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domenica 17 aprile 2011

MASTERS 1000 MONTECARLO 2011 - MEZZO NADAL DOMINA LA TORMENTA DI NULLA



Concluso il primo Masters 1000 stagionale sul rosso. Nessuna sorpresa, solito spartito che da anni vuole Rafael Nadal padrone assoluto dei tornei su terra battuta. Settimo titolo nel principato. Assente Djokovic, timidi risvegli di Murray, Ferrer rassegnato gregario di terricolo valore, Melzer esaltato e Federer in camporella.


Rafael Nadal: 7,5. In pieno ed assoluto controllo della situazione. Forse il peggior Nadal su terra battuta degli ultimi anni, zoppie a parte. Basta ed avanza il minimo sindacale per sbaragliare la rabberciata concorrenza. Sapidi mulinelli ed arpioni disumani, per domare timidi avversari e folate di vento, nella perfetta interpretazione di Capitan Uncino l’arrotino. Sembra di vederlo in testa al grand prix del principato, che imposta la curva dell’”au rivage” o quella del “tabaccaio”, con un serpentello di vetture ad inseguire, sempre sul punto si sbandare e perdere il controllo. Poi s’infila nel tunnel e saluta la truppa. Per batterlo ci vogliono le cannonate. Finisce per k.o. tecnico un comunque sorprendente Murray, steso alla distanza, fisicamente e mentalmente. Assolutamente senza alcun valore la finale col connazionale Ferrer. Guardo i primi games, poi mollo il colpo dedicandomi alla pedicure del gatto. Bastano ed avanzano per capire quanto il volenteroso ex muratore sia lì solo per tirare la volata al suo carnefice. Vien da credere che il numero uno iberico si stia gestendo, per arrivare al top a Parigi. Perché un Nadal così rischia d’esser fagocitato anche sulla terra dal Djokovic versione “Giuditta” (inverno/primavera).


David Ferrer: 7. Intendiamoci. Su duecento match, contro Nadal ci vince una volta. Se l’altro non si regge in piedi. Le restanti centonovantanove sono sbiaditi ed inguardabili assoli finto/agonistici del suo connazionale. Rimane comunque un bel torneo, il suo. Di certo non sorprende. Appena arriva la terra rossa, “o zappatore” si esalta. Corre, vanga, sbuffa, morsica, emette versi che rimandano al rigurgito di un labrador con l’esaurimento nervoso. Batte chi deve battere e perde con chi deve perdere (due, massimo tre). Con grande abnegazione ha imparato anche a difendersi sul finto/veloce, ma rimane terraiolo puro, d’altri tempi. Lo capirebbe anche un fagiolo borlotti lessato. Più difficile entri nella zucca sommamente vuota di uno che ha il tesserino di giornalista.


Andy Murray: 6,5. Alzi la mano chi si attendeva uno scozzese così arrembante, dopo le ultime uscite degne del fantasmino “Beetljuice spiritello porcello”, e sconfitte come grappoli di melograno. Sarà merito della nuova acconciatura, ma con quel pagliaio simile ad un nido di quaglie selvatiche in testa, ha l’aria di chi è appena stato dimesso dal reparto di neuropsichiatria traumatologica. Fisicamente e mentalmente ritrovato, pare finalmente aver assorbito i postumi della terrificante stesa australiana. Lo scorso anno raggiunse forse il punto più basso di una carriera ancora incompiuta, uscendo sommerso da salve di fischi rusticani, dopo l’ignominiosa resa col Kohli (il gladiatorio, Kohli). Quest’anno altre bordate di fischi. Solo perché si accanisce con ossessive smorzate sull’azzoppato e sempre più trasparente Gilles Simon. I francesi avrebbero gradito che s’impietosisse, e come in un film di Trouffaut recitato da Pippo Franco, lasciasse il campo al loro infermo beniamino. E “continuano ad incazzarsi” e fischiare come pastori della Barbagia. In semifinale lo scozzese è addirittura eroico nel trascinare Nadal al terzo set. Difende e rintuzza senza dare punti di riferimento, sapienti tocchi difensivi e punzecchiature in attacco. Quasi commovente vederlo assai vicino al 100%, tramortito fisicamente da un Nadal al 30/40%. Ad inizio terzo set getta la spugna, il gomito fa male, il cervello si spegne e Nadal veleggia tracotante.


Jurgen Melzer: 6,5. Assai difficile dare una spiegazione razionale all’irrazionale applicato al tennis. Poco più che una sparacchiante comparsa negli States, ridicolizzato da Petzschner e Gasquet (i Gianni e Pinotto del tennis), a Montecarlo il mancino austriaco si supera, sciorinando prestazioni di sublime violenza da attaccante a tutto campo. Fiondate veementi e tocchi pregevoli che riducono a miti consigli Nicolas Almagro (4,5, la dieta ha portato buoni frutti, ma ha asciugato anche quei due neuroni che vagavano pasciuti nella sua mante), prima d’esaltarsi accanendosi sulla sagoma vuota di Federer, neanche fosse un pungi ball. Una di quelle prestazioni a tutta birra, ed occhi spenti, guidando contromano sull’autostrada. Poi perde seccamente da Ferrer, ma non si poteva certo sperare che vincesse il torneo.


Roger Federer: 5. Tornava sulla terra monegasca dopo due anni. Cede di schianto a Jurgen Melzer, smarrito e frustrato tra malvagi refoli di vento ed ispirati randelli austriaci. Mirka coi capelli scossi dal maestrale e, bardata in un accappatoio rosa, ha la faccia dello sgomento. Preludio più sconcertante alla stagione sul rosso, non poteva esserci. Col Melzer versione mostre faticherebbero anche gli altri cannibali, ma desta sconcerto un dato: Il monarca canna in modo impietoso sette palle break. L’avversario, il gran perdente e dissipatore di match (Jurgen, chi altri), ne converte 2 su 5. La nitida istantanea del mondo che ogni tanto gira all’incontrario.


Richard Gasquet: 6. Rischia già d’andare fuori contro Dennis Istomin (6), frigorifero uzbeko sormontato da una testa d'uovo, dal gradevole tennis piatto e d’attacco. Uno che da mesi non vinceva una partita nemmeno a tamburello, ed a suo agio sulla terra quasi quanto il nostro adoratissimo Premier satriaco in un’aula di tribunale tra giudici comunisti che hanno appena sgranocchiato un bambino a colazione. Poi Richard cuore di drago annichilisce Garcia Lopez, guadagnandosi Nadal. E in quell’ottavo mi appare uno di quegli immortali eroi d’altri tempi, votati al cruento martirio. Il portavoce vaticano sarebbe fiero di lui. Stretto nella virulenta morsa di Nadal. Lotta con ardimento posticcio e comicamente fasullo. Guizza, serra la mascella, guarda il vuoto cosmico. Lascia dieci anni di vita ed altrettanti di “analisi” in un meraviglioso passante di dritto in corsa con cui riacciuffa il diavolaccio sul 4-4. Poi fa altri due punti e cede 6-4. Ritrovato, per essere un buon top 20.


Ivan Ljubicic: 6+. Si attendeva il tonfo definitivo, dopo la mancata difesa del titolo ad Indian Wells e relativo crollo in classifica. Sono ormai tre anni che il croato dona la malinconica sensazione del vecchio bucaniere declinante, intento a tirar svogliate schioppettate. Tanto per. La pelata non aiuta. Sarà l’aria salmastra ed il ritemprante jodio proveniente dal vicino mare, ma Ivan gioca un torneo sontuoso, facendo fuori Chardy e Tsonga. Come saggio insegnante sculaccia il discolaccio dissennato, insegnando tennis a Thomas Berdych. Il talentuosissimo, Berdych (nell’accoppare ignari gabbiani che veleggiano a filo d’acqua sulle onde monegasche). A volte il tennis è bello.


Viktor Troicki: 5,5. Miracolato autentico. Dalle meningi di Fognini e dal fisico di Robredo. Vince allo sprint contro il tennista ligure, dimostrando nervi più saldi del nostro eroe dall’ego più esteso della Lapponia. E’ quasi sotto la doccia, quando Robredo si scianca in modo cruento. Deve ancora capire perché è nei quarti, che Ferrer gli ha già rifilato un sapido cappotto. Impagabile però vederlo strisciare a gambe divaricate come il suo “dominus” di vita Nole, da perfetto delfino/trota cento volte meno effcace. E come dimenticare quel servizio che è autentico eccidio dei sensi. Per vedere una roba simile occorre andare al bioparco ed osservare gli struzzi nell’atto di alzare la zampa in segno di diffidenza.


Federico Gil: 6. Tarchiatello, normo tipo, modesto mezzadro dei campi da top 100. Ed una faccia che puoi scorgere solo allo sportello delle Poste o in una pizzeria al taglio, sormontata da una fascia bianca da post trauma cranico sulla spaziosa fronte prominente. Una mastro scalpellaio che corre e si accanisce orrendamente sulla pallina. Basta per fare quarti di finale in un Masters 1000. Non sempre ci vuole la classe di Bolelli o la genialità di un Fognini.


Gael Monfils: s.v. Ai minimi storici (Monfils fisicamente menomato che vuol giocare a tennis è come una bicicletta senza ruote, un cd di musica con i guaiti lancinanti di Giusy Ferreri, un film intimista recitato da Raul Bova, un paese civile dove un Premier accusato di prostituzione minorile dichiari di volere una scuola pubblica dove si insegnino i valori della famiglia. Qualcosa che non può esistere nella vita reale, insomma).


Italtennis: 5. Fabio Fognini batte, non senza patimento, la pertica sudafricana Kevin Anderson, uno che sulla terra ha lo stesso fulgido destino di uno gnu zoppo che passeggia sulla Salerno-Reggio Calabria. Poi rischia di battere Troicki. Eterno lampeggiante. Una giostra schizoide, tra cadute e recuperi. Mezze fughe ed altre cadute. Può giocare battaglie tirate con n.c. o perdere combattuti match con quelli forti. Almeno dà l’impressione di poter fare. Qualcosa, a caso. Potito Starace era stracco e sconvolto dalla massacrante settimana a Casablanca. Si sapeva, doveva chiudere in due rapidi set facendo valere la potenza devastante dei suoi colpi finali. Allungandosi il match, cede eroicamente alla distanza. Con Nadal? Ferrer? Montanes? No, Pere Riba. Filippo Volandri passa le qualificazioni e racimola tre games da Cilic. A Napoli farà faville, e fors’anche a Roma.

FedCup. La modesta Italia2 fa quel che può (niente) contro l’impero russo. L’Italia detentrice del titolo era priva della semi-inferma Pennetta e Schiavone, dispensate con benestare papale, per meriti guadagnati sul campo (pare che il reprobo Seppi abbia pianto in silenzio, appresa la notizia. "Perchè loro sì ed io no?" ripeteva inconsolabile. "Che colpa ne ho se io sono scarso e loro forti? Non siamo forse uguali"). Non avrebbe tutti i torti. Perchè una federazione normale dovrebbe lasciare tutti liberi di rispondere o meno alla chiamata. Siano campionesse o tennisti normali, senza aristocratiche differenziazioni. Anzi, si rinuncia più a malincuore a quegli atleti determinanti per il successo finale, o per almeno provarci (Penna & Schiavo), piuttosto che a quelli che non fanno la differenza o spostano gli equilibri in campo (Seppi, o Bolelli). Invece le prime sono ringraziate per meriti storici, gli altri invece vengono puniti con tanto di missive in stile comiche balilla. In una semifinale di Fed Cup contro lo squadrone russo e non in un match di serie B contro la Bielorussia che sarebbe stata divelta anche da Galvani e Di Mauro. C'è qualcosa di comico in tutto questo. Ma il sultanato è difficile da comprendere nei suoi ragionamenti superiori. Tornando al campo, davvero poca, pochissima cosa, la rappresentativa di riserva azzurra contro lo squadrone russo. Un arsenale che poteva contare su almeno dodici tenniste capaci di portare a casa il match. Per immotivata crudeltà, schierano le più forti. C’è pure Marat ad assistere al match (l’unico guizzo del week end). Vera Zvonareva, quasi fosse in allenamento sourplace, passeggia garrula e lascia due pietosi games a Sara Errani. La bolognese è surrealmente arrembante, prodiga di orripilanti pallettoni arrotati. Impresentabili ed inconcludenti (sul veloce parquet di Mosca). Conditi da urla di guerra raggelanti (“ehhhhh”). Come uno scoiattolo che fa una minacciosa mossa di kung-fu al cospetto di una tigre. L’altra riserva azzurra, Roberta Vinci fa quello che può. Strappa un set alla solita Kuznetsova versione sciroccata, che ultimamente una chance la lascia anche ad uno scaldabagno. La tarantina è caruccia, gradevole, divertente. Soliti back leziosi, attacchi e volèe aggraziate. Ma dona l’idea d’estrema inoffensività, contro le due affamate tigri russe.

2 commenti:

  1. Sempre pungenti e azzeccati i tuoi commenti!
    Mi è piaciuto molto quello del paese civile che non può esistere...purtroppo esiste. Ho riso di gusto al destino dello gnu zoppo sulla Salerno RC! Gael, bici senza ruote.

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  2. Ciao Daniele,
    ben gentile. Sì, Monfils fisicamente non al meglio è una biciletta senza ruote. Quanto al paese civile...beh, ormai si stenta a credere sia una cosa reale. Voglio dire, non può essere. Un giorno ci sveglieremo (tra 40 anni) e sembrerà tutta una grande allucinazione. Ripeto, non può essere reale. =)

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.