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sabato 5 febbraio 2011

FED CUP 2011 - JARMILA BUM-BUM SPAVENTA L'ITALIA


Uno ci prova anche, ad essere italiano. Torna a casa quando è ancor ben lungi dal fosco albeggiar in pianura, con le gambe pesanti e la mente resa saettante da quattro Tennent’s. Cerca di rafforzare lo spirito ingollando a garganella un ottimo Lagavullin ormai al melancolico scolo. Australia-Italia di Federations Cup, che si disputa in ameni luoghi stranieri, nel pieno della Tasmania. Voglio dire. Uno deve tifare “La Itaglia nostra bella”. Che diamine. Qualcosa di cui essere orgogliosi della patria, dopo una giornata in cui un vecchio squilibrato malato di satiriasi e col volto posticcio steso nel proverbiale sorriso di cemento, ci ha umiliato ancora una volta a Bruxelles. Con la sua sola imbarazzante presenza e folli frasi incensanti il dittatore Mubarak. Guardato come un povero pazzo da tutti i membri dell’Unione, al limite suscitando qualche risolino. L’Italia chiamò. Fortificato da quella corazza alcolica, stavolta non posso fallire nell’intento supremo. Non è nella mia discografia, altrimenti metterei quel pezzo commovente di Toto Cutugno (quello dell'italiano vero, per intenderci). Ripiego su una foto di La Russa per darmi coraggio. Il match inizia. C’è Francesca Schiavone. Commentata da Fabretti.
Comincio ad essere inquieto, nel mio tricolore immaginifico.
Strilla come una scimmia marsupiale frullando colpi, la milanese. Saltella col suo debordante carico di femmineo fascino, trasudando simpatia da ogni poro. Il commentatore non si tiene. E’ eccitato nella sua ripugnante e logorroica elegia della nostra tennista. Uno che non conosce della vita, potrebbe essere indotto a credere che quella sagoma esalante triviali urla belluine e pallate arrotate, sia molto più forte di Martina Navratilova e Billie Jean King messe assieme. O persino di Maria Josè Martinez Sanchez, che lasciò alla nostra eroina due games di umana pietà in quel di Roma. Non conosce mica Jarmila Groth, il gigioneggiante commentatore adenoideo. Non sa chi sia. Chiedetegli di Van Peteghem, Chiappucci e Petacchi. E vi dirà qualcosa di sensato, forse.
Sfilo il tricolore immaginario, e cerco il Lexotan.
Finito.
Nel mezzo di quell’orrore partigiano che descrive estaticamente gesta femminili da far impallidire Pappalardo con la jugulare rigonfia, c’è la vezzosa Jarmila. Fanciulla slovacca di nascita, australiana d’adozione, che d’improvviso diventa musa ancestrale. Bella, di una languida femminilità compita, serena ed anche brava. Deliziosa, Jarmila. Tira tutto il possibile, sempre e comunque, nel suo folle progetto anticipato. Dardi e saette. Di dritto e soprattutto di rovescio bimane, colpo principe del suo repertorio e portato con gran scioltezza atipica. Lei che da piccina giocava anche con la sinistra. Testarda ed idealista, mi piace ancor di più. Cede però, nel delicato e decisivo momento clou tra la fine del primo set e l’inizio del secondo. Ha un momento di scorato cedimento, pur senza scomporsi o lasciarsi andare a gesti di mascolina repellenza o smoccoli ripugnanti. Il maramaldo italiota continua in un delirante soliloquio tricolore. Un rossiniano crescendo afono da far accapponare la pelle. Ovviamente, quando la vil preda straniera sembra nel sacco (7-6 2-0 40-15) si arriva al consueto dileggio dell’avversaria già vinta. Si sollazza di gusto. “Ahah…altro drittaccio che se ne va…”. La tapina australiana sbaglia un facile colpo a campo aperto, e quello in cabina: “questo colpo è nel repertorio della ragazza, eh Rita?…heheh”.Sono ormai diventato un ultrà australiano.
L’ominide in sottofondo riuscirebbe a rendere antitaliano anche un La Russa intento, con espressione rassicurante, a cantare l’inno di Mameli a squarciagola.
Praticamente hanno già cotto ed imburrato in padella la cangura. Ma quella ha sette vite. La osservi durante il cambio campo, sotto nel punteggio, in casa, in un match di Fed Cup. E disserta amabilmente col capitano, lasciandosi andare a qualche sorriso conturbante. C’è del bene nella Wta, in fondo. D’incanto con la forza della calma riprende a sciorinar selvatici fendenti aguzzi e anticipati e in controtempo. Colpi come graniuole e bordate di servizio. Dall’Italia lo pensano, non lo dicono ma lo lasciano intuire: “Dovrebbero vietare di tirarlo oltre i 190 km/h, eh…sennò Francy come fa?”. Anche sbronzo come un cencio sfatto, riesco a vedere una realtà fin troppo evidente: Schiavone è destabilizzata da un tennis così atipico. Non ha punti di riferimento. Sbigottita, non riesce a prendere ritmo. Tanto meno ad evitare che l’altra continui a tirare mine. Il cantore italico avverte il periglio. Ed ecco l’ennesimo must di indecente partigianeria, come nemmeno un miope ultrà da curva. Un recupero disperato della milanese va lemme-lemme fuori dalle righe, a due all’ora, sotto la sedia del giudice arbitro. E lui, al comodo della sua poltrona, in Italia: “Era buona! Era buona questa! Si alza anche Barazzutti (sottinteso: e se si alza Barazzutti so’ cazzi!)”. L’impietoso replay mostra la palla fuori di mezzo metro buono. “Forse siamo di parte…”, si schernisce la sventurata Rita Grande, in un sussulto di professionale decenza (lei che non è giornalista). “Eh ma sai, su questa palla ero indeciso…”. Chiosa l’eroe. Nell’ubriachezza funesta immagino Fabretti divenuto coach di Seppi. L’immagine è bellissima. Poi un macaco che urla (quasi) come la Schiavone, svolazzando giulivo di ramo in ramo, nelle foresta pluviale.
Bando alle comiche, Jarmila vola come una diavolessa placida. Compita e femminea. Chiude il secondo, scappa anche nel terzo. I narratori si aggrappano alla cabala, a tutto il possibile. La Grande è sconsolata. “La vedo spenta, Francesca. Nemmeno un pugnetto, non grida nemmeno ‘vai’…”. Come al solito, anche lei per sfinimento e stanchezza è travolta dall’insipienza.
Ormai sono arrivato allo svilito disprezzo del tricolore.
Tra rantolati colpi smidollati dell’azzurra e commenti malati, temo mi facciano giungere al vilipendio. Potrebbero tranquillamente. Non è tennis, è cronaca di un lamentoso vitello (maschio) che si lagna mentre lo stanno sgozzando. Fate qualcosa. Dov’è il tennis? Le bianche gesta d’elegante snobismo estetico? E’ invece la morte dell’estetica, questa. Un ammazzamento notte tempo Ed a quel punto della nottata non m’impippa più un tubo che riesca a colpire in top e in back, in chop e in uderspin e overbackspin e un dehor e vattelapesca nel giro dello stesso scambio.
L’aussie è lanciatissima. Scambio duro e (per una volta) lungo, che Jarmila chiude con una delirante e liberatoria smorzata in controbalzo. Colpo fantastico e di difficoltà 100 su 10. Figurati se se ne accorgono. Pensano al caso. Vuoi che uno impegnato a commentare una gara di cicloamatori della Val di Susa, sappia che l’australiana veniva punita dal suo (malato) coach dopo ognuna delle innumerevoli smorzate che soleva tirare? Niente. Nemmeno un breve scrosci di pioggia frena la corsa della cangura, che chiude: 6-7 6-3 6-3.
Poi ci pensa Pennetta a riequilibrare le sorti battendo Samantha Stosur. Ma io dormivo della grossa. E chissà quali altre imperiture gemme saranno volate.
Sarei arrivato al vilipendio.

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.