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martedì 23 febbraio 2010

PICASSO IN THE MEMPHIS



C'erano ottimi presagi ancestrali. Visto il personaggio occorre sempre consultarli. Da una sommaria lettura del tabellone, balza alla mente un ipotetico accoppiamento da urlo afono. Uno di quelli da mancare solo per motivi di famiglia, o nel caso di facile impressionabilità: Verdasco-Petzschner, in un eventuale quarto di finale. Eventuale, appunto. “Vuoi che il pittore mascherato da imbianchino, ci arrivi? Che vinca due partite, cioè? Mica glielo hanno spiegato che bisogna fare i quindici per vincere, a quello là.”. Sottolinea con una beffarda ironia, il Bartezaghi. Ben sa che io seguo la foca monaca teutonica da quando era numero 300 e rotti, e giammai vorrebbe vederlo tra i primi. Sarebbe la prova lampante che capisco di tennis più di Napoleone (il mio gatto, un certosino).
Le buffe vicende della vita, vogliono che ad arrivarci sia solo Petzschner. Con quella sua bella faccia da cliente di un centro di igiene mentale e l'accollata maglietta della salute, zompetta nel suo match di quarti di finale. Quasi incurante di essere un genio travestito da venditore di noccioline americane. Tra una svogliata spennellata, una rasoiata improvvisa ed una eclissi lunare ad ottundergli le meningi, batte anche Lacko, promettente ed imberbe ragazzone slovacco. Dopo Zagabria, seconda semifinale stagionale, per Philipp. Urge un'attenta disamina tecnica. Di quelle che vengono affrontate a “Porta a Porta”, con frotte di strizzacervelli pazzi e barbuti, ad erudirci sulla vita e sul mondo. Giungo ad una conclusione profonda. Al tedesco è sufficiente aumentare la concentrazione, da cinque a quindici minuti per match, e stordire i dispettosi criceti trapezisti che gli ruotano nel cervello. E qualche partita la si vince anche.
Una tela schizoide sui missili di Isner. In semifinale affronta John Isner, emergente pertica americana che dall'alto dei due metri e rotti spara gran servizi, e poi deambula a rete con la stessa lentezza di Shaquille O'neill (zoppo) sotto canestro. Ma rispondere a quel servizio, è impresa impossibile. Si assiste ad un autentico spettacolo circense applicato all'esistenzialismo kafkiano, con accenni di psicologia criminale spiccia.
Il tedesco inizia orrendamente concentrato. Sembra persino un giocatore vero. Roba da preoccuparsi e controllare di essere nel 2010 e che davvero esistano le macchine che vanno a benzina. Tiene alla grande, servendo bene. E quando può sposta il pachidermico avversario con ricami ispirati. Si disunisce sul finale di primo set, lo perde, rischia il tracollo ad inizio del secondo. La faccia è quella delle migliori occasioni. A metà tra il disgustato ed il surreale auto ironico. Gli riesce un missile di risposta, che fila via il doppio della velocità del servizio devastante dell'americano. E lui torce la faccia con una smorfia compiaciuta. Ride, sembra dirsi, “ammappete che t'ho fatto!”. Ecco, è esattamente quell'espressione che immagino, quando ancor giovinetto da challenger chiese a Federer “Ah, così tu sei quello che avrebbe talento, come me?”. E lo svizzero deve ancora riaversi.
Tra capolavoro ed abominio. Sopravvive e inizia uno spettacolo delirante con cui porta il match al terzo set: risposte d'attacco opposte a bombe di servizio a 225km/h e chiuse con smash da sbirulino acrobatico, rovesci in back morbidi per aprire il campo a spennellate radenti di dritto. Una demi-volè da fondo campo, passandosi la racchetta dietro le gambe (voglio dire, durante uno scambio), recuperi da satanasso e passanti di dritto in corsa, annessa capriola da charlot sui tabelloni pubblicitari.
Avrà vinto allora. Figurarsi. Con l'avversario oramai incapace di colpire una (una) palla decente a rimbalzo, prende ad esibirsi in inutili tocchetti a rete col campo aperto. Scarabocchi urticanti. Torna orrido imbianchino sgozza-palline. I criceti riprendono a roteare impazziti, e lui si trasferisce serafico ed incurante nel suo pianeta Nibiru. Come un mimo squilibrato, si insulta con autoironia surreale. E perde 6-3 al terzo. Bene così. Prossimo top 20, ad occhi (di vetro) chiusi.



Scritto per Tennis.it

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.