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sabato 27 giugno 2009

Ve lo racconto io, Wimbledon. Giorno 5. Leonessa Shiavone riaffila le unghie



Wimbledon è un pachiderma sacro. Si evolve lentamenteme, facendo piccole concessioni all'odiata modernità. Hanno costruito tetti semovibili per arginare l'atavico problema pioggia. In cinque giorni, una secca che nemmeno sul monte Sinai. Uno spruzzetto notturno basta per mettere in allarme i britannici, che già pregustano la storica inaugurazione del tetto. A mantenerlo un torneo fuori dal tempo rimangono le vecchie bacucche nelle prime file e le candide vestali dei giocatori. A proposito, bardato di un bianco accecante (appena sporcato dallo stemma regale RF), entra in campo sua santità immortale e divina Roger Federer. Già in sede di analisi del tabellone, avevo preannunciato come prima (flebilissima e teatrale) difficoltà, il terzo turno, col tedesco Kohlschreiber. Un tipo costante verso il basso, ma con un bellissimo rovescio classico che usa benissimo in tutte le salse. L'elvetico lo spazza via, con facilità avvilente (per chi pensa possa essere battibile). Due set di autentica crudele dimostrazione tennistica. Dritti e ricami, risposte e rovesci, voleè e ancora dritti e merletti. Gli riesce tutto con facilità impressionanate. Kohlschreiber, una specie di Cassano dal volto umano, trotterella senz'anima. Forse maledice anche il giorno che i suoi gli hanno messo in mano una racchetta. “Dovevo studiare io, dovevo...”, pare dirsi. Vaga per erba con lo stesso animo pugnace di un'alga rinsecchita sullo scoglio. Il giovin signore, si prende una pausa solo nel terzo set, in prossimità del traguardo e della pausa pasticcini col the. Ci tiene alla tradizioni british. Si fa recuperare il break di vantaggio, e perde il set al tiebreak. Uhuh. Gridolini di eccitazione. Qualcuno è così tonto da pensare ad un periglio reale. Il tempo di rinsavire, che chiude la pratica 6-1, anche con un po' di violenza per punire giustamente l'ardire avventato del tedesco.
Sul campo numero 2 pare di essere alla sagra paesana di Pamplona. Quella in cui malati mentali si fanno inseguire da tori inferociti con evidenti turbe psichiche, nella speranza che qualcuno sia infilzato a morte. Si prevedeva poco più che una pratica burocatica per il torello Fernando Verdasco, col connazionale spagnolo Montanes. Almeno così doveva essere. Invece l'altro gli rende dura la vita. Su due piedi sembrava una sfida di una malvagità gratuita. Da un lato il “machetto” spagnolo, che malgrado un'acconciatura discutibile, con ciuffo alla Little Tony da antologia che ha soppiantato il proverbiale crestino trendy, è bello e tanto fa trepidare i cuori di fanciulle adoranti, un top ten, con un tennis brioso e gradevole, tutto angoli e virulente accelerazioni mancine. Dall'altro, un modesto operaio dei campi, umile arrotatore di palline, efficace sull'argilla rossa, e che a guardarlo pare un impiagato delle pompe funebri. E invece il nosto impiegato col cappellino, frullando una pallina via l'altra, vince il primo set. Poi Verdasco rinsavisce, serve benissimo e vince in quattro set tirati. Ma dignitosissima resistenza di Montanes, potere operaio.
Un altro spangnolo, Nicolas Almagro, si lamenta e monologa senza sosta come un matto depresso, il tempo di beccare tre set a zero da Robin Soderling, che dimostra di essere ben preparato per la prevedibile esecuzione di ottavi con Federer. Jo Tsonga incappa in una mostruosa prestazione al servizio di Ivo Karlovic. Mai vista una cosa del genere. Il gigante croato spara aces a grappoli, dall'alto dei suoi 208 centimetri. Uno che (pettegole voci di corridoio), hanno utilizzato come controfigura in jurassic park. Un tirannosaurus rex, ma mansueto come un panda. Al guascone francese rimane poco da fare. Ad un certo punto, dopo l'ennesima battuta monstre d Ivo il tardivo, si siede ai bordi del campo, impotente. In occasioni simili si deve pensare al proprio servizio, provare ad arrivare al tiebreak e sperare che quello metta almeno una seconda di sevizio, per poter giocare, almeno. Il tutto pensando a mantenere i propri turni. Psicologimante difficile, e tre set su quattro ci riesce pure, Jo, ma li vince Ivone. Alla fine saranno 46 gli aces. Se fossero arrivati al quinto, ne avrebbe piazzati una sessantina. Praticamente disumano. Tsonga non ha granché da recriminare, fatica su erba, in risposta (Karlovic fa caso a se) non ha ancora i riflessi giusti, ha attaccato meno di ciò che può, remando goffo nella sabbia di fondo campo, laddove c'era l'erba (cantava Celentano). Fuori il francese, che consideravo l'unica alternativa a Murray e Federer, per lo meno più imprevedibile (e divertente) di un Roddick o Djokovic. Cammino ancor più spianato ed in carrozza per lo svizzero, con tanto di nocchieri in abito bianco.
Tra le donne, un minimo di curiosità masochistica, ogni tanto mi spingeva a dare uno sguardo sul centrale, dove si esibiva la nostra mitologica Linda Blair posseduta, reincarnata nelle sembianze raggelanti di Vittoriona Azarenka. Il donnone dell'estonia affrontava Sorana Cirstea, vittima designata della sua furia accecata. Il timore che vomitasse il proverbiale liquido verdastro durante il cambio campo, paralizzava le gambe degli spettatori, che difatto facevano seguire applausi sporadici e quasi imbarazzati ad ogni suo punto. Linda-Vittoria racchiude in una sola donna di 1,80, le caratteristiche più disgustose di un uomo detestabile. Urla con le gote rosso-violaceo, sbatte racchette, strilla a se stessa, arbitri, giudici di linea, allenatore e pubblico, (ovviamente) rantola quanto una vitella colpita dalla sindrome della “mucca pazza”, pare un'ossessa posseduta dal demonio, ha un'espressione accigliata simile ad un incubo mortale. Poi, tra l'altro, giusto per non sembrare prevenuto, ha pure un rovescio bimane niente male. Niente da fare per la giovane e volonterosa leprotta dei carpazi Cirstea, che già ci aveva salvati dalla sorella di Varenne (Jankovic) a Parigi. Avesse fatto il miracolo anche oggi, toccava costruirle un monumento.
Finisce il torneo anche per Robertina Vinci, i cui colpi di fioretto si infrangono contro il carroarmato Serena Williams, con moltissima dignità e punteggio onorevole (ammetto che temevo un'esecuzione più cruenta. E sarebbe stata immeritata). Rimane un bellissimo torneo comunque, quello della piccola pugliese. Una di quelle che riconciliano con il tennis femminile. Ritorna ai livelli di due anni fa Francesca Schiavone, che batte la testa di serie numero 12, la francese Marionne Bartoli, riaffilando unghie e denti da leonessa, e sbagliando praticamente nulla. Lezione autentica di gioco alla francese. Exploit soprendente perché questa è sempre stata la superficie meno adatta al gioco liftato ed alle rotazioni della milanese. Quarti abbordabili contro un'altra francese, Virginie Razzano, più quotata in classifica, ma meno esperta della leonessa. Malgrado le eccitazioni fuori luogo, stelloni fortunati ed altro, come da un lustro a questa parte, ci rimane solo lei e Flavia Pennetta, che domani proverà a raggiungere gli ottavi, in un incontro accessibile contro Amelie mauresmo, sempre più versione spettro della giocatrice meravigliosa che fu.
Che sbadato, ma c'è anche Andreas Seppi. L'altoatesino (tanto per cambiare) lotta nel buio incombente contro Andreev, reglarista incostante. Che è tutto dire. Ammetto di non aver visto. Mi limito a riportare che dopo aver perso i primi due, l'italiano erbivoro (Mayotte perdono), vince il terzo e allunga la partita, poi sospesa per oscurità sul 5-5 al quarto. Domani può giocarsela tranquillamente.
Djokovic aveva una prova un po' più ostica rispetto ai primi due turni (sempre nell'ambito di un tabellone generosissimo). Al suo cospetto il pesante paracarro americano Mardy Fish, uno che serve benissimo e tira palle con rotazioni poco esasperate, che ben si sposano all'erba, schizzando via veloci. Certo, nei sogni più dolci ed insensati. Il serbo prosegue nel suo goffo e sgraziato martirio sui prati. Il problema è che l'americano gioca una partita terribile, lento, sonnecchioso ed incostante. Passa Djokovic in tre rapidi set, e negli ottavi troverà il sorprendente israeliano Dudi Sela, il cui gioco leggero mi garba tantissimo. Oggi ha infilzato con gusto l'ennesimo spagnolo in (tragicomica) escursione erbivora, Tommy Robredo, in quattro set.
Match interesantissimo tra Tommy Haas e Marian Cilic. Il veterano tedesco che poteva aver vinto una manciata di slam, con un fisico ed una testa diversi, contro l'ennesima promessa croata, sempre in bilico (esplode oggi o domani? Forse dopodomani, ma magari mai). Incontro combattutissimo, il tedesco vince i primi due set tiratissimi, mostrando il suo splendido repertorio d'attacco, colpi piatti e voleè a chiudere. Getta via il terzo e spreca un match point nel quarto. Si fa raggiungere al quinto dal gibbone svogliato, che oggi (proprio oggi?) appare voglioso dell'impresa. Il vecchio Tommy sembra aver sprecato un'altra occasione (una delle ultime della carriera). Subito sotto di un brak 4-1, poi 5-3, pare finita. Nella tristezza più totale che fa il paio col tramonto inglese, Cilic picchia senza pietà sui resti scorati del tedesco e va a servire per il match. Ma Tommy ha un sussulto d'orgoglio inaspettato. Cilic si sgonfia e cede il servizio diostrando (se ve n'era bisogno) quanto sia incostante e falloso. I due proseguono oramai nel buio, in una delle partite più belle del torneo. 5-6, e match point gibbone. Haas piazza un servizio vincente. Poi ne salva un altro con dritto a uscire dal coraggio leonino e per cuori forti, dopo una seconda ballerina. E si salva ancora. 6-6 ed incredibile match, sospeso per oscurità.

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.