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lunedì 7 marzo 2011

DOKIC E PETZSCHNER, UN TRANQUILLO WEEK END DI DELIRIO





L'improvvisa zampata di Jelena. Non sarà certo Wimbledon, dove una Jelena ancora sedicenne e di nazionalità serba, giunse in semifinale. Ma Kuala Lumpur finirà per valerne cento, di championships. Molti anni e chili dopo, ma liberatasi dalla opprimente cappa d’orrore rappresentata dello squilibrato babbo, riecco la nuova Jelena Dokic. Quasi inattesa, a simili livelli. Un torneo condotto sul filo del rasoio e vinto lottando come una tigre della Malesia, fin dal dal match d’esordio. Sull’orlo della sconfitta con Francesca Schiavone, prima che l’italiana urlante mollasse gli ormeggi per un presunto infortunio. E poi ancora ad un quindici dalla sconfitta con la tascabile bambolina di Osaka Karumi Nara di cui son già pazzo (Karumi è questa qui, con tremolanti fiammelle d’emozione contrita negli occhi a mandorla, come in un cartone animato. Guardate tutte le foto, comprese quelle in cui i suoi 142 centimetri scarsi svettano tra la bambolona Wozniacki e la maschia Schiavone, e provate a non innamorarvi.).
Jelena è un’altra tennista rispetto ai trionfanti e tristi inizi. Non soltanto per quei malvagi rivoli di ciccia e le gambe paffute che a tratti la fanno crudelmente somigliare alla sorella bella di Kaia Kanepi o ad uno smarrito e grazioso bufalotto che annaspa brado nei campi. Per ovvie ragioni meno mobile, ma più potente del passato. E con nell’animo quella serenità di chi è rientrata tra le prime cento e nel tennis che conta dalla porta secondaria, remando nei tornei minori. Lei che quella principale l’aveva già divelta da teenager. A volte una porta secondaria può dare più soddisfazione. Ieri, in finale, l’ultimo piccolo grande capolavoro dell’ormai australiana, contro la mancina "Berdych in gonnella", Lucie Safarova. Una rimonta disperata da 2-6 3-5, a suon di rovesci tirati ad occhi chiusi. Osservo qualche fase del tie-break, e ancora tre match point annullati con coraggio e classe, prima di chiudere 11-9. L’impressione che simili vicende siano le cose più belle di questo sport, s’insinua autorevole, unica ed ultima. Assieme agli occhioni e l’espressione imbronciata di Karumi Nara, ovvio. Basterebbe già così, ma in un marasma di break e contro-break, tensione e fasi di lotta fumigante, Jelena Dokic non si accontenta. Continua a lottare con le unghie, provando addirittura a vincere. Il simbolo della sua rinascita è tutto in quella zampata rabbiosa di rovescio che la porta al match point. Una rasoiata lungolinea accompagnata dall'urlo liberatorio. Poco prima di levare le braccia al cielo, facendole timidamente ricadere dietro la nuca.

“Picasso” Petzschner eroico condottiero del gioioso “Wunderbar”. Quello che si presentava in Croazia, pronto a fronteggiare la nazionale slava capeggiata da Marin Cilic, era un autentico “dream team”. Uno squadrone dal gioioso tennis surrealmente fine a se stesso. Un gruppo di funamboli egagri di spumeggiante talento da trapezisti del circo Medrano. La Germania del tennis, crauti e champagne. Per dire. La nazione dell’”Ispettore Derrick”. Vuoi mettere l’italico “Commissario Montalbano”?. Gli stessi tedeschi che nell’82 avevano Hrubesch e Briegel, e noi contavamo su Tardelli e la fantasia brasileira di Bruno Conti. La Germania delle gelide acciaierie che passavano dai piedi di Mathaeus, mentre da qualche altra parte il “dieci” era onorato da Roberto Baggio. Gli appassionati di tennis ora possono godere di vigorose erezioni mentali osservando una classica sciabolata di rovescio del “Kohli”, una pennellata stilnovista di “Picasso”, un lezioso mulinello di Florian Mayer. Da queste latitudini tocca gioire per le dementi scenate di Fognini o le smunte esibizioni di tennis “wii” contro i fantasmi zoppi, di un Seppi.
Inizia lo show Philipp Kohlschreiber, scopertosi involontario leone indomabile. Un cincillà, trasformatosi per un giorno in felino sanguinario. Con quella faccia, gli occhi persi nel vuoto ed il crestino. Ma un rovescio da sturbo. Vince in cinque set, lottando punto a punto con l’esagitato Ivan Dodig. “Kohli” porta in parità il confronto dopo che Florian Mayer, malgrado le mirabolanti evoluzioni geometriche, si era arreso in cinque set alla maggior potenza di Marin Cilic. Il secondo giorno sale in cattedra l’eroe vero, Philipp "Picasso" Petzschner. Un funambolo elettrizzato. Quasi caricato a molle. In quattro anni, così ispirato e deciso lo si era visto solo due o tre volte. In una si stava ingozzando bellamente di “macaorni”. L’altra, coglieva due giunchiglie immaginarie nell’oceano. Zompa e spennella come un satropo. Corre tutto storto e piazza ora schegge di dritto, ora suadenti tocchi morbidi. Un festival di violenza fluida e foglie morte. Il satanasso trova anche il tempo di rispondere ai missili terra aria di Ivo Karlovic, esibendo riflessi indemoniati. Assieme allo storico compagno Christopher Kas, porta alla Germania il punto del doppio alla fine di un’altra battaglia al quinto set, aprendo spiragli inattesi ai tedeschi.
Dopo la sconfitta del Kohli con Cilic, il capitano Patrick Khunen, già buon doppista ai tempi di Boris Becker, ha la fulminazione geniale. Un guizzo di malata ed illuminante lungimiranza visionaria. E folle. Chi meglio del buon Picasso, cui affidare l’esito dell'intero confronto nel match decisivo? Ed eccolo, il pittore che non tradisce le aspettative. Altra prestazione sontuosa ad arginare le bombarde calanti del “Franckenstein” croato Ivo Karlovic (calanti, ma sempre a 251 km/h). Avanti due set ed un break nel terzo, Picasso trova il modo di farci capire che è sempre lui, restituendo il break di vantaggio dopo un game di battuta denso di ripugnante raccapriccio verso il mondo. Le stimmate del fulminato, insomma. Il must del personaggio lo vorrebbe sconfitto al quinto. Ma sarebbe stato troppo. Era il suo week-end, del resto. L’eroe moderno rinsavisce in tempo per chiudere il terzo set al tie-brek. Giubilante e portato in trionfo dall’intera squadra.


“L’amore e morte” in salsa argentina, firmato David Nalbandian. Passa anche la Serbia detentrice del titolo, priva di Djokovic. Il confronto è acceso dalla consueta amnesia di Janko Tipsarevic, al solito soffocato tra Sofocle, Proust, e un dritto steccato in onore agli dei dell’Olimpo. Zimonjic (figlio illegittimo di La Russa) e Bozoljac in doppio, rimettono le cose a posto. L’affidabile spiritato Troicki, conclude l’opera. Ma se gli indiani avessero potuto contare sui matusalemme Paes/Buphati (attualmente a curare l’artrite in una casa di cura termale), per i serbi il week end poteva trasformarsi in incubo.
La Spagna passeggia a Charleroi, sui miseri resti del Belgio. Rafael Nadal ne approfitta per testare la gamba in vista dei Masters americani. Per quanto Ruben Bemelmans possa essere considerato test valido alla bisogna, più di una macchina sparapalline inceppata. La modestia belga riesce a riportare al successo pesino Fernando Verdasco, da mesi in affanno anche nell’arrotolare una forchetta in un piatto di spaghetti alle vongole. Evidentemente meno temibile di un piatto di spaghetti e vongole, il Malisse in condizioni rabberciate che ha trottato indolente sul parquet, durante il match d’esordio. Gli Usa escono indenni dalla bolgia di Santiago del Cile. Ci vuole tutta l’esperienza di Andy Roddick per evitare guai seri alla nazionale stelle e strisce, dopo che il gigante John Isner era affondato nell’argilla dopo cinque ore e cinque set di battaglia contro Capdeville. La Svezia di Robin Soderling dispone agevolmente della Russia orfana di Davydenko e Youzhny. Nulla possono il declinante Igor Andreev, men che meno Teymuraz Gabashvili. Più che cavallo pazzo, sempre più brocco squilibrato fuggito per miracolo alla barbarie del mattatoio. Perde persino dal redivivo Joachim Johansson, scongelato dagli svedesi per l’occasione e che negli ultimi tre anni avrà giocato tre partite (di ping pong).
Soffre ma alla fine la spunta anche la Francia sulla terra indoor di Vienna, contro un’Austria trascinata dagli strappi intermittenti di Jurgen Melzer e attorno a lui il buio pesto. Gli austriaci avevano persino riesumato l’ormai impresentabile Stefan Koubek. Protagonista assoluto per i galletti transalpini è Jeremy Chardy, giovane puledro di razza dalla classe cristallina. Uno che quando non dormicchia o è colpito da torpori e crisi mistiche, non ha nulla da invidiare a tre o quattro top 10.
Citazione, ovviamente in conclusione, per la nazionale Kazaka che grazie ai suoi arrembanti mercenari pagati come nababbi, espugna il diroccato fortino ceco di Ostrava. Quando si dice lo “spirito della Davis” e l’animo patriottico. La Federazione del Kazakistan ne ha comprati due o tre, li ha ricoperti di danari, e quelli lottano come belve inferocite. Protagonista negativo del week end, Thomas Berdych in forma raccapricciante. Si esalta invece Andrei Golubev, russo di Bra ed eccellente “acquisto” kazako, che l’ultima partita l’aveva vinta sei mesi fa con Tonino Zugarelli (a tamburello). Completa l’opera l’orrido Kukushkin. Inguardabile come pochi, e sostenibile come nessuno. Tennis modesto ed atteggiamento esagitato fino all’eccesso. Esulta su ogni punto come Pippo Inzaghi al secondo goal nella finale di Atene, con la stessa faccia tragica di Angelo Orlando (indimenticabile ala dello squadrone nerazzurro dell’epopea Hodgson). Terrificante. Semplicemente terrificante. Ma dopo la disfatta di Berdych, riesce comunque a dare il punto decisivo alla sua nazionale battendo il botolo dal gradevole rovescio, Hajek.
Parli di Davis, e non può non saltare fuori David Nalbandian. In un fine settimana d’altri tempi, con emozioni dai toni epici che, piaccia o meno, solo la Davis riesce a dare (scritta questa frase ho preso sessantasei kg e grugnito come Galeazzi), il pingue argentino svetta mostrando una volta di più il suo patriottico eroismo e l’attaccamento alla camiseta albiceleste. Un connubio d'amore viscerale e quasi mortale. Batte il rumeno Ungur, malgrado un ginocchio a pezzi. Rischia di lacerarsi i legamenti, non riuscendo a trattenere le lacrime di dolore, ma stringe i denti e vince. Perché, come dice lui, “quando giochi con quella maglia, non senti nulla…”. L’Argentina finisce per dominare il confronto coi modesti rumeni. Forse avrebbe vinto anche schierando gli attuali Guillermo Vilas, Josè Luis Clerc o addirittura Josè Acasuso. E intanto, azzoppato, David rinuncia a Miami ed Indian Wells. Ma questa è un’altra storia. La solita.

4 commenti:

  1. Ciao Picasso, come non darti ragione su quell'impressione, unica e ultima.
    Qualche anno fa, nei periodi più bui della sua carriera, la Dokic se ne era addirittura scesa a vincere un mediocre challenger (non so se si scrive così) che si disputa qui dalle mie parti. Chissà che non possa riservare ulteriori sorprese.
    Ho visto le foto della presentazione: il gilet della Schiavone sembra uscito direttamente da un torneo di biliardo nei bassi di qualche città del Sud; la Wozniacki è molto meglio con la maglietta del Liverpool; la Jankovic (la Jankovic); ma su tutte elettrizzante, questa volta, la Stosur, dritta da qualche stazione di servizio del Nebraska, dove i camionisti sputano per terra e commentano le finali di baseball, e lei, giovane benzinaia australiana, gli serve il pollo fritto e una coca.

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  2. Ciao Arturo,
    Sì, negli anni più difficili Jelena ha giocato moltissimo in Italia. Veneto, Toscana, Puglia...la si è vista anche a Martina Franca. Sì, Martina Franca. Per quanto il punto più basso (sportivamente), forse, lo ha toccato a Roma. Un sontuoso 10mila sulla Nomentana. Quattro spettatori e 3/4 games vinti contro la Gatto-Monticone o non ricordo chi.
    Strepitosa l'immagine di Samantha Stosur benzinara innanzi ad una tavola calda del Nebraska. Mi ha fatto venire in mente un telefilm di circa un quarto di secolo fa: "Alice". Narrava di alcune cameriere di una tavola calda, circondate da camionisti.
    Ciao, a presto.

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  3. Non è la sorella bella di Kaia kanepi! Come sei cattivo, ma eri cattivo anche da piccolo?
    Bentornata Jelena! Non sapevo fosse caduta così (3/4 game dalla gatto montiCHI?cone), ha tutto il mio rispetto e la mia ammirazione perchè quando scendi così tante posizioni devi trovare una forza disumana per riprovarci.
    Sempre più disgustata dai genitori-vampiri del tennis, cmq lo sport che ne sforna di più.

    Melzer non ha potuto portare la croce e cantare, amen! Ma Simon, dopo le dichiarazioni che aveva fatto...irritato dal fatto che gli si era preferito pure Gasquet (rido), ha preso una batosta morale non indifferente. E' legge cmq che Simon perda da Melzer.
    Petz, sono rimasta con gli occhi sbarrati guardando il risultato, ha lottato per 5 set (il piccolo black out cmq lo ha avauto) ed ha vinto, sarà tennista vero?

    Jess

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  4. Ma non è vero che sono malvagio, anzi. Poi Jelena la adoro (non è che ci voglia molto, ma è al quarto posto nella mia personale top 10).

    http://tennispsiche.blogspot.com/2009/11/jelena-dokic-gli-orchi-e-le-fate.html

    Quello che scrissi qui non è propriamente cattivo. E allora quando scrivo della Jankovic, come sarei? =)
    Ho detto "sorella bella", mica è una cosa negativa. Poi, se vogliamo dirla tutta, KAIONA ultimamente è pure più smilza di Jelena. =)
    Giulia Gatto Monticone, è una tennista italiana che lo scorso anno è entrata tra le prime trecento (Qualcuno mi ha corretto - ma io vado sempre a memoria -, i games vinti pare furono ben CINQUE).
    Petzschner "tennista vero", è un'affermazione forte. Non mi sento di sbilanciami. Non lo sa nemmeno l'omino nel suo cervello. Ha vinto in cinque il doppio, trascinando Kas, e dominato Frankenstein. Magari si scopre patriota, boh. Quest'anno potrebbe fare semi a Wimbledon o perdere al primo turno nel challenger dell'isola di Pasqua contro un bonzo. =)

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.