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lunedì 30 gennaio 2012

AUSTRALIAN OPEN 2012 - BILANCIO CONSUNTIVO POST DJOKOVIC-NADAL. PERNACCHIE E PAGELLE MASCHILI



Il tennis. Questo tristo e bistrattato, tennis. Prima della finale maschile, quasi come ultimo sberleffo, in un effluvio futurista di luci e shockanti annunci, ecco una dozzina di ex campioni, in mezzo a quali uno spaesato Rod Laver. Gracile normotipo australiano, mancino, rossiccio, che tra gli anni 60/70 dominò il tennis. Nel candore della sua polo immacolata accarezzava una pallina con uno strumento di legno e giocava il servizio e volée. Poco più di mezz’ora dopo, su quello stesso campo, due energumeni di venti centimetri più alti, con i muscoli che scoppiano in maglie iridescenti o con disegni demoniaci, crivellano palline, rantolano e corrono come fiere selvagge per quasi sei ore. Arpionano colpi devastanti  e l’impatto con la pallina genera schizzi di sudore di un sinistro color verde radioattivo. Mi sembra, in sintesi, molto più umano un videogame di dieci anni fa, rispetto a questo “spettacolo” raccapricciante. Mazzate terrificanti e corse folli, migliaia di scatti poderosi che uno ne basterebbe per mandare al “fatebenefratelli” un tennista degli anni ’90. Cruenta e titanica lotta tra due mostri che stanno spingendo la soglia di questo sport sempre più in alto. Per carità, una sfida anche avvincente quella tra Djokovic e Nadal, perché equilibrata e lunga quanto tre maratone di Nuova York. Ma di tennis nel puro senso della parola, c’è poco o niente. Cosa accadrà tra dieci/vent’anni? Se non li fermano in tempo, finiranno per scarnificarsi, uccidersi e tramortire definitivamente lo stesso tennis. Come desiderano loro, la stagione di un atleta professionista sarà ridotta a 5/6 tornei l’anno nei quali esprimere questa feroce esplosione di ormone, che tanto eccita i cuori dei tifosi che non sanno ancora d'esser gay.
Novak Djokovic: Il cyborg creato per distruggere. Intendiamoci, in questo agghiacciante scenario di lamiere, inumane carni, “urla e stridore di denti”, è chiaramente il più forte di tutti. Non il miglior Djokovic (rassegnatevi a cosa potrà succedere nei prossimi mesi), ma capace di ridurre a miti consigli Murray e Nadal nel giro di 48 ore. Dopo battaglie di 5 e 6 ore. E ne avrebbe giocate anche 8 di ore, se necessario. Poche chiacchiere, ormai il serbo si cucina Nadal allo spiedo. Anche quando non è al top, come ieri, e non riesce a chiudere in quattro set, gettando via il tiebreak. Sembra finita, regala qualche antico siparietto, arranca, ma questo orripilante “Aigor” ha raggiunto una tale sicurezza e furore mentale da riuscire a girare per la terza volta l’inerzia del match. Pazienza se si muove, colpisce ed è agghindato come inelegante marionetta. Ha scoperto il suo personale "Kundalini", un crotalo che gli scorre lungo la spina dorsale. Copre il campo in modo impressionante, serve meglio dell’avversario, spinge di più e meglio dell’iberico rivale grazie e colpi meno arrotati e più ficcanti. Basta sommare attitudine atletica e capacità difensiva simile a quella del maiorchino, ed il gioco è fatto.
Rafael Nadal: Un patetico martirio. L’ennesimo successo col rivale di sempre Roger Federer, in semifinale, ne aveva fatto salire le quotazioni. Se non altro svelato al mondo quanto gli stucchevoli piagnistei su acciacchi e malanni fossero solo un maldestro teatro. Corre sgroppa, grugnisce, lancia sguardi di torvo malessere al mondo, si inginocchia, esulta quasi avesse completato il grande slam. In realtà ha solo portato Djokovic, il suo carnefice, al quinto set. Quasi quelle esultanze fossero masochistica voglia di altro dolore o implicito desiderio di abbattimento. Basterebbe quello spettacolo per capire quanto ormai soffra e patisca Nole. Come senta la pressione mentale di un’inferiorità impotente, che come tutti i riflessi psicologici nasce dalla difficoltà tecnica. L’altro se lo cuoce a fuoco lento, come e quando vuole. Affronta di petto il suo mancino maglio di dritto, e poi lo infilza di gusto. A Rafa non resta che remare vanamente quattro metro dietro la riga, gettando dall’altra parte tutto l’impossibile, per quasi sei ore, con sgroppate che un paio manderebbero al camposanto un atleta normale. Con Federer basta, contro il serbo in possesso di un tennis più paziente e meno rischioso rispetto a quello dello svizzero, no. Non ha rimedi tecnici da poter inventarsi, Rafa. Potrebbe aumentare ancora di più la soglia di esaltazione fisica (tradotto: rischiare di stirare le cuoia), rassegnarsi ad essere numero due, pregare la vergine Santissima di Manacor che Nole si fermi.
Roger Federer: il solito, vecchio, aristocratico avvilimento. Antiche paturnie, vecchi sinistri cigolii della mente che si riacutizzano nel constatare l'avvilimento tecnico-tattico. Proprio non riesce, lo svizzero, a divellere le strenue difese di un Nadal nel massimo del suo esaltato furore fisico. Ognuno ha la sua tragica nemesi, quella di Roger ha le fattezze e la faccia da ratto del tennista di Manacor. E’ ormai letteratura dello sport, quella aristocratica ed algida incredulità. L’altro annaspa quattro metri fuori dal campo, corre, striscia, raglia, crivella, e getta dall’altra parte della rete ogni arrotato sconcio della tecnica, Roger dentro il campo in perenne ed elegante forcing, rischiosissimo ed immutabile a se stesso. Ogni colpo più serrato, ogni volta più angolato, stretto o lungo. Finché il campo finisce. L’ossigeno al cervello inizia a mancare e finisce lì, tristemente, per cedere l’ennesima volta. Niente da fare, tre set su cinque. Per battere Nadal avrebbe bisogno di una prestazione a limite della perfezione, e non sempre gli riesce. Il modo in cui stronca Tomic e Del Potro conferma quanto sia ancora in condizioni eccellenti, che è sempre lì, ma i due leader della classifica ormai hanno congegnato un altro tennis.
Andy Murray: Come un magnifico scrittore cui manca solo la storia. Paradossalmente esce meglio in questa edizione dell’open australiano, rispetto a quella precedente, nella quale aveva perso malissimo la finale con Djokovic. Stavolta si ferma prima, in semifinale, ma porta il serbo al quinto set. Barcolla, si trascina, boccheggia in modo orrendo, digrigna la vampiresca dentatura e va a pochi centimetri da una incredibile vittoria. Il gap sembra essersi assottigliato, tecnicamente avrebbe le armi per scardinare le trincee dei due mostri. Coach Lendl deve essere bravo a ricordarglielo,  ma nel tre set su cinque sembra mancargli ancora qualcosa.
David Ferrer: Di catastale vanga. Classici, canonici quarti di finale, ove s’arrende a Djokovic. Se i quattro avanti a lui (ed un’altra manciata di avventurieri) non decidono di farsi una crociera con Schettino capo nostromo, per lui la finale di un major rimane fantascienza. Ed è numero 5 al mondo.
Thomas Berdych: Il cacciatore strabico. Torneo ricco per il tennista ceco, da anni nel limbo degli incompiuti e sopravvalutati malgrado una lampante miopia tennistica. Quasi impallinato (fisicamente) da Almagro (uno simpatico quanto una medusa negli slip), regala le solite inutili schioppettate per spaventare Nadal e due tordi.
Jo-Wilfried Tsonga: Il bisonte arenato. Doveva o poteva essere il suo torneo. Quanto meno era atteso all’interessante quarto di finale con Murray, egagro di un tennis abbagliante, fatto di fisiche esplosioni e gaudenti ricami. Invece è disinnescato sul nascere dal sapiente Nishikori, negli ottavi di finale.
Lleyton Hewitt: eroe antico. Ogni torneo ha una sua mitologica storia da raccontare. Come pugile a fine carriera, “Rocchio” barboa. L’australiano combattente è reduce da mille infortuni che lo hanno reso più vecchio e logoro di quello che la sua età anagrafica direbbe (30 anni). Arriva a Melbourne senza grosse pretese, tanto per divertirsi ancora e divertire. In esibizione stenta anche a battere un cinese che non sta nei primi 400, appena si fa sul serio invece, tutto paonazzo e con la vena in mezzo alla fronte gonfia di furore agonistico, riesce nella titanica impresa di raggiungere gli ottavi di finale annientando i missili terra aria di Milos Raonic. Non ci vuole poi molto, sembra dire. Ma ancor più eroica è l’abortita rimonta con la quale infiamma la Rod Laver Arena, illudendo di poter recuperare due set ed un break al cannibale serbo Djokovic. Una rimonta che avrebbe reso più umano uno sport sempre più inumano.
Giovani leve, inceppate Si aspetta da tempo immemore il torneo della definitiva esplosione di qualche giovane. I nomi ci sarebbero anche, scontati e fin troppo inflazionati. Dalle gioiose geometrie dormienti dello spocchioso Aussie Bernard Tomic (che giocava anche in casa), il missilistico tennis della pera gigante Raonic, o addirittura quel Dimitrov che si specchia nella bizzosa credenza d’esser già fuoriclasse. Il primo regala tratti di buon tennis e la netta convinzione che abbia già una discreta maturità. Lo vedi dalla rimonta con Nando Verdasco (uno che potrebbe entrare nel Devoto Oli sostituendo gli abusati “allocco”, “grullo”, “pollo”: “Oh, ma certo che sei un Nando incredibile…”) e dal modo scafato e paziente con cui doma le imprevedibili folate di Alexander Dolgopolov. Fin troppo arrendevole con Federer, ma il teenager australiano rimane promosso con riserva. Basta l’esperto disinnescatore malfermo Hewitt per mostrare invece le falle di Milos Raonic, devastante, ma a tratti ancora immaturo e prevedibile. Quasi bocciatura per il piccolo Federer Dimitrov, uccellato da Almagro (che è tutto dire).
L’invasione delle cavallette carnivore. Ad un certo punto, sul campo centrale è piombato un nugolo di zompettanti cavallette. L’ho però visto come un segnale divino: Vuoi vedere che Gasquet vince gli Australian Open? Niente, in un brutale pomeriggio viene spazzato via dal vangatore Ferrer. Nessun presagio divino, s’erano tutte rintanate nel rettangolo di gioco per schivare gli home-run di Ivanovic.
I cani antidroga: due miglia fuori dal raggio della Rod Laver Arena. Pare, a livello di pettegolezzo, che i cani antinarcotici di Melbourne siano stati adeguatamente tenuti lontani dal centro della gladiatoria battaglia di finale. Due miglia almeno. Il rischio che azzannassero i calcagni dei due eroi del moderno tennis, era troppo forte.
Scemo+scemo: la quasi rissa demente. “scemo+scemo” è definizione che ho ormai depositato alla siae per indicare Melzer/Petzschner(deludentissimi e squagliati al torrido sole australiano), ma va benissimo anche per l’episodio relativo alla quasi rissa da saloon tra Berdych e Almagro. Uno alto e secco, l’altro corto e chiatto. Il primo biondo albino, il secondo scuro come un calimero di una bruttezza terrificante. Uno impostato ed ultraconvinto d’esser fenomeno, l’altro maleducato e perennemente lamentoso. Nicolas Almagro mira alla figura di Berdych appollaiato a rete (come su una veranda d’estate a rimirare il tramonto che si adagia sulle acque) con una pallata violentissima. Attentato alla fisica incolumità, o semplice applicazione di qualsiasi dettame che si impara il secondo giorno in una scuola tennis: “a distanza ravvicinata, con l’avversario a rete (soprattutto se con le volèe non è un drago) mirare alla figura”. E “ciccio brutto” Nico mira al petto-volto. Il ceco si stizzisce, ed a fine match rifiuta di stringergli la mano. Chi ha ragione dei due? Hanno torto entrambi, a prescindere.
Italtennis: tutto bene, nella norma. Paolino Lorenzi vince due orgogliosi giochi contro Djokovic. Volandri ne strappa una manciata a Raonic. Seppi arraffa a serramanico un eroico set a Gasquet. Idem un indomabile Fognini: Un set vinto a Falla. Starace perde in quattro set dal giapponese delle retrovie Ito. Bolelli manco si qualifica. Matteo Viola, tennista fantasma e senza colpi, invece si qualifica facendo piroette e capriole al limite dell’eroismo mitologico (recupera anche uno 0-5 0-40 al terzo), ma nel main draw raccatta un sacchetto di noccioline da Giraldo. Unica nota stonata in questo ridicolo e patetico orrore rassegnatamente perdente, Flavio Cipolla. Il romano dal cavallo basso batte Davydenko e passa un turno. Tutto benissimo e risultati rassicuranti per i nostri vertici federali, in vista del primo turno di Davis. Tra l’altro, con Fognini che ha rinunciato, Seppi in bilico per le ben note vicende disertorie e Starace che sul veloce perderebbe tre set a zero anche dal 46enne Edberg, Cipolla (unico e vigliacco guastatore del record di sconfitte italico) rischia di far parte della squadra che giocherà sul veloce, in Repubblica Ceca. Forse, però. Sempre che Barazzutti non chiami il bucaniere Volandri o decida di puntare sui clamorosi rientri di Cancellotti e Pietrangeli (dato ancora in buona forma). Il nostro capitano potrebbe anche "pensare" che Flavio stia male, essendo fine pensatore. Quando, il romano, deciderà di difendere i colori della Svizzera o di San Marino, sarà sempre troppo tardi.

Dovrei anche scrivere delle femmine. Ma sono ancora scosso come un cavallo scosso del Palio di Siena. Lo farò prossimamente, promesso sulla testa di Binaghi.

6 commenti:

  1. La foto è bellissima!!! -maglie iridiscenti con disegni demoniaci...l'impatto con la pallina genera schizzi radioattivi..- mi hai fatto morire dal ridere, grazie.
    Rod Lever era spaventato e per dargli il colpo di grazia Djokovic gli ha detto che gli spiaceva che loro non giocavano serve&volley.
    Mentre "lo infilza di gusto" però non mi dispiace per niente, mi resta questo di questa finale.
    Grande delusione da Tsonga, spero nelle prossime uscite. Scemo+scemo è la definizione più adatta

    Jess

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    1. Tutto merito suo, e di quella faccia orripilante. Una cosa su cui non avevo mai riflettuto. Ma perché lo vestono da Pinocchio? Maglia stretta e pantaloncino stretto. E' ridicolo.
      Anche se gli sono riconoscente per questa piazzata live DA ANTOLOGIA:

      1 Novak Djokovic vince il 5° set 7-5 Novak Djokovic v Rafael Nadal
      (Punteggio del set in corso) 29/01/2012 Nessuno 11.00 Vincente

      La battuta sul s&v al povero ed impotente Laver l'aveva fatta già dopo la semifinale. Il suo repertorio da guitto è anche ripetitivo...=)

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  2. Caro Picasso,
    per fortuna che esisti, e che fai vivere questo blog!
    Il fatto è che ne ho pieni i cohones di leggere su svariati siti tennistici (naturalmente italiani) le cronache epiche, pompate all'inverosimile, delle orribili battaglie di mazzate da fondo campo di Djokovic e Nadal. Seguite dalla sfilza di commenti iper-eccitati e bimbominkieschi dei lettori, salvo rare eccezioni che puntualmente vengono prese a martellate.
    La tristezza e la disillusione che provo di Slam in Slam è parzialmente compensata dai sorrisi e dalle risate che riesci a strapparmi con i tuoi eccezionali e pungenti articoli, e per questo ti ringrazio.
    Amen ;)

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    1. Ciao Fabio,
      Sulla finale scannatoio, ho già scritto forse troppo. Non è che legga molto giornali o siti, e nemmeno i commenti. Capita ogni tanto, e la modernità è quello che è. Si fa fatica a concepire reali certe affermazioni. Il "bimbominkismo" imperante è una piaga sociale. Ci sarà sempre qualche dodicenne che ritiene eccezionali i Tokyo Hotel e non ha mai ascoltato una canzone di Pink Floyd o dei Led Zeppelin. E se provi a farlo notare sembri un anziano che non si adegua ai nuovi tempi...=)
      Grazie davvero, a presto.

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  3. Non ho visto la finale, ma la tua sintesi tecnica vale gli highlights del match: film visto e rivisto, con l'aggravante della durata Ejzesteiniana. Non posso nascondere, tuttavia, un certo compiacimento nella sconfitta  del maiorchino. Dopo i km macinati contro Berdick, altrettanti in semifinale con Federer riesce, stoicamente direi, a resistere 6h alla contraerea serba: e ci viene a raccontare di noie fisiche, lui!? Patetico.
    Comunque l'anno tennistico si inaugura in assoluta (sigh) continuità con il precedente..due leaders, uno schema di gioco.. Mi chiedo, da profano al riguardo, in che percentuale rilevi il fatto che oggi le superfici siano pressoché  tutte standardizzate a media velocità. Che ne pensi?
    Ciao

    P.s. Nella sfida tra simpatici salverei Almagro. Il siparietto inscenato da Berdick, vittima di lesa maestà, era degno di un quattordicenne viziato nel torneo del circolo.

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  4. Poteva finire nelle canoniche 4 ore, se il serbo avesse chiuso il tie-break come si deve.
    Il panorama è quello, i due, se stanno bene (e negli slam stanno sempre bene) sono quasi indistruttibili. Si sfasciano a vicenda, solo per sfinimento.
    Quello delle superfici è un altro dato di fatto evidente. Quello che una volta era veloce cemento, ora è davvero lento, adattissimo alle mirabolanti peripezie arrotatorie e difensive. Idem l'indoor (tranne il tappeto della Royal Albert All e quello pieno di bozze dove gioco io). La terra è vagamente più veloce rispetto al passato (ma sempre terra rimane), l'erba di Wimbledon è chiaramente (provato con analisi puntigliose) più lenta del passato. Solo a Newport c'è erba somigliante con quella degli anni passati.
    Il risultato è la evidente standardizzazione delle prestazioni. Non ci sono più gli specialisti. Terraioli, erbivori, tennisti da veloce...volendo evitare di citare Nadal, ma un Ferrer... sull'erba o indoor sarebbe stato improponibile vent'anni fa. Come un Bruguera anni '90. Idem per i tenniti da veloce che oggi, bene o male, riescono a ben difendersi anche sulla terra.
    Ciao, a presto,

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.