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lunedì 11 aprile 2011

GIOIE D'ACCATTO NEL SABATO DEL VILLAGGIO DELL'ITALTENNIS



Scomposti cori di giubilo avevano riempito di ebbra speme tricolore questo fine setimana tennistico. Il giorno del dragone, quasi. Un punto zero da cui ripartire, fieri e tronfi, verso nuovi successi. E che sarà mai successo? Un azzurro nella seconda settimana di slam? Non proprio. Gli impavidi eroi nostrani della racchetta zompettano egagri a Casblanca, Pereira e persino a Monza, in piena ed assolata Brianza. Mentre i raggi del sole irradiano questo "sabato del villaggio" leopardiano cui però, fatalmente, segue la domenica.


Montecarlo by bight. Anzi, buona notte. Nel Masters 1000 di Montecarlo poi, si ha l'acme del surreale week end di tricolore orgoglio racchettaro. Una gioia abortita senza eguali. Il magnifico e gladiatorio Simone Bolelli che da mesi si dibatte con veemenza per sconfiggere la sua perigliosa ombra di nulla abioccato, riusciva a vincere una partita (dicasi una) nelle qualificazioni. Voglio dire, passato di slancio il primo turno delle qualificazioni. Sgominato l'orrendo Kukushkin. Rimango scosso dalla notizia, e mentre in città partono i primi caroselli euforicamente contagiosi, penso alle possibili motivazioni. Che il kazako sia entrato in campo dopo una levataccia di primo mattino, con addosso ancora i postumi di una sbronza? Altre non ne vedo. I sapienti invece iniziano un rutilar di previsioni: I quarti di finale (del tabellone principale) non paiono ipotesi così remota ai loro occhi sagaci. E nemmeno la top 20 a fine anno (per il Master di Londra purtroppo, almeno per quest'anno, ci son poche speranze). Un sabato fazista da ricordare nei secoli. Ma non è solo il divino talento del "piccolo Federer" (monco, piombato, pugnace come un coleottero comatoso e senza mente) a far vibrare gli animi. L'encomiabile fantino Flavio Cipolla batte Philipp Petzschner. Ci sta, il tedesco, in giornata tipo, potrebbe perdere anche contro la dispettosa scimmia Joliqueur che balla il mambo sulla sua spalla. Il terzo eroe è Filippo Volandri che divelle Shukin senza alcuna pietà. Il bolscevico straniero può assaggiare il maschio ardore dell'italico Ivo Karlovic al caciucco. Si è lì a fare calcoli illuminati...possibili avversari, incroci, proiezioni di classifica...quando giunge alfin la malvagia domenica dell'invasore. Basta un Millot qualsiasi per stroncare Bolelli, tarpandone le meravigliose ali di cigno e conducendolo ad un bivio atroce: Chinare giù il testone e fare l'atleta, ritirarsi anche formalmente o continuare ad essere un ex tennista che vaga come pietoso fantasma cerebralmente bolso per campi? Vedremo, perchè adesso è solo incresciosa "presenza" aseente a se stesso. Intanto anche Cipolla raccoglie un paio di lupini dal portoghese Gil, mentre l'unico ad entrare nel tabellone monegasco, dopo tre anni, è Volandri. Lodevole la sua voglia di cimentarsi ad alti livelli, abbandonando i facili punti di Roma-Rai o Monza. Che poi non ci vuole uno scienziato delle cifre a capire che valgono di più due turni passati nelle qualificazioni di un Masters 1000 che una semifinale al challenger di Novi Sad.


Casablanca, Starace come Humphrey Bogart afflizionato. Notizie frastornanti arrivano anche dall'altra parte del mondo (per chi è cittadino della Padania). Casablanca, terra di prodigiose operazioni ed impianti di ammennicoli vari dell'apparato riproduttivo. Come non attendersi cose notevoli dai nostri alfieri. Manca però il fenomeale caldarense. L'inarrestabile marcia di Andreas Seppi è stata vigliaccamente stoppata dal malanno alla caviglia patito negli Usa, intoppo che lo costringe ad un forzato riposo tra i monti, assieme ad Heidi e belanti caprette. In Marocco Fabio Fognini dà ancora fiero sfoggio di un estremamente brutto e schizoide tennis da semaforo rotto, cedendo di schianto a Montanes. Ma allora ecco il nostro miglior alfiere da mattone tritato, emergere come un sol uomo nello smerigliante sabato di rinascita: Potito Starace alla perenne ricerca di un titolo Atp in saldo. Titolo che ha vinto gente anche molto più modesta di lui. Malgrado quell'espressione triste e tribolata da emigrante all'estero che si vergogna per il "bungabunga", il naso adunco ed i colpi da sapido terraiolo moderatamente inoffensivo, rimandino a nefasti presagi. Bastano per recuperare un match quasi perso contro Gilles Simon versione spiaggiante cui mancavano (ma forse ce li aveva anche dentro la sacca) paletta e secchiello. Poi il campano prova in tutti i modi a perdere un match già vinto contro l'elegante stoccafisso rumeno Hanescu, prima di spuntarla in volata. In finale però, cede di schianto all'emergente iberico (un altro, rassegnatevi) Pablo Andujar, fastidiosissimo terricolo di scuola antica ed in gran forma. 6-1 6-2, al limite dell'imbarazzante. Come pummarola disfatta. Il nostro era stanco dopo l'estenuante semifinale, povera creatura. Può essere. Ma possibile che solo i nostri avvertano quella strana afasia muscolare, mentre tutti gli altri trottano instancabili e zompano per ore come invasati ebbri di gerovital? Rimarra un mistero gaudioso. Intanto, ancora rinviato il primo titolo, per il trentenne campano. Se non lo vinci in finale contro Andujar (pure in crescita), pare difficile pensare lo si possa fare contro Nadal o un Wawrinka a caso. E ormai le possibilità si assottigliano. Sperando che un giorno o l'altro a Sbrisole (o Barcellona Pozzo di Gotto) si organizzi un torneo Atp. E che magari venga proibito ai top 130 di entrare in tabellone.

"Labirintite" Alessio Di Mauro si ferma sul più bello. Ma l'inebriante cavalcata zoppa azzurra ha avuto un altro protagonista indiscusso: Alessio Di Mauro. Uno dei tre moschettieri a giocarsi una finale. Quasi trentaquattro primavere, da Siracusa. Un lampo nei top cento e miracoloso finalista in un Atp a Buenos Aires, e poi tanta milizia nei challengers con discrete fortune. Fino alla tragicomica squalifica per aver giocato 2,00 su alcune corse dei levrieri, e la lenta risalita. Nel tennis si può amare o persino tifare chi ti dà emozioni, un talento spumeggiante e fantasioso. Ma si può essere avvinti come l'edera e rispettare anche chi riesce ad andare oltre la soglia delle sue possibilità. Di Mauro, appartenendo a quest'ultima categoria, è l'unico italiano per cui (in ultimissima istanza pre-morte) si potrebbe anche tifare. Se non si vedono le sue partite, ovvio. Perchè se provaste ad assistere dal vivo ad un suo match, rischiate d'esser colti da labirintite, gridare pietà e citando qualche frase tipica di Marzullo cerchereste alfin di gettarvi giù dagli spalti a volo di gabbiano. Ieri il mancino di Sicilia a Monza si giocava la finale contro il giovane tedesco Julian Reister, bel talento pieno di bei colpi puliti e fantasia neoclassica in stile Deutchland. Uno che in futuro potrà ben figurare anche nel circuito maggiore. Eppure questo ragazzotto rischia di impazzire contro l'irriducivbile italiano. Come fanno tanti. Vedi il siciliano tutto gobbo, abbarbicato sui teloni di fondo campo neanche fosse un geco, che raccoglie e ributta di là tutto, stracci e pezze varie. Lobboni terrificanti che si possono "ammirare" solo nel tennis amatoriale. Un supplizio lacerante. Basterebbe scendere a rete ogni tanto, se non fare serve and volley, per sgominare questa rete difensiva da horror vacui. Per dire, John McEnroe 52enne ci vincerebbe in agilità. Senza nemmeno sudare molto. Ma vaglielo a spiegare ai molti e volenterosi partecipanti ai challengers cosa sia una volèe. Ancora pallonettoni mortiferi, prima che il tedesco non pigi sull'acceleratore, vincendo al terzo. Ma un Bolelli con un briciolo di volontà che mette sul campo il siculo, qualche games in più con Millot l'avrebbe anche vinto. Del resto, è la solita storia del tennis azzurro: Gli unici che sputano sangue non hanno proprio speranze di andare oltre la centesima posizione per evidenti limiti tecnici. Quelli in possesso di un lontano talenino nascosto, si limitano a vivacchiare, senza spendersi più di tanto.


Lorenzi anche di domenica. Alla fine, l'angosciante bilancio degli azzurri insolitamente finalisti, viene salvato forse dal tennista meno attesso. Quel concentrato di volontà ed abnegazione rispondente al nome di Paolo Lorenzi. Un altro, se non da tifare, almeno da ammirare o prendere sul serio per i continui miglioramenti ottenuti, malgrado l'età. Senza il cappelino calato al contario (continuo a credere che sia sinonimo di adolescenziale demenza) ad asfissiargli le meningi, fa suo il challenger di Pereira (Venezuela, credo) e proverà a ravvicinare i primi cento. In modo da potersi divertire ancora nei tornei dei forti, magari facendo serve and volley allegramente agricolo al Queens, con quella faccia da "Chino" Recoba (dotato di ammennicoli) o entrando nel tabellone di uno slam.

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.