Day 13 – Dal vostro ineffabile inviato, che medita sotto un albero dalle vaste fronde
Troia (FG, residenza estiva del nostro amatissimo premier), 29-01-2011 - Gli Australian Open 2011, emettono il loro primo verdetto nella tarda mattinata europea. Kim Clijsters e Na Li si affrontavano in una finale attesa, meritata e forse più equilibrata di quanto pensassero allibratori, esperti, cacciatori di quaglie selvatiche ed avvinazzati semplici. Un confronto tra due atlete ormai nella piena maturità fisica e con la variante della prima cinese a poter vincere un torneo major. Sulle tribune parecchie facce con gli occhi a mandorla palpitano per la loro eroina ad un passo dalla storia.
Inquietante bardatura nera al ginocchio e proverbiale tatuaggio in bella mostra sul petto, la figlia di Mao, reduce da undici vittorie di fila in questo scorcio di stagione, inizia con gran piglio mescolato a calma orientale. Allo stesso modo in cui ha condotto l’intero torneo. Piedi dentro il campo e forcing continuo, in perenne anticipo. Kim sembra la più nervosa delle due. Paga il ruolo di favorita. I proverbiali fendenti schioccati con gran facilità a scavare angoli nel quadrilatero, spesso vanno fuori misura. Ma la cinese sembra una formica mutante che ti ritrovi ovunque, ed induce la belga ad andare fuori giri. Cavallo basso, gran corse e bravissima nelle due fasi, di attacco e difesa disperata.
Na Li si avvicina ad un a vittoria epocale, portando a casa il primo set. Ed anche l’inizio della seconda partita dà l’impressione di non voler mollare niente. Kim ha la faccia paciocca ed i lineamenti arricciati delle situazioni più delicate. Quando diventa la versione adulta della nipotina di “tre nipoti ed un maggiordomo”. Ma è lì che la belga dimostra di essere la reale numero uno al mondo, malgrado quello che stabilisce il computer. Calma olimpica, classe e mentalità vincente senza nessun forsennato agonismo di gommapiuma, riesce a risalire la china con grande pazienza. Si dimostra una delle due o tre tenniste capaci di variare tattica, in grado di provare qualcosa di differente. Rallenta un filo il ritmo, prova qualche slice per romper il ritmo all’indemoniata avversaria. Pur in un match che resta tutt’altro che bello, ma dominato dal nervosismo. Vince il secondo set e dà lo strappo definitivo all’inizio della terza e decisiva partita.
Scappa avanti di un break dopo un durissimo scambio. La cinese elargisce all’impietosa inquadratura, uno sguardo spento. Guarda il raccattapalle e muove la mano innanzi al viso a mo di tergicristalli, per indicare che anela un asciugamani. Uno di quei gesti che fanno tanto trendy nel moderno tennis, un po’ come nei consessi finto radical chic, nel bel mezzo di un inutile discorso di mass-mediologia applicata alla gnocca (di politica italiana, insomma) qualche subumano vi mima le virgolette con le due dita. E poi ride felice. Ma bando alle divagazioni, quella manina tozza che si muove fiacca, lenta e disperata davanti agli occhi a mandorla persi nel vuoto ancestrale, è il segno che la cinese ha ceduto. Una specie di “no-mas”. Uno non è un tecnico per caso. Talmente sicuro e ardimentoso, che piazzo la lauta somma di 30 euro sulla belga. Per vincere un pacchetto di sigarette (da dieci, però). E infatti ecco sei/sette colpi gettati via da Li (o Na), per la fuga definitiva ed il 4-1 Clijsters.
Prova invano a scuotersi, con un urletti di stridulo sgomento (gnì-gnì), chiede l’ausilio del fato con tre “occhi di falco” sguercio, surreali. Ma l’altra è troppo esperta e scafata per lasciarsi riprendere ancora, e chiude 6-3.
Vince Kim, che porta a casa il quarto titolo di Slam. Il primo a Melbourne. Il terzo da quando un anno e mezzo fa, scrutando il deserto subsahariano della Wta, l’ha colta l’insano desiderio di riprovarci. Si dimostra, se ve n’era bisogno, la migliore di un lotto sgangherato. Con le Williams a mezzo (forse un quarto) servizio, Henin malinconicamente arresasi alle evidenze di un gomito logoro, la triade dell’orrore Ivanovic/Sharapova/Jankovic et similia ridotta a parodia di una caricatura, Wozniacki numero uno costante ma ancora immatura per vincere slam (chiamatela pure contraddizione), Zvonareva che rimane una bella perdente istericamente rassegnata, la mamma volante belga è l’unica ad avere le stimmate tecniche e mentali, della campionessa. E con un filo di continuità può usare i prossimi mesi per diventare numero uno.
Troia (FG, residenza estiva del nostro amatissimo premier), 29-01-2011 - Gli Australian Open 2011, emettono il loro primo verdetto nella tarda mattinata europea. Kim Clijsters e Na Li si affrontavano in una finale attesa, meritata e forse più equilibrata di quanto pensassero allibratori, esperti, cacciatori di quaglie selvatiche ed avvinazzati semplici. Un confronto tra due atlete ormai nella piena maturità fisica e con la variante della prima cinese a poter vincere un torneo major. Sulle tribune parecchie facce con gli occhi a mandorla palpitano per la loro eroina ad un passo dalla storia.
Inquietante bardatura nera al ginocchio e proverbiale tatuaggio in bella mostra sul petto, la figlia di Mao, reduce da undici vittorie di fila in questo scorcio di stagione, inizia con gran piglio mescolato a calma orientale. Allo stesso modo in cui ha condotto l’intero torneo. Piedi dentro il campo e forcing continuo, in perenne anticipo. Kim sembra la più nervosa delle due. Paga il ruolo di favorita. I proverbiali fendenti schioccati con gran facilità a scavare angoli nel quadrilatero, spesso vanno fuori misura. Ma la cinese sembra una formica mutante che ti ritrovi ovunque, ed induce la belga ad andare fuori giri. Cavallo basso, gran corse e bravissima nelle due fasi, di attacco e difesa disperata.
Na Li si avvicina ad un a vittoria epocale, portando a casa il primo set. Ed anche l’inizio della seconda partita dà l’impressione di non voler mollare niente. Kim ha la faccia paciocca ed i lineamenti arricciati delle situazioni più delicate. Quando diventa la versione adulta della nipotina di “tre nipoti ed un maggiordomo”. Ma è lì che la belga dimostra di essere la reale numero uno al mondo, malgrado quello che stabilisce il computer. Calma olimpica, classe e mentalità vincente senza nessun forsennato agonismo di gommapiuma, riesce a risalire la china con grande pazienza. Si dimostra una delle due o tre tenniste capaci di variare tattica, in grado di provare qualcosa di differente. Rallenta un filo il ritmo, prova qualche slice per romper il ritmo all’indemoniata avversaria. Pur in un match che resta tutt’altro che bello, ma dominato dal nervosismo. Vince il secondo set e dà lo strappo definitivo all’inizio della terza e decisiva partita.
Scappa avanti di un break dopo un durissimo scambio. La cinese elargisce all’impietosa inquadratura, uno sguardo spento. Guarda il raccattapalle e muove la mano innanzi al viso a mo di tergicristalli, per indicare che anela un asciugamani. Uno di quei gesti che fanno tanto trendy nel moderno tennis, un po’ come nei consessi finto radical chic, nel bel mezzo di un inutile discorso di mass-mediologia applicata alla gnocca (di politica italiana, insomma) qualche subumano vi mima le virgolette con le due dita. E poi ride felice. Ma bando alle divagazioni, quella manina tozza che si muove fiacca, lenta e disperata davanti agli occhi a mandorla persi nel vuoto ancestrale, è il segno che la cinese ha ceduto. Una specie di “no-mas”. Uno non è un tecnico per caso. Talmente sicuro e ardimentoso, che piazzo la lauta somma di 30 euro sulla belga. Per vincere un pacchetto di sigarette (da dieci, però). E infatti ecco sei/sette colpi gettati via da Li (o Na), per la fuga definitiva ed il 4-1 Clijsters.
Prova invano a scuotersi, con un urletti di stridulo sgomento (gnì-gnì), chiede l’ausilio del fato con tre “occhi di falco” sguercio, surreali. Ma l’altra è troppo esperta e scafata per lasciarsi riprendere ancora, e chiude 6-3.
Vince Kim, che porta a casa il quarto titolo di Slam. Il primo a Melbourne. Il terzo da quando un anno e mezzo fa, scrutando il deserto subsahariano della Wta, l’ha colta l’insano desiderio di riprovarci. Si dimostra, se ve n’era bisogno, la migliore di un lotto sgangherato. Con le Williams a mezzo (forse un quarto) servizio, Henin malinconicamente arresasi alle evidenze di un gomito logoro, la triade dell’orrore Ivanovic/Sharapova/Jankovic et similia ridotta a parodia di una caricatura, Wozniacki numero uno costante ma ancora immatura per vincere slam (chiamatela pure contraddizione), Zvonareva che rimane una bella perdente istericamente rassegnata, la mamma volante belga è l’unica ad avere le stimmate tecniche e mentali, della campionessa. E con un filo di continuità può usare i prossimi mesi per diventare numero uno.
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