mortaio e
s’issa in un quinto set incredibile. Potrebbe addirittura scappare avanti di un
break, prima di cedere. Djokovic si salva, ma per vincere la finale deve alzare
il suo livello di tennis, evitando simili cali stile Paris.
Poi
il momento più atteso. La semifinale, sulla carta più interessante (per me). E
non solo per motivi venali. Se non sarà botto Jumbo Jerzy, si prova a salvare il salvabile con Murray schiaffato in una multipla “quadruplicante”
ben assestata (Djokovic, Murray, Vasely, Zemlja, Mayer, Lorenzi). Si spera che Jerzy
possa fare l’impresa. Abbattere Murray e devastare l’intero Alla England Club,
a colpi di medievale clava.
Inizia forte. Mena sbraccia, smorza. Tira servizi omicidi, urla e geme come animale selvaggio sfuggito dal gregge. Disturbato, scosso, completamente pazzo. Si salva e rifugiatosi al tie-break e finisce per portarlo a casa. Sembra possa fare il miracolo. Murray nervoso, violentato dal polacco nerbante e oppresso dal clima di subumano delirio attorno a lui. In un trionfo di croci e bandiere da secoli nemiche giurate, che lo spingono all’impresa. La sfinge Lendl non muove un muscolo, eppure vorrebbe spiegargli come si fa a vincere quel Wimbledon che lui mai vinse. Judy Murray paonazza, sull’orlo di un embolo fulminante. La fidanzata, una specie di bambolina killer, lo catechizza con lo sguardo e occhi gelidi. Starsene in casa, o fare il loro mestiere, queste insopportabili wags ultrà, mai? Povero ragazzo selvaggio di Scozia. C’è da capirlo. Janowicz è devastante, ma ancora acerbo e discontinuo. Paga la distrazione del servizio perso a inizio secondo set. Fatale. E la scellerata condotta, inspiegabilmente svogliata, quando si trattava di spingere, avanti di un break nel terzo. Invece spegne la luce, ammaina tutta la sua forza animalesca.
Inizia forte. Mena sbraccia, smorza. Tira servizi omicidi, urla e geme come animale selvaggio sfuggito dal gregge. Disturbato, scosso, completamente pazzo. Si salva e rifugiatosi al tie-break e finisce per portarlo a casa. Sembra possa fare il miracolo. Murray nervoso, violentato dal polacco nerbante e oppresso dal clima di subumano delirio attorno a lui. In un trionfo di croci e bandiere da secoli nemiche giurate, che lo spingono all’impresa. La sfinge Lendl non muove un muscolo, eppure vorrebbe spiegargli come si fa a vincere quel Wimbledon che lui mai vinse. Judy Murray paonazza, sull’orlo di un embolo fulminante. La fidanzata, una specie di bambolina killer, lo catechizza con lo sguardo e occhi gelidi. Starsene in casa, o fare il loro mestiere, queste insopportabili wags ultrà, mai? Povero ragazzo selvaggio di Scozia. C’è da capirlo. Janowicz è devastante, ma ancora acerbo e discontinuo. Paga la distrazione del servizio perso a inizio secondo set. Fatale. E la scellerata condotta, inspiegabilmente svogliata, quando si trattava di spingere, avanti di un break nel terzo. Invece spegne la luce, ammaina tutta la sua forza animalesca.
Con
Murray avanti due set a uno, si sospende e riprende sotto il tetto. Poco da
fare, in un impeto di speranza, uno immagina
che il polacco con la faccia da Andre the Giant magro, ma ugualmente vittima di
gigantismo, impazzisca del tutto. Stanco di quegli schiamazzi orrendi, impugni una
mazza ferrata e distrugga tutto. Devasti ogni cosa e infierisca anche sull’avversario.
Tra gli “oooohhhh” s’indignazione del pubblico british. Sarebbe meraviglioso. Ma,
ahimè, non avviene. Murray scappa anche nel terzo. Lendl si lascia andare a un
gesto di plateale esultanza, arricciando il naso e guardando l'ora. Buon dio. E vince Andy.
Janowicz esce con molte luci e qualche ombra legata all’inesperienza. McEnroe,
al rutilante commento, però, si sbilancia: “Geeeeeinowick’s (pronunciato alla
nuovayorchese) tornerà sicuramente su questo campo”. Tocca pregare.
Finale tra Murray e Djokovic aperta a ogni risultato e, temo, molto noiosa.
Finale tra Murray e Djokovic aperta a ogni risultato e, temo, molto noiosa.