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sabato 9 maggio 2015

INTERNAZIONALI D'ITALIA 2015 - Predestinati e giocolieri




Diario di un infiltrato evaso dal manicomio



Mi avevano regalato, per il compleanno, i biglietti di semifinale/finale al Foro. Un certosino piano di recupero mentale nei miei confronti: stop cento incontri di diavolacci e poveri cristi nelle paludi delle qualificazioni/primi turni visti di sfuggita, ma finalmente due match dei big da vedere in piccionaia col binocolo, sfidando le cataratte. Dovrebbe essere un sibillino monito anche per la vita reale: molla le stronzate da perdente e pensa a una, una sola, da vincente (diocazzo). Dovevate vedere la loro faccia quando le ho detto che oggi sarei partito alle 6,15. La psicanalisi con me non funziona. Li fotto sempre.
Un mio ex collega, con comitiva a seguito, già mi aspetta sul Pietrangeli per Fabbiano-Souza, ma arriviamo quando il rintocco di mezzodì è bello che suonato. Chi ben inizia però, ben inizia. E io comincio col teenager russo Rublev. Uno che al di là dell'aspetto da Richie Rich e urlacci belluini dopo ogni errore, ha colpi e carattere da predestinato vero: servizio, dritto e un paio di rovesci lungolinea da mozzare il fiato. Batte alla distanza un cagnaccio come tic Carreno Busta. Non male per un moccioso del '97. Dentoni, bella che non balla (non canta e non suona),  è schiaffeggiata dalla Hradrecka, insolitamente smilza.
Sono però in tempo perfetto per l'esordio di Alexandr Dolgopolov sul campo numero due, contro l'italiano Marcora. L'istrione ucraino ha una fiammante tenuta rosso-nera che lo fa sembrare un droppante satanello butterato. Tagli, riccioli e fiammate da crotalo velenoso: che spettacolo di tennista. "Dai Robbi, che sei italiano!", grida qualcuno. Ma l'altro è ucraino e in tale controllo, che non ha nemmeno bisogno di strafare, tanto più che non è dato al meglio.
Spettacolo di indicibile trivio tennistico tra Kudryavtseva e Jovanowski. Roba da far scappare anche gli esorcisti: "ahiaaa", urla, racchette gettate, asciugamani in faccia ai raccattapalle, crisi isteriche, pianti e una che riesce a perdere da 5-1 nel terzo (non chiedetemi chi). 
La comitiva reclama cibarie, panini gommosi e pizza cartonata. Positiva novità i chioschi e gli ambulanti nel Ground, con gran fighe ammiccanti e statuari boys dell'Africa abissina (per par condicio), per la gioia di donne e inconsce voglie dei Salviners. Devo anche sopportare un "when you try black, you never come back". A proposito di black, si allena con indolenza strabiliante (forse ancora in fase digestiva di cinque hot-dog) Donald Young, assieme alla scattante madre di 200kg, che sembra uscita da una puntata dei Jefferson. 
Poi mi prendo un bella rivincita ammirando il culo in short attillati di Daniela Hantuchova (foto a corredo), che si allena con Simona Halep. Tiene bene, la chiappa soda. Rischio di essere fucilato in pubblica piazza da un plotone di femministe invasate.
Un boato dalle retrovie. È l'italico Arnaboldi che rimonta da 2/6 3/5 col giustiziere kazako dell'Italdavis, il mite   kukuzza Kukushkin, più dimesso e infermo del solito. Chiede anche un Mto, ma stavolta non si odono i tradizionali "devi morire", semmai, più pacati "magari crepi". Bravo e anche piacevole da vedere il mancino Arnaboldi, mestierante di lungo corso dalla mano educata e bellissime foglie morte di rovescio.
Jasmine Paolini sta combattendo come un tigrotto sul Pietrangeli, contro "la cosa" Niculescu. La ragazzina, uscita dalle sadiche pre-quali, fa tenerezza: è alta un metro e un cazzo di Gasquet (notoriamente risibile), ma lotta ed è anche bravina. Perderà alla distanza, con onore. Delle bimbe la chiamano chiedendo un autografo e lei quasi vorrebbe rispondere: "ma come, se sono anch'io piccina?"
Poi il dilemma: vedere Quinzi al sole del Pietrangeli o Napolitano sotto il fresco dei pini? Napolitano, ovviamente. Contro di lui la vecchia lenza Jurgen Melzer, giocoliere in declino. Il ragazzone italico mi lascia una buona impressione: ottimo servizio e robusti fondamentali. Finalmente un italiano moderno, quasi di scuola yankee servizio-dritto. Un piccolo Querrey (siatene felici). Ancora lento e macchinoso, ma basta per disfarsi dell'austriaco in caduta libera. Jurgen ha ancora un braccio di velocità dinamitarda e risposte che ti cecano. Due o tre. Poche, per vincere. Sua però la cosa migliore di oggi: due recuperi prodigiosi, attacco slice in contro tempo è demi voleé stoppata che cade e muore venti centimetri dopo la rete.
Mentre ce ne andiamo, uno sguardo a Quinzi. Benito Paire fa bello e cattivo tempo, in un trionfo di statue fasciste che farebbe venire un attacco isterico alla Boldrini. Solito circo: smorzate come grandinassero pallettoni morti, orrori, monologhi, accelerazioni malate, discorsi col pubblico nelle prime file, tipo: "Pensi anche tu che Schopenauer si ammazzasse di seghe?". Vince, senza troppi patemi, in due set. 
Quinzi? Bah. Brutta impressione. È un regolarista poco regolare, la cui peculiare intensità a questi livelli fa il solletico. Rispetto ai coetanei che meglio si stanno destreggiando tra i pro, lui paga la mancanza di colpi decisivi. Servizio nullo. Variazioni inesistenti. Rete non pervenuta. Smorzate figuriamoci, neanche fossero sconcezze di cui vergognarsi. Vien da chiedersi come lo abbiano gestito dopo il successo di Wimbledon jr, ma non ho tempo. Il tempo c'è, ma per una gricia a Trastevere.


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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.