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venerdì 29 gennaio 2010

AUSTRALIAN OPEN 2010 - DODICESIMA GIORNATA - FEDERER STENDE TSONGA, LA FINALE E' MURRAY-FEDERER




Dagli spalti, piovono gridolini d'incitamento al francese delle colonie. Dovuti, ma decisamente poco convinti, anche quelli. Il match sta per finire, e non è mai iniziato. Alì Tsonga serve una buona prima, gancio di dritto ad uscire, e volè rabbiosa a chiudere. Chi comincia a vedere da quel punto, sarebbe colto in inganno. Il faccione del tennista-pugilatore, racconta nitidamente l'andamento del match, e l'impietoso punteggio. Jo è una belva ferita, ed impotente. I segni dei lividi, procurati dai saettanti fendenti di Roger Federer, possono solo immaginarsi. Attende che qualcuno fermi lo strazio, gettando la spugna, o dovrebbe urlare lui stesso il famigerato "no mas". Trattandosi di Tsonga, i paragoni pugilistici, sorgono spontanei. Il despota elvetico lo guarda, alza il sopracciglio, quasi perplesso. Intasca altri due errori gratuiti di Jo. Poi si mette in punta di piedi, e quasi danzando su melodie viennesi, stiletta un dritto anomalo vincente, poi un attaco di risposta in contro tempo, chiuso con una veronica futurista. E caccia addirittura un urlo. O forse è solo il lamento di un tifoso deluso. Il match sta tutto lì.
Il francese avrebbe bisogno di un appiglio, un minimo aiuto dell'avversario, per entrare in un match mai iniziato. Ma l'altro, seguita a piazzare i suoi danzanti vincenti, si aggiusta il ciuffo inesistente, con una antica mossa degna della "scossine" di amadeus, e tira dritto. Inutile sperare in disattenzioni o leggerezze dello svizzero, che quando vede il traguardo importante, si trasforma in caimano. Divora via tutto. Superfluo anche credere in reazioni del francese, oramai avvilito, sempre fori giri. La splendida onda del mare incresapata e maestosa, simile ad un inarginabile tsunami, ridotta a miserevole ondicella, sbattuta impietosamente dal vento elegante ed impetuoso della Svizzera. Tsonga, non può inventarsi nulla, perchè nulla gli riesce, del gioco che aveva pensato. L'unico in grado di concepire, e che tanto eccita gli animi degli appasionati miserevoli. Uppercut vincenti o alla bocca dello stomaco, e mirabilie feline a rete. Attacco continuo. Tutto o niente, dentro o fuori. O la va o la spacca. E non la va proprio nulla. Dritti e rovesci fuori misura, da raccogliere in un sacco. L'oramai famigerata mano, che "po' esse fero o po' esse piuma", "...e oggi ha deciso d'esse ferraglia arruginita, o pelucchi baagnati.".
Nemmeno il servizio funziona come deve. Alì, pare un povero balenottero spiaggiato, uno di quelli che ha perso la rotta, o ha inconsapevolmente deciso la via di un malinconico suicidio. Uno dei misteri della natura. Il monarca, lungi dall'essere un nipponico pescatore di cetacei senza scrupoli, va nozze. Con gli orrori dell'avversario, e con la tipologia del suo tennis. Quando rimangono addirittura tra le righe, i colpi quasi piatti del francese, e che filano via veloci, non fanno paura. Gli consentono di allenare riflessi e velocità braccio-mente, senza eguali. Ciò che turba i suoi algidi sonni, sono le diaboliche parabole cariche di top spin. Ma il pugilatore suonato francese, non riesce a fare il suo gioco, figuriamoci inventarsene un altro.
Sontuoso e centrato verso l'obiettivo, Roger Federer. Che non ha nemmeno dovuto spingere troppo, o spendere energie mentali supplementari, per infliggere all'avversario una memorabile lezione. Federer-Murray dunque, come a New York 2008. Vera prova del nove, per l'aspirante campione scozzese dai denti affilati. Io so già come va a finire, ma non lo rivelo mica. Mi sono fatto furbo.

2 commenti:

  1. Ciao Picasso, grazie per la mirabile descrizione della partita, ho rivisto in replica giusto gli ultimi games capirai...
    Sulla finale di domani sono in silenzio stampa assoluto, che è meglio ;)

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  2. Ed io non ti dico nulla. Che già ci pensa Mats Wilandere a fare il menagramo. =) Ciao.

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.