Day 0 – Dal vostro inviato “castigamatti”. Che vagamente ricorda Totò Riina “u’curtu” una ventina d’anni fa, mentre inveiva contro la persecuzione dei magistrati. Penso volesse indire anche un no-magistrati day. I tempi cambiano.
Novak Djokovic 8. Orbene. Immaginate Arthur Fonzarelli in palese difficoltà nel pronunciare la parola “scusa”. Ed avrete la mia immagine angosciata, mentre devo inventarmi qualcosa da scrivere sul serbo. E rinvio questa sorta di patibolo intellettuale. Ha condotto un torneo al limite della perfezione, tocca ammerter(selo). Al di là di una finale senza sbavature contro il fantasmo formaggino Murray, costruisce il trionfo grazie all’impeccabile, in cui non ha perdonato le leggerezze di un Federer svagato. Anzi, accanendosi come un cinghiale affamato. Scene viste solo in qualche mattatoio di periferia. Bissa il successo in una prova dello slam tre anni dopo la sua prima affermazione. E vorrà anche dire qualcosa anche questo. Tre anni di patimenti e manifesta arroganza tennistica, che ne hanno impedito la definitiva esplosione. Un trionfo di faccette, smorfie di una bruttezza leggendaria, medical time out, ritiri e malanni da ipocondriaco, teatrini e racchette frantumate in modo costruito. Messe da parte queste tremebonde distorsioni, s’è scoperto un tennista consistente, determinato, solido. Tanto basta per ridurre il gap dai primi due, o almeno approfittare di qualche loro eclisse. Una maturazione mentale, ma anche fisica, verso cui anche i suoi sostenitori sembravano aver perso la speranza dopo averlo visto bistrattato ed scherzato, nemmeno tanto tempo fa, da gente brava, ma attempata o dall’agonismo morente (Haas o Kohlschreiber). Il Djokovic sbocciato come betulla storta in autunno è un nuovo tennista. Mentalmente sereno e fisicamente efficace, benché di epica ineleganza. Basta vederlo, sciancato e con le gambe snodate, simile ad una marionetta irriducibile, fiondarsi su ogni palla. Non è mai troppo tardi. Se non per piacere, almeno per vincere.
Andy Murray: 7. Eccolo, l’altro eroe nuovo. Che assieme a Nole deve farci dimenticare in fretta la rivalità Nadal-Federer. Sono sufficienti tre minuti della finale, per farsi due o tre croci all’inverso, e sperare sia solo un incubo. Per il tennis. Lo scozzese fallisce la terza finale di slam. E se due indizi fanno una prova, tre potrebbero essere sufficienti per abbozzare una sentenza di primo grado. Senza lodi, trucchi e burocratici difetti di competenza che tengano. Andy appare una banderuola sbrindellata nel mezzo dell’oceano, sbattuto dall’impetuoso vento serbo. In testa aveva la convinzione che bastasse una normale prestazione “pallettaristicamente” varia dal fondo. Qualche angolo qui e là, ad imbrigliare l’esagitato avversario. Ma quello, con un polpaccio dietro la schiena, e l’altra gamba stesa a 180 gradi, riprende agevolmente ogni colpo di spillo morto dello scozzese, prima di piazzare il vincente. C’è match fino al 4-4, poi è un triste accompagnarsi alla deriva, come balena piaggiata, malgrado quel digrignar di denti da incubo notturno. Mamma Jude, bardata come la sacerdotessa di una setta satanica, comanda “calma e gesso”. Gli fa chiaramente segno di non perdere la Trebisonda, e continuare così. Con calma, a remare neanche fosse Chesnokov con una bella mano. E il “Phantoms” britannico ubbidisce, senza mai azzardare qualcosa di diverso. Lui che pure potrebbe. Non stupisce la sconfitta, ma la tragica rassegnazione. Perché uno slam non si può perdere senza provare qualcosa, anche sotto di due set. Uno snobismo incurante e sprezzante, senza motivo. Involuzione imbarazzante rispetto alla finale del 2010, quando lo scozzese giocò un match al limite delle sue possibilità, pur soccombendo di fronte ad un Federer sontuoso. Per il selvaggio “bamboccione” di Scozia, urge una drastica soluzione. Liberarsi definitivamente da quel tragicomico legame asfissiante con la sua “factotum” domatrice, trovarsi un allenatore serio, mollare il nintendo.
David Ferrer: 7. Occhio agitato, ciuffi di capelli penduli sugli occhi, mascella squadrata ed urla belluine simili a rigurgiti demoniaci, mentre arpiona colpi di gran ruvidezza. Nei quarti con Nadal, entra in campo con la consueta rassegnazione. Nello sguardo basso la nitida consapevolezza di un’altra carneficina da dover sopportare con gran dignità ed in spalla un asciugamano da rosicchiare, per distendere i nervi. Poi quell’altro si rompe dopo tre games e lui, quasi imbarazzato, rischia di cappottarsi da solo contro il simulacro infermo. Alla fine vince, inevitabilmente. Rende la vita difficile anche a Murray in semifinale. A posteriori, avrebbe dato più brio lui alla finale. Pensate come siamo messi.
Roger Federer: 6,5. Il re dormiente, tra sprazzi antichi e pause colossali. Assoli virtuosi e stecche madornali. Passa con disinvoltura dai proverbiali soliloqui che non ammettono umana replica, a sopite fughe dalla realtà terrena. Sciorina tennis marziano per annichilire il redivivo Malisse e poi il connazionale Wawrinka nei quarti. Pare lanciatissimo, liberatosi anche dell’incombente minaccia di Nadal, già fuori. Ma è forse lì, tanto per fare inutile letteratura psicodrammatica, che a livello inconscio deve essersi rilassato. Djokovic, che la psicologia se la mangia ad insalata, non ha avuto alcuna pietà e mentre quell’altro pensava ad ombre plumbee su distese floreali, si è avventato sulla preda. La controfigura del monarca antico, ne combina più di Bertoldo: Un set combattuto, perso allo sprint decisivo. Un altro lasciato lì per 7-5, dopo l’ennesima fuga da smemorato, quando conduceva 5-2. Il terzo, in cui non riesce a mostrare i denti, malgrado un controbreak sul 4-4 quando l’altro cominciava a tremolare un poco. Abbrivio che a Connors, senza un immacolato talento su cui adagiarsi, avrebbe procurato un multiplo orgasmo con tanto di pugni roteanti in faccia a gente attonita nelle prime file, trance agonistica e vittoria al quinto.
Rafael Nadal. 6,5. Cede ancora. Al fisico. Come quasi normale che sia, per un tennista che ha fatto dell’esasperazione atletica la ragione dei propri successi. Poco più che sgambate rilassate fino ai quarti, dove avviene il fattaccio. Paga un infortunio al bicipite femorale della coscia sinistra. Malanno fastidioso, che non gli impedisce di continuare. Come un comune normale e senza poter forzare le inumane evoluzioni in corsa, recupero ed uncino, che ne hanno fatto il numero uno al mondo. Corre e gioca tre set come fosse tennista normale. Se non proprio normale, diciamo come Bolelli. Il suo tennis talmente forzato, specie sui terreni duri, lo espone a questi rischi del mestiere. Non si ritira, forse per non rovinare la gioia al connazionale Ferrer, e per regalargli una gioia. Con tanto di espressione funerea e rassegnata.
Stanislas Wawrinka: 6. Quel rovescio altero e superbo su di lui, è come vedere le labbra imbronciate di Scarlett Johansson sul volto di Ignazio La Russa. Altro quarto di finale, dopo la bella cavalcata a New York. Lascia le briciole al predestinato teenager Grigor Dimitrov e a due vecchie/giovani lenze come Monfils (5, a prescindere) e Roddick (4,5 calante senza brio). Poi fa da paggetto rassegnato ad assistere allo spettacolo superiore, contro il connazionale celebre, Federer. Perché dal morbo di “bel tennista catastale” non si guarisce mai del tutto.
Alexand Dolgopolov: 7. Irrompe come un tornado ipertricotico nell’ingessata seconda settimana dello slam australe. Svilisce le potenze annebbiate di Tsonga e Soderling. Lotta anche nei quarti di finale con Murray. Gambe secche, movenze frenetiche e tic esasperanti, ma un braccio veloce e dotato. Una libellula impazzita che colpisce con fendenti di fluida violenza. Se il fisico regge, il 2011 potrà essere l’anno dell’ucraino con la coroncina da Madonnina del Pozzo.
Robin Soderling: 5,5. Pistolesi, al solito sciupato come chi ha mangiato solo due buoi muschiati rosolati nel lardo di colonnata, forse si attendeva qualcosa di più dal suo neo allievo. Mandato fuori giri da un Dolgopolov ispirato. Invece mostra limiti e pericoli di un tennis persino divertente nella sua accecata ed ignorante violenza. L’automa progettato per distruggere va in cortocircuito neurocerebrale, appena deve congegnare qualcosa di diverso. Lo sappiamo.
Juan Martin Del Potro: 6 (di umana comprensione). Malinconia mista a sbigottimento, suscita il suo mesto ritorno, quasi fosse la versione minore dell’altro figlio di Tandil (Juan Monaco, 5,5). Dodici mesi dopo che il suo polso era andato in frantumi, mostra ancora le cicatrici di un infortunio grave da superare. Fisicamente e mentalmente. Basta un Baghdatis normale per farlo fuori. Per chi non vuole rassegnarsi, rinviato a settembre (o ai due Masters 1000 americani di Marzo/Aprile).
Mikhail Youzhny: 5--. Senza volerlo si ritrova un tabellone da semifinale. E invece implode miseramente sotto le alabarde terrificanti di Milos Raonic. Stavolta il solo braccio su un fisico bolso e meningi simili ad un cesto in cui si annidano anguille drogate con la morfina, non basta.
Jo-Wilfried Tsonga: 5,5. Batte Petzschner e Seppi, quasi giocando al gatto coi topolini guizzanti ed invertebrati. Poi se li pappa, pur in condizioni pietose. Cede alla maggior freschezza e vivacità di Dolgopolov. Rimane solo qualche diapositiva ferma e l’introiezione folle di un magnifico tennista capace di potenza ed imprevedibili ricami. Il delirante concerto di tamburi e violini, che solo un tossico in crisi d’astinenza poteva credere reale per più di due o tre partite casuali (pubblica ammenda, e capo cosparso di cenere). Una prece a lui
Jankko Tipsarevic: 4,5. Per due set ridicolizza lo spettro inceppato di Verdasco. Poi, mentre elabora mentalmente la riproposizione riferita alle mosche cavalline de “La peste” di Sartre e s’interroga sull’Io trascendente ontologicamente applicato al tormentato nulla. E si ritrova sotto la doccia. Mentre quell’altro agita i pugni in segno di giubilo.
Fernando Verdasco: 5-. Ridotto ad un simil Almagro (3,5 a quella faccia tragica), solo un po’ più sostenibile. Con quella capigliatura da gallo cedrone castrato, potrebbe essere l’ideale partner difensivo di Materazzi. O un tronista intellettuale della De Filippi. Solo uno più perdente di lui (Tipsarevic, ndr), lo salva dall’eliminazione al secondo turno. Fa la voce grossa contro un Nishikori sfiancato, e si abbandona alla dolce morte sbattendo esangue su Berdych. Bulletto tarantolato, a tratti pure divertente nel suo anacronistico agonismo di gommapiuma. Una volta di più, fustigatore a mani nude dei deboli, agnello sacrificale con crestino abbassato contro i tanti Cav. Pezzella (quello che per il Principe De Curtis era simbolo del potente). Ormai buono per la scuderia di Lele Mora, o la pubblicità del Tabasco scaduto.
Nikolay Davydenko: 4,5. Che altro vuoi pretendere. Avrà lasciato ogni residuale energia a Doha. Sfinito e restituito all’ospizio dai bei graffi bimani del micione tedesco Florian Mayer.
Thomas Berdych: 6. Si può dire "mi sta sulle balle?" lo scrivo allora.
Milos Raonic: 6,5. Canadese di origine slava, da almeno un paio d’anni fa gridare all’imminente esplosione. Pesta sodo a Toronto (al limite nel challenger di Gramby), poi sparisce vittima della malasorte. A Melbourne invece esplode in tutto il suo violento potenziale. Servizio devastante, colpi a rimbalzo poderosi, senza per questo dover stuprare volèe ad ogni costo, come molti “corri e tira” della sua generazione. Potrebbe anche bastare. Simile ad un rullo compressore passa su gente navigata, sebbene fatua, come Llodra e Youzhny. Contro ogni pronostico (non certo il mio, che ne so una più del diavolo). Si arrende solo in ottavi, non prima di aver dimostrato che i colpi per battere un Ferrer li possiede.
Grigor Dimitrov: 6. Indicato come il prescelto da almeno un paio d’anni, ha fatto i conti con la dura realtà. Si è rimboccato le maniche e ricominciato tutto daccapo nei challenger. In Australia passa di slancio le qualificazioni e tritura agevolmente lo spettro di Andrei Golubev (sempre più italiano), prima di cedere a Wawrinka. Ancora presto per dire se il piccolo Federer costruito in provetta possa diventare campione, ma top 20 senza alcun dubbio.
Leziosa inutilità perdente. Vasta ed al solito abbondante, la fauna dei perdenti di mestiere. Impegnati a sollazzare animi evidentemente alterati, prigionieri di un delirio nichilistico senza via di scampo. Ovviamente, tutti senza il voto che si dà agli esseri animati. Per Richard Gasquet si rischia l’ennesima interessantissima dissertazione sull’autopsia di un alieno inesistente. Batte il minimalista connazionale Mannarino, cede senza nemmeno un guizzo a Thomas Berdych. Neppure una flebile traccia di del diciassettenne sfrontato che superò Federer a Montecarlo. Men che meno di quel passante di rovescio tirato tre metri fuori dal campo. Ormai vaga per il campo come un qualsiasi ragazzo angosciato, curato con gli elettrodi sulle tempie. Il brado volo di una rondine, guarito da qualche luminare, tagliandone le ali. Amen. C’è il Kohli, che proprio un paio d’anni fa esplose sui campi di Melbourne scotennando di gusto Andy Roddick a suon di rovesci. Ne sguaina una manciata anche quest’anno. Tanto basta per vincere il primo set ed insegnare tennis a Berdych. Poi si arrocca nella sua alcova di marzapane caramellata, e perde al quarto.
E come dimenticare Philipp Petzschner. Ispirato e guizzante come un totano esaltato, dileggia tennisticamente la sagoma afflosciata di Jo-Tsonga. Per due set. Poi pensa che può persino vincere, il cervello fa “Giacomo-Giacomo” e ciao Pepp. Invano prova ad esibire tutto il suo agonismo da cincillà arrabbiato, nel quinto set. Nuovo adepto della setta di alterati geni fini a se stessi, è Benoit Paire. Onora al meglio la wild card trinciando il volenteroso Flavio Cipolla al primo turno. Scanzonato, naif, surreale e trasandato come un gatto randagio. Imprevedibile ed a tratti geniale, ma ancora troppo arrangiato. Tra una smorzata, palle anestetizzate ed una grandinata di saette vincenti a ripetizione. Perde in quattro tirati set da Ivan Ljubicic, un match che malgrado i semidilettanteschi limiti, il bohemienne transalpino poteva anche vincere.
Tragica inutilità perdente (italtennis). Oh-là. Fabio Fognini, il nostro proditorio “McSafin” meno talentuoso di Ginepri, è tipo che si esalta nella grandi occasioni. Ischerzato da Kei Nishikori al primo turno, malgrado un manipolo di italiani lo incoraggi in modo commovente: “Forza La fogna!”. Rinchiudete per primo chi ha congegnato un simile pseudonimo raccapricciante. Malgrado tutto, resta il nostro miglior prodottino (lo ha detto anche la Maionchi). Andreas Seppi illumina d’azzurro l'asfissiante cielo d’Australia. Recupera due set di svantaggio ad un simpatico Matusalemme gnomo con gli occhiali (Clement). Il proditorio, grintoso e veemente tigrotto albino fa la voce grossa. Costringe anche Tsonga a due tie-break, ovviamente persi. Filippo Volandri. Col volenteroso peregrinare per challenger di tutta Italia in lambretta, si è riguadagnato la top 100 ed un viaggio pagato in Australia. La decorosa resistenza di tre set ad Andreev è il massimo che si poteva pretendere da uno cui hanno fatto vedere il cemento a 17 anni. Potito Starace. Asfaltato da Soderling, prima ancora di entrare in campo. Simone Bolelli. Solo encomi per il nostro “piccolo Federer”. S’è sobbarcato un logorante viaggio oltre oceano. Vuoi mettere il sonno perduto dal giovin talento? Sopportato con ardimento la lontananza dagli agi e le mollezze di un tennis versione familiare. Poi perde da Crugnola nelle qualificazioni, ma non bisogna infierire. Ha solo 26 anni. Avanti adagio. Può essere che due turni a Courmayeur li passi anche. Flavio Cipolla. Lui sì che ci mette carattere e voglia di fare. Passa le qualificazioni, forse rientrerà anche nei primi cento. Più di quello non si può nemmeno immaginare.
Novak Djokovic 8. Orbene. Immaginate Arthur Fonzarelli in palese difficoltà nel pronunciare la parola “scusa”. Ed avrete la mia immagine angosciata, mentre devo inventarmi qualcosa da scrivere sul serbo. E rinvio questa sorta di patibolo intellettuale. Ha condotto un torneo al limite della perfezione, tocca ammerter(selo). Al di là di una finale senza sbavature contro il fantasmo formaggino Murray, costruisce il trionfo grazie all’impeccabile, in cui non ha perdonato le leggerezze di un Federer svagato. Anzi, accanendosi come un cinghiale affamato. Scene viste solo in qualche mattatoio di periferia. Bissa il successo in una prova dello slam tre anni dopo la sua prima affermazione. E vorrà anche dire qualcosa anche questo. Tre anni di patimenti e manifesta arroganza tennistica, che ne hanno impedito la definitiva esplosione. Un trionfo di faccette, smorfie di una bruttezza leggendaria, medical time out, ritiri e malanni da ipocondriaco, teatrini e racchette frantumate in modo costruito. Messe da parte queste tremebonde distorsioni, s’è scoperto un tennista consistente, determinato, solido. Tanto basta per ridurre il gap dai primi due, o almeno approfittare di qualche loro eclisse. Una maturazione mentale, ma anche fisica, verso cui anche i suoi sostenitori sembravano aver perso la speranza dopo averlo visto bistrattato ed scherzato, nemmeno tanto tempo fa, da gente brava, ma attempata o dall’agonismo morente (Haas o Kohlschreiber). Il Djokovic sbocciato come betulla storta in autunno è un nuovo tennista. Mentalmente sereno e fisicamente efficace, benché di epica ineleganza. Basta vederlo, sciancato e con le gambe snodate, simile ad una marionetta irriducibile, fiondarsi su ogni palla. Non è mai troppo tardi. Se non per piacere, almeno per vincere.
Andy Murray: 7. Eccolo, l’altro eroe nuovo. Che assieme a Nole deve farci dimenticare in fretta la rivalità Nadal-Federer. Sono sufficienti tre minuti della finale, per farsi due o tre croci all’inverso, e sperare sia solo un incubo. Per il tennis. Lo scozzese fallisce la terza finale di slam. E se due indizi fanno una prova, tre potrebbero essere sufficienti per abbozzare una sentenza di primo grado. Senza lodi, trucchi e burocratici difetti di competenza che tengano. Andy appare una banderuola sbrindellata nel mezzo dell’oceano, sbattuto dall’impetuoso vento serbo. In testa aveva la convinzione che bastasse una normale prestazione “pallettaristicamente” varia dal fondo. Qualche angolo qui e là, ad imbrigliare l’esagitato avversario. Ma quello, con un polpaccio dietro la schiena, e l’altra gamba stesa a 180 gradi, riprende agevolmente ogni colpo di spillo morto dello scozzese, prima di piazzare il vincente. C’è match fino al 4-4, poi è un triste accompagnarsi alla deriva, come balena piaggiata, malgrado quel digrignar di denti da incubo notturno. Mamma Jude, bardata come la sacerdotessa di una setta satanica, comanda “calma e gesso”. Gli fa chiaramente segno di non perdere la Trebisonda, e continuare così. Con calma, a remare neanche fosse Chesnokov con una bella mano. E il “Phantoms” britannico ubbidisce, senza mai azzardare qualcosa di diverso. Lui che pure potrebbe. Non stupisce la sconfitta, ma la tragica rassegnazione. Perché uno slam non si può perdere senza provare qualcosa, anche sotto di due set. Uno snobismo incurante e sprezzante, senza motivo. Involuzione imbarazzante rispetto alla finale del 2010, quando lo scozzese giocò un match al limite delle sue possibilità, pur soccombendo di fronte ad un Federer sontuoso. Per il selvaggio “bamboccione” di Scozia, urge una drastica soluzione. Liberarsi definitivamente da quel tragicomico legame asfissiante con la sua “factotum” domatrice, trovarsi un allenatore serio, mollare il nintendo.
David Ferrer: 7. Occhio agitato, ciuffi di capelli penduli sugli occhi, mascella squadrata ed urla belluine simili a rigurgiti demoniaci, mentre arpiona colpi di gran ruvidezza. Nei quarti con Nadal, entra in campo con la consueta rassegnazione. Nello sguardo basso la nitida consapevolezza di un’altra carneficina da dover sopportare con gran dignità ed in spalla un asciugamano da rosicchiare, per distendere i nervi. Poi quell’altro si rompe dopo tre games e lui, quasi imbarazzato, rischia di cappottarsi da solo contro il simulacro infermo. Alla fine vince, inevitabilmente. Rende la vita difficile anche a Murray in semifinale. A posteriori, avrebbe dato più brio lui alla finale. Pensate come siamo messi.
Roger Federer: 6,5. Il re dormiente, tra sprazzi antichi e pause colossali. Assoli virtuosi e stecche madornali. Passa con disinvoltura dai proverbiali soliloqui che non ammettono umana replica, a sopite fughe dalla realtà terrena. Sciorina tennis marziano per annichilire il redivivo Malisse e poi il connazionale Wawrinka nei quarti. Pare lanciatissimo, liberatosi anche dell’incombente minaccia di Nadal, già fuori. Ma è forse lì, tanto per fare inutile letteratura psicodrammatica, che a livello inconscio deve essersi rilassato. Djokovic, che la psicologia se la mangia ad insalata, non ha avuto alcuna pietà e mentre quell’altro pensava ad ombre plumbee su distese floreali, si è avventato sulla preda. La controfigura del monarca antico, ne combina più di Bertoldo: Un set combattuto, perso allo sprint decisivo. Un altro lasciato lì per 7-5, dopo l’ennesima fuga da smemorato, quando conduceva 5-2. Il terzo, in cui non riesce a mostrare i denti, malgrado un controbreak sul 4-4 quando l’altro cominciava a tremolare un poco. Abbrivio che a Connors, senza un immacolato talento su cui adagiarsi, avrebbe procurato un multiplo orgasmo con tanto di pugni roteanti in faccia a gente attonita nelle prime file, trance agonistica e vittoria al quinto.
Rafael Nadal. 6,5. Cede ancora. Al fisico. Come quasi normale che sia, per un tennista che ha fatto dell’esasperazione atletica la ragione dei propri successi. Poco più che sgambate rilassate fino ai quarti, dove avviene il fattaccio. Paga un infortunio al bicipite femorale della coscia sinistra. Malanno fastidioso, che non gli impedisce di continuare. Come un comune normale e senza poter forzare le inumane evoluzioni in corsa, recupero ed uncino, che ne hanno fatto il numero uno al mondo. Corre e gioca tre set come fosse tennista normale. Se non proprio normale, diciamo come Bolelli. Il suo tennis talmente forzato, specie sui terreni duri, lo espone a questi rischi del mestiere. Non si ritira, forse per non rovinare la gioia al connazionale Ferrer, e per regalargli una gioia. Con tanto di espressione funerea e rassegnata.
Stanislas Wawrinka: 6. Quel rovescio altero e superbo su di lui, è come vedere le labbra imbronciate di Scarlett Johansson sul volto di Ignazio La Russa. Altro quarto di finale, dopo la bella cavalcata a New York. Lascia le briciole al predestinato teenager Grigor Dimitrov e a due vecchie/giovani lenze come Monfils (5, a prescindere) e Roddick (4,5 calante senza brio). Poi fa da paggetto rassegnato ad assistere allo spettacolo superiore, contro il connazionale celebre, Federer. Perché dal morbo di “bel tennista catastale” non si guarisce mai del tutto.
Alexand Dolgopolov: 7. Irrompe come un tornado ipertricotico nell’ingessata seconda settimana dello slam australe. Svilisce le potenze annebbiate di Tsonga e Soderling. Lotta anche nei quarti di finale con Murray. Gambe secche, movenze frenetiche e tic esasperanti, ma un braccio veloce e dotato. Una libellula impazzita che colpisce con fendenti di fluida violenza. Se il fisico regge, il 2011 potrà essere l’anno dell’ucraino con la coroncina da Madonnina del Pozzo.
Robin Soderling: 5,5. Pistolesi, al solito sciupato come chi ha mangiato solo due buoi muschiati rosolati nel lardo di colonnata, forse si attendeva qualcosa di più dal suo neo allievo. Mandato fuori giri da un Dolgopolov ispirato. Invece mostra limiti e pericoli di un tennis persino divertente nella sua accecata ed ignorante violenza. L’automa progettato per distruggere va in cortocircuito neurocerebrale, appena deve congegnare qualcosa di diverso. Lo sappiamo.
Juan Martin Del Potro: 6 (di umana comprensione). Malinconia mista a sbigottimento, suscita il suo mesto ritorno, quasi fosse la versione minore dell’altro figlio di Tandil (Juan Monaco, 5,5). Dodici mesi dopo che il suo polso era andato in frantumi, mostra ancora le cicatrici di un infortunio grave da superare. Fisicamente e mentalmente. Basta un Baghdatis normale per farlo fuori. Per chi non vuole rassegnarsi, rinviato a settembre (o ai due Masters 1000 americani di Marzo/Aprile).
Mikhail Youzhny: 5--. Senza volerlo si ritrova un tabellone da semifinale. E invece implode miseramente sotto le alabarde terrificanti di Milos Raonic. Stavolta il solo braccio su un fisico bolso e meningi simili ad un cesto in cui si annidano anguille drogate con la morfina, non basta.
Jo-Wilfried Tsonga: 5,5. Batte Petzschner e Seppi, quasi giocando al gatto coi topolini guizzanti ed invertebrati. Poi se li pappa, pur in condizioni pietose. Cede alla maggior freschezza e vivacità di Dolgopolov. Rimane solo qualche diapositiva ferma e l’introiezione folle di un magnifico tennista capace di potenza ed imprevedibili ricami. Il delirante concerto di tamburi e violini, che solo un tossico in crisi d’astinenza poteva credere reale per più di due o tre partite casuali (pubblica ammenda, e capo cosparso di cenere). Una prece a lui
Jankko Tipsarevic: 4,5. Per due set ridicolizza lo spettro inceppato di Verdasco. Poi, mentre elabora mentalmente la riproposizione riferita alle mosche cavalline de “La peste” di Sartre e s’interroga sull’Io trascendente ontologicamente applicato al tormentato nulla. E si ritrova sotto la doccia. Mentre quell’altro agita i pugni in segno di giubilo.
Fernando Verdasco: 5-. Ridotto ad un simil Almagro (3,5 a quella faccia tragica), solo un po’ più sostenibile. Con quella capigliatura da gallo cedrone castrato, potrebbe essere l’ideale partner difensivo di Materazzi. O un tronista intellettuale della De Filippi. Solo uno più perdente di lui (Tipsarevic, ndr), lo salva dall’eliminazione al secondo turno. Fa la voce grossa contro un Nishikori sfiancato, e si abbandona alla dolce morte sbattendo esangue su Berdych. Bulletto tarantolato, a tratti pure divertente nel suo anacronistico agonismo di gommapiuma. Una volta di più, fustigatore a mani nude dei deboli, agnello sacrificale con crestino abbassato contro i tanti Cav. Pezzella (quello che per il Principe De Curtis era simbolo del potente). Ormai buono per la scuderia di Lele Mora, o la pubblicità del Tabasco scaduto.
Nikolay Davydenko: 4,5. Che altro vuoi pretendere. Avrà lasciato ogni residuale energia a Doha. Sfinito e restituito all’ospizio dai bei graffi bimani del micione tedesco Florian Mayer.
Thomas Berdych: 6. Si può dire "mi sta sulle balle?" lo scrivo allora.
Milos Raonic: 6,5. Canadese di origine slava, da almeno un paio d’anni fa gridare all’imminente esplosione. Pesta sodo a Toronto (al limite nel challenger di Gramby), poi sparisce vittima della malasorte. A Melbourne invece esplode in tutto il suo violento potenziale. Servizio devastante, colpi a rimbalzo poderosi, senza per questo dover stuprare volèe ad ogni costo, come molti “corri e tira” della sua generazione. Potrebbe anche bastare. Simile ad un rullo compressore passa su gente navigata, sebbene fatua, come Llodra e Youzhny. Contro ogni pronostico (non certo il mio, che ne so una più del diavolo). Si arrende solo in ottavi, non prima di aver dimostrato che i colpi per battere un Ferrer li possiede.
Grigor Dimitrov: 6. Indicato come il prescelto da almeno un paio d’anni, ha fatto i conti con la dura realtà. Si è rimboccato le maniche e ricominciato tutto daccapo nei challenger. In Australia passa di slancio le qualificazioni e tritura agevolmente lo spettro di Andrei Golubev (sempre più italiano), prima di cedere a Wawrinka. Ancora presto per dire se il piccolo Federer costruito in provetta possa diventare campione, ma top 20 senza alcun dubbio.
Leziosa inutilità perdente. Vasta ed al solito abbondante, la fauna dei perdenti di mestiere. Impegnati a sollazzare animi evidentemente alterati, prigionieri di un delirio nichilistico senza via di scampo. Ovviamente, tutti senza il voto che si dà agli esseri animati. Per Richard Gasquet si rischia l’ennesima interessantissima dissertazione sull’autopsia di un alieno inesistente. Batte il minimalista connazionale Mannarino, cede senza nemmeno un guizzo a Thomas Berdych. Neppure una flebile traccia di del diciassettenne sfrontato che superò Federer a Montecarlo. Men che meno di quel passante di rovescio tirato tre metri fuori dal campo. Ormai vaga per il campo come un qualsiasi ragazzo angosciato, curato con gli elettrodi sulle tempie. Il brado volo di una rondine, guarito da qualche luminare, tagliandone le ali. Amen. C’è il Kohli, che proprio un paio d’anni fa esplose sui campi di Melbourne scotennando di gusto Andy Roddick a suon di rovesci. Ne sguaina una manciata anche quest’anno. Tanto basta per vincere il primo set ed insegnare tennis a Berdych. Poi si arrocca nella sua alcova di marzapane caramellata, e perde al quarto.
E come dimenticare Philipp Petzschner. Ispirato e guizzante come un totano esaltato, dileggia tennisticamente la sagoma afflosciata di Jo-Tsonga. Per due set. Poi pensa che può persino vincere, il cervello fa “Giacomo-Giacomo” e ciao Pepp. Invano prova ad esibire tutto il suo agonismo da cincillà arrabbiato, nel quinto set. Nuovo adepto della setta di alterati geni fini a se stessi, è Benoit Paire. Onora al meglio la wild card trinciando il volenteroso Flavio Cipolla al primo turno. Scanzonato, naif, surreale e trasandato come un gatto randagio. Imprevedibile ed a tratti geniale, ma ancora troppo arrangiato. Tra una smorzata, palle anestetizzate ed una grandinata di saette vincenti a ripetizione. Perde in quattro tirati set da Ivan Ljubicic, un match che malgrado i semidilettanteschi limiti, il bohemienne transalpino poteva anche vincere.
Tragica inutilità perdente (italtennis). Oh-là. Fabio Fognini, il nostro proditorio “McSafin” meno talentuoso di Ginepri, è tipo che si esalta nella grandi occasioni. Ischerzato da Kei Nishikori al primo turno, malgrado un manipolo di italiani lo incoraggi in modo commovente: “Forza La fogna!”. Rinchiudete per primo chi ha congegnato un simile pseudonimo raccapricciante. Malgrado tutto, resta il nostro miglior prodottino (lo ha detto anche la Maionchi). Andreas Seppi illumina d’azzurro l'asfissiante cielo d’Australia. Recupera due set di svantaggio ad un simpatico Matusalemme gnomo con gli occhiali (Clement). Il proditorio, grintoso e veemente tigrotto albino fa la voce grossa. Costringe anche Tsonga a due tie-break, ovviamente persi. Filippo Volandri. Col volenteroso peregrinare per challenger di tutta Italia in lambretta, si è riguadagnato la top 100 ed un viaggio pagato in Australia. La decorosa resistenza di tre set ad Andreev è il massimo che si poteva pretendere da uno cui hanno fatto vedere il cemento a 17 anni. Potito Starace. Asfaltato da Soderling, prima ancora di entrare in campo. Simone Bolelli. Solo encomi per il nostro “piccolo Federer”. S’è sobbarcato un logorante viaggio oltre oceano. Vuoi mettere il sonno perduto dal giovin talento? Sopportato con ardimento la lontananza dagli agi e le mollezze di un tennis versione familiare. Poi perde da Crugnola nelle qualificazioni, ma non bisogna infierire. Ha solo 26 anni. Avanti adagio. Può essere che due turni a Courmayeur li passi anche. Flavio Cipolla. Lui sì che ci mette carattere e voglia di fare. Passa le qualificazioni, forse rientrerà anche nei primi cento. Più di quello non si può nemmeno immaginare.
Caro Picasso,
RispondiEliminasei troppo generoso! (con taluni giocatori).
O forse sono io troppo criticone ed esigente.
Ecco le mie rettifiche sui 3 giocatori di cui non condivido appieno il tuo giudizio. ;-)
- Federer merita, a mio avviso, non più di 6. Altalenanza di prestazioni decisamente intollerabile per lui, "l'istituzione del tennis", che oltretutto va decantando (più o meno dal torneo di Halle 2010) di voler riagguantare il N.1. Sèh... a tavola forse.
- A Murray non avrei dato più di 6 (e giusto perché non si può dare un'insufficienza a un finalista di slam). Gli unici due potenziali pericoli che poteva trovare erano Soderling e Nadal, e per sua fortuna li ha evitati: ci mancava solo, viste le circostanze, che non raggiungesse la finale! (E a momenti c'è riuscito, eh). Una volta arrivato all'ultimo atto, ha fatto un casino. È stato sconfitto da sé stesso ancor prima che da Djokovic. Anima in pena durante tutto il match. Attendista, come suo solito nelle occasioni importanti. Davvero deprimente, oltre che ridicolo. E poi continuava a sclerare contro il "suo gruppo" (mamma & staff, che ovviamente lo incitavano pesantemente per ogni 15, indistintamente se fatto o subìto; come se il pargolo non avesse già sufficiente pressione addosso). E infine, nemmeno ha detto "grazie" alle due ragazzine che gli han portato le tanto reclamate racchette accordate.
- In compenso, a Wawrinka avrei concesso qualcosina di più. Direi un 7. Alla vigilia del torneo non era per niente evidente che superasse in sequenza Monfils e Roddick; anzi, si tratta di due autentici exploit rispetto ai suoi standard. Per il resto, al di là della sua indubbia sudditanza verso Federer, c'è da dire che nel quarto di finale "tutto svizzero" Roger ha fatto il suo miglior match del torneo. Credo che anche Djokovic, con un Federer del genere, avrebbe finito per soccombere.
Ciao! ;-)
Ciao Fabio,
RispondiEliminaprendi i voti per quelli che sono. Sono fatti senza consultare il metodo pozzi-ginori, anzi spesso sono casuali. Quello che importa (o dovrebbe) credo sia il contenuto e non il numero. Poi certo, ci stanno le considerazioni che hai fatto sui tre...
Tutto è sostanzialmente relativo, ma dare 7 (a Wawrinka) e 6 a chi lo ha brutalizzato mettendone in evidenza i limiti e l'imbarazzante sudditanza, forse era troppo. Anche considerando le diverse ambizioni ed obiettivi iniziali, ed il fatto che uno deve sempre vincere e l'altro è un outsider, lo scontro diretto è stato troppo brutale...
Perfettamente concrde con Murray. A memoria d'uomo è il pù basso voto mai dato ad un finalista di slam (imbarazzante quanto si vuole). Prima o poi dovrebbe lasciare quell'accolita di esaltati che lo circonda...=) Ma, bene o male, la finale l'ha raggiunta. Più male che bene.
Ciao, a presto.
Ciao Picasso, eccoci qua. Se posso, aggiungo al tragico menefreghismo perdente il mio 2 (euro persi) per Gulbis, credo falcidiato da B. Becker (o era Berrer? è uguale, forse poteva esserci pure mia nonna).
RispondiEliminaDolgopolov e Raonic sono belle speranze. Su Tsonga, io non ho visto la partita, ma dal punteggio mi è parso che abbia ceduto di schianto, quando era due set a uno sopra. Forse (molto forse) è in fase di ripresa. Certo, combattere con quel fisico cigolante e con quella testa da "stasera non mi ricordo se devo uscire col gruppo del bistrot o con un pullman di svedesi" non deve essere una cosa facile.
Io con i voti non sono per niente brava, e tu mi sa che sei uno dei quei professori che non superano mai l'8 e che non scendono sotto il 4. Concordo.
RispondiEliminaI miei pupilli: un disastro! Mi aspettavo qualcosina di più da Youzny, molto di più, sugli altri nemmeno commento ed aspetto vincano uno slam. Hai trovato l'aggettivo perfetto per Gasquet, oramai è lezioso, perennemente. Ringrazio sentitamente Dolgopolov per lo spettacolo offerto.
Golubev è ufficialmente italiano :((, dopo amburgo è crollato a picco o probabilmente è stata solo una scintilla casuale,speriamo di no, era l'unica nostra speranza la sua naturalizzazione e degli altri so che già stai male te a parlarne.
Come ti avevo già detto mi è spiaciuto per Robin per quanto sia contraddittorio, ma devo ammettere che per quello che ho visto, mi sembra stia provando anche ad aggiungere (chiamiamolo così) un piano B al suo gioco. L'ho visto provare a spostarsi nei pressi della rete, il rovescio...spero ci riesca perchè è quello che gli manca per arrivare in fondo, ovviamente mantenendo il suo status da -serial killer scandinavo dei boschi inesistenti flagellatore di record altrui- che non so perchè, mi piace tanto.
Il federer in provetta non sono ancora riuscita a vederlo e Raonic boh...vedremo.
Nole è stato perfetto, nel suo tennis.
Murray, è andata così, non ha provato nulla se non in un sussulto di orgoglio, lui scappa quando è ora di imporsi, eppure ha mostrato che il piano b ce l'ha e se vuole lo applica. Cmq ha una pressione mediatica britannica esagerata e crudele, invece di sostenerlo lo tranciano.
Ho visto la partita da metà del 2 set con un occhio solo perchè, alla fine non reggevo la mattanza (sono juventina ultimamente ne assisto a molte, troppe, non reggo sportivamente più), mi sono persa le crisi isteriche che pare aver avuto con la mamma e con racchette. Probabilmente lo vincerà sto slam, ma deve trovarsi un allenatore vero e maturare, purtroppo Djoko è più maturo e la maturazione è soggettiva, mamma alle calcagna a parte in questo caso
@Arturo,
RispondiEliminaha perso contro Benjamin Becker, il giovin campione lettone. Ecco, m'ero anche dimenticato di citarlo (oltre a Nalbandian, che invece è stato uno dei pochi a fare qualcosa di bello). Tornando alle cose serie, Tsonga purtroppo è da tempo in queste condizioni. Vuoi per il il fisico, le motivazioni o le svedesi. Ed ormai non nutro più grandi speranze. Un peccato, perchè il suo tennis devastante e ricamato rimane una cosa rara.
@Jess,
certo, non vado mai sotto al 4. Perchè ai miei tempi prendere mi 4/4,5 dava una speranza. Murray catastrofico, confuso, nervoso, rinunciatario. Distrutto da un buon Djokovic. E quel manipolo di esagitati di certo non contribuisce a rasserenare uno che già di suo hala guerra punica (persa) in testa.
Golubev, pur non essendo fenomeno, dovrebbe tornare a far valere i suoi geni non-italiani. Degli altri alfieri tricolori, è la natura malvagia farci del male. =)
Youzhny, a posteriori, poteva fare semifinale al posto di Murray. Ma con Raonic l'ho visto in balia delle tramontane canadesi. Soderling certo, prova a concepire qualcosa di diverso. Ma rimane più efficace quando fa il suo mestier. Gasquet, quale aggettivo? Ne avrò usato tremiladuecentosei. Ma ognuno va comunque bene, nell'inutilità.