Il tennis. Questo
tristo e bistrattato, tennis. Prima della finale maschile, quasi come ultimo sberleffo, in un
effluvio futurista di luci e shockanti annunci, ecco una dozzina di ex
campioni, in mezzo a quali uno spaesato Rod Laver. Gracile normotipo
australiano, mancino, rossiccio, che tra gli anni 60/70 dominò il tennis. Nel
candore della sua polo immacolata accarezzava una pallina con uno strumento di
legno e giocava il servizio e volée. Poco più di mezz’ora dopo, su quello
stesso campo, due energumeni di venti centimetri più alti, con i muscoli che
scoppiano in maglie iridescenti o con disegni demoniaci, crivellano palline,
rantolano e corrono come fiere selvagge per quasi sei ore. Arpionano colpi
devastanti e l’impatto con la pallina genera schizzi di sudore di un sinistro
color verde radioattivo. Mi sembra, in sintesi, molto più umano un videogame di
dieci anni fa, rispetto a questo “spettacolo” raccapricciante. Mazzate terrificanti
e corse folli, migliaia di scatti poderosi che uno ne basterebbe per mandare al
“fatebenefratelli” un tennista degli anni ’90. Cruenta e titanica lotta tra due
mostri che stanno spingendo la soglia di questo sport sempre più in alto. Per
carità, una sfida anche avvincente quella tra Djokovic e Nadal, perché
equilibrata e lunga quanto tre maratone di Nuova York. Ma di tennis nel puro senso della
parola, c’è poco o niente. Cosa accadrà tra dieci/vent’anni? Se non li fermano
in tempo, finiranno per scarnificarsi, uccidersi e tramortire
definitivamente lo stesso tennis. Come desiderano loro, la stagione di un atleta
professionista sarà ridotta a 5/6 tornei l’anno nei quali esprimere questa
feroce esplosione di ormone, che tanto eccita i cuori dei tifosi che non sanno ancora d'esser gay.
Novak Djokovic: Il
cyborg creato per distruggere. Intendiamoci, in questo agghiacciante scenario di lamiere, inumane
carni, “urla e stridore di denti”, è chiaramente il più forte di tutti. Non il
miglior Djokovic (rassegnatevi a cosa potrà succedere nei prossimi mesi), ma
capace di ridurre a miti consigli Murray e Nadal nel giro di 48 ore. Dopo
battaglie di 5 e 6 ore. E ne avrebbe giocate anche 8 di ore, se necessario.
Poche chiacchiere, ormai il serbo si cucina Nadal allo spiedo. Anche quando non
è al top, come ieri, e non riesce a chiudere in quattro set, gettando via il
tiebreak. Sembra finita, regala qualche antico siparietto, arranca, ma questo
orripilante “Aigor” ha raggiunto una tale sicurezza e furore mentale da
riuscire a girare per la terza volta l’inerzia del match. Pazienza se si muove, colpisce ed è agghindato come inelegante marionetta. Ha scoperto il suo personale "Kundalini", un crotalo che gli scorre lungo la spina dorsale. Copre il campo in
modo impressionante, serve meglio dell’avversario, spinge di più e
meglio dell’iberico rivale grazie e colpi meno arrotati e più ficcanti. Basta
sommare attitudine atletica e capacità difensiva simile a quella del maiorchino,
ed il gioco è fatto.
Rafael Nadal: Un patetico martirio. L’ennesimo successo col rivale di sempre Roger Federer, in
semifinale, ne aveva fatto salire le quotazioni. Se non altro svelato al mondo
quanto gli stucchevoli piagnistei su acciacchi e malanni fossero solo un
maldestro teatro. Corre sgroppa, grugnisce, lancia sguardi di torvo malessere
al mondo, si inginocchia, esulta quasi avesse completato il grande slam. In
realtà ha solo portato Djokovic, il suo carnefice, al quinto set. Quasi quelle
esultanze fossero masochistica voglia di altro dolore o implicito desiderio di
abbattimento. Basterebbe quello spettacolo per capire quanto ormai soffra e
patisca Nole. Come senta la pressione mentale di un’inferiorità impotente, che
come tutti i riflessi psicologici nasce dalla difficoltà tecnica. L’altro se lo
cuoce a fuoco lento, come e quando vuole. Affronta di petto il suo mancino
maglio di dritto, e poi lo infilza di gusto. A Rafa non resta che remare
vanamente quattro metro dietro la riga, gettando dall’altra parte tutto
l’impossibile, per quasi sei ore, con sgroppate che un paio manderebbero al
camposanto un atleta normale. Con Federer basta, contro il serbo in possesso di
un tennis più paziente e meno rischioso rispetto a quello dello svizzero, no. Non
ha rimedi tecnici da poter inventarsi, Rafa. Potrebbe aumentare ancora di più
la soglia di esaltazione fisica (tradotto: rischiare di stirare le cuoia),
rassegnarsi ad essere numero due, pregare la vergine Santissima di Manacor che
Nole si fermi.
Roger Federer: il solito, vecchio, aristocratico avvilimento. Antiche paturnie, vecchi sinistri cigolii della mente che si
riacutizzano nel constatare l'avvilimento tecnico-tattico. Proprio non riesce,
lo svizzero, a divellere le strenue difese di un Nadal nel massimo del suo
esaltato furore fisico. Ognuno ha la sua tragica nemesi, quella di Roger ha le
fattezze e la faccia da ratto del tennista di Manacor. E’ ormai letteratura
dello sport, quella aristocratica ed algida incredulità. L’altro annaspa
quattro metri fuori dal campo, corre, striscia, raglia, crivella, e getta
dall’altra parte della rete ogni arrotato sconcio della tecnica, Roger dentro
il campo in perenne ed elegante forcing, rischiosissimo ed immutabile a se
stesso. Ogni colpo più serrato, ogni volta più angolato, stretto o lungo.
Finché il campo finisce. L’ossigeno al cervello inizia a mancare e finisce lì,
tristemente, per cedere l’ennesima volta. Niente da fare, tre set su cinque. Per
battere Nadal avrebbe bisogno di una prestazione a limite della perfezione, e
non sempre gli riesce. Il modo in cui stronca Tomic e Del Potro conferma quanto
sia ancora in condizioni eccellenti, che è sempre lì, ma i due leader della
classifica ormai hanno congegnato un altro tennis.
Andy Murray: Come un
magnifico scrittore cui manca solo la storia. Paradossalmente esce meglio in questa
edizione dell’open australiano, rispetto a quella precedente, nella quale aveva
perso malissimo la finale con Djokovic. Stavolta si ferma prima, in semifinale,
ma porta il serbo al quinto set. Barcolla, si trascina, boccheggia in modo
orrendo, digrigna la vampiresca dentatura e va a pochi centimetri da una
incredibile vittoria. Il gap sembra essersi assottigliato, tecnicamente avrebbe
le armi per scardinare le trincee dei due mostri. Coach Lendl deve essere bravo
a ricordarglielo, ma nel tre set su
cinque sembra mancargli ancora qualcosa.
David Ferrer: Di catastale
vanga. Classici,
canonici quarti di finale, ove s’arrende a Djokovic. Se i quattro avanti a lui
(ed un’altra manciata di avventurieri) non decidono di farsi una crociera con
Schettino capo nostromo, per lui la finale di un major rimane fantascienza. Ed
è numero 5 al mondo.
Thomas Berdych: Il
cacciatore strabico. Torneo ricco per il tennista ceco, da anni nel limbo degli incompiuti
e sopravvalutati malgrado una lampante miopia tennistica. Quasi impallinato
(fisicamente) da Almagro (uno simpatico quanto una medusa negli slip), regala
le solite inutili schioppettate per spaventare Nadal e due tordi.
Jo-Wilfried Tsonga:
Il bisonte arenato. Doveva o poteva essere il suo torneo. Quanto meno era atteso
all’interessante quarto di finale con Murray, egagro di un tennis abbagliante,
fatto di fisiche esplosioni e gaudenti ricami. Invece è disinnescato sul nascere
dal sapiente Nishikori, negli ottavi
di finale.
Lleyton Hewitt: eroe
antico. Ogni
torneo ha una sua mitologica storia da raccontare. Come pugile a fine carriera,
“Rocchio” barboa. L’australiano combattente è reduce da mille infortuni che lo
hanno reso più vecchio e logoro di quello che la sua età anagrafica direbbe (30
anni). Arriva a Melbourne senza grosse pretese, tanto per divertirsi ancora e
divertire. In esibizione stenta anche a battere un cinese che non sta nei primi
400, appena si fa sul serio invece, tutto paonazzo e con la vena in mezzo alla
fronte gonfia di furore agonistico, riesce nella titanica impresa di
raggiungere gli ottavi di finale annientando i missili terra aria di Milos
Raonic. Non ci vuole poi molto, sembra dire. Ma ancor più eroica è l’abortita
rimonta con la quale infiamma la Rod Laver
Arena, illudendo di poter recuperare due set ed un break al cannibale serbo Djokovic.
Una rimonta che avrebbe reso più umano uno sport sempre più inumano.
Giovani leve,
inceppate Si aspetta da tempo immemore il torneo della definitiva esplosione di qualche giovane. I nomi ci
sarebbero anche, scontati e fin troppo inflazionati. Dalle gioiose geometrie
dormienti dello spocchioso Aussie Bernard
Tomic (che giocava anche in casa), il missilistico tennis della pera
gigante Raonic, o addirittura quel Dimitrov che si specchia nella bizzosa
credenza d’esser già fuoriclasse. Il primo regala tratti di buon tennis e la
netta convinzione che abbia già una discreta maturità. Lo vedi dalla rimonta con Nando Verdasco (uno che potrebbe entrare
nel Devoto Oli sostituendo gli abusati “allocco”, “grullo”, “pollo”: “Oh, ma
certo che sei un Nando incredibile…”) e dal modo scafato e paziente con cui
doma le imprevedibili folate di Alexander
Dolgopolov. Fin troppo arrendevole con Federer, ma il teenager australiano rimane
promosso con riserva. Basta l’esperto disinnescatore malfermo Hewitt per
mostrare invece le falle di Milos Raonic,
devastante, ma a tratti ancora immaturo e prevedibile. Quasi bocciatura per il
piccolo Federer Dimitrov, uccellato
da Almagro (che è tutto dire).
L’invasione delle
cavallette carnivore. Ad un certo punto, sul campo centrale è piombato un nugolo di zompettanti
cavallette. L’ho però visto come un segnale divino: Vuoi vedere che Gasquet vince
gli Australian Open? Niente, in un brutale pomeriggio viene spazzato via dal
vangatore Ferrer. Nessun presagio divino, s’erano tutte rintanate nel
rettangolo di gioco per schivare gli home-run di Ivanovic.
I cani antidroga:
due miglia fuori dal raggio della Rod Laver Arena. Pare, a livello di pettegolezzo, che i
cani antinarcotici di Melbourne siano stati adeguatamente tenuti lontani dal
centro della gladiatoria battaglia di finale. Due miglia almeno. Il rischio che azzannassero i calcagni dei due eroi del moderno tennis, era troppo forte.
Scemo+scemo: la
quasi rissa demente. “scemo+scemo” è definizione che ho ormai depositato alla siae per
indicare Melzer/Petzschner(deludentissimi e squagliati al torrido sole
australiano), ma va benissimo anche per l’episodio relativo alla quasi rissa da
saloon tra Berdych e Almagro. Uno alto e secco, l’altro corto e chiatto. Il
primo biondo albino, il secondo scuro come un calimero di una bruttezza
terrificante. Uno impostato ed ultraconvinto d’esser fenomeno, l’altro
maleducato e perennemente lamentoso. Nicolas Almagro mira alla figura di
Berdych appollaiato a rete (come su una veranda d’estate a rimirare il tramonto che si adagia sulle acque)
con una pallata violentissima. Attentato alla fisica incolumità, o semplice
applicazione di qualsiasi dettame che si impara il secondo giorno in una scuola
tennis: “a distanza ravvicinata, con l’avversario a rete (soprattutto se con le
volèe non è un drago) mirare alla figura”. E “ciccio brutto” Nico mira al
petto-volto. Il ceco si stizzisce, ed a fine match rifiuta di stringergli la
mano. Chi ha ragione dei due? Hanno torto entrambi, a prescindere.
Italtennis: tutto
bene, nella norma. Paolino Lorenzi vince due
orgogliosi giochi contro Djokovic. Volandri
ne strappa una manciata a Raonic. Seppi
arraffa a serramanico un eroico set a Gasquet. Idem un indomabile Fognini: Un
set vinto a Falla. Starace perde in
quattro set dal giapponese delle retrovie Ito. Bolelli manco si qualifica. Matteo
Viola, tennista fantasma e senza colpi, invece si qualifica facendo piroette e
capriole al limite dell’eroismo mitologico (recupera anche uno 0-5 0-40 al
terzo), ma nel main draw raccatta un sacchetto di noccioline da Giraldo. Unica
nota stonata in questo ridicolo e patetico orrore rassegnatamente perdente, Flavio Cipolla. Il romano dal cavallo
basso batte Davydenko e passa un turno. Tutto benissimo e risultati rassicuranti per i nostri vertici
federali, in vista del primo turno di Davis. Tra l’altro, con Fognini che ha
rinunciato, Seppi in bilico per le ben note vicende disertorie e Starace che
sul veloce perderebbe tre set a zero anche dal 46enne Edberg, Cipolla (unico e
vigliacco guastatore del record di sconfitte italico) rischia di far parte
della squadra che giocherà sul veloce, in Repubblica Ceca. Forse, però. Sempre che Barazzutti non chiami il bucaniere Volandri o decida di puntare sui clamorosi rientri di Cancellotti e Pietrangeli (dato ancora in buona forma). Il nostro capitano potrebbe anche "pensare" che Flavio stia male, essendo fine pensatore. Quando, il romano, deciderà di
difendere i colori della Svizzera o di San Marino, sarà sempre troppo tardi.
Dovrei anche scrivere delle femmine. Ma sono ancora scosso come un cavallo scosso del Palio di Siena. Lo farò
prossimamente, promesso sulla testa di Binaghi.
La foto è bellissima!!! -maglie iridiscenti con disegni demoniaci...l'impatto con la pallina genera schizzi radioattivi..- mi hai fatto morire dal ridere, grazie.
RispondiEliminaRod Lever era spaventato e per dargli il colpo di grazia Djokovic gli ha detto che gli spiaceva che loro non giocavano serve&volley.
Mentre "lo infilza di gusto" però non mi dispiace per niente, mi resta questo di questa finale.
Grande delusione da Tsonga, spero nelle prossime uscite. Scemo+scemo è la definizione più adatta
Jess
Tutto merito suo, e di quella faccia orripilante. Una cosa su cui non avevo mai riflettuto. Ma perché lo vestono da Pinocchio? Maglia stretta e pantaloncino stretto. E' ridicolo.
EliminaAnche se gli sono riconoscente per questa piazzata live DA ANTOLOGIA:
1 Novak Djokovic vince il 5° set 7-5 Novak Djokovic v Rafael Nadal
(Punteggio del set in corso) 29/01/2012 Nessuno 11.00 Vincente
La battuta sul s&v al povero ed impotente Laver l'aveva fatta già dopo la semifinale. Il suo repertorio da guitto è anche ripetitivo...=)
Caro Picasso,
RispondiEliminaper fortuna che esisti, e che fai vivere questo blog!
Il fatto è che ne ho pieni i cohones di leggere su svariati siti tennistici (naturalmente italiani) le cronache epiche, pompate all'inverosimile, delle orribili battaglie di mazzate da fondo campo di Djokovic e Nadal. Seguite dalla sfilza di commenti iper-eccitati e bimbominkieschi dei lettori, salvo rare eccezioni che puntualmente vengono prese a martellate.
La tristezza e la disillusione che provo di Slam in Slam è parzialmente compensata dai sorrisi e dalle risate che riesci a strapparmi con i tuoi eccezionali e pungenti articoli, e per questo ti ringrazio.
Amen ;)
Ciao Fabio,
EliminaSulla finale scannatoio, ho già scritto forse troppo. Non è che legga molto giornali o siti, e nemmeno i commenti. Capita ogni tanto, e la modernità è quello che è. Si fa fatica a concepire reali certe affermazioni. Il "bimbominkismo" imperante è una piaga sociale. Ci sarà sempre qualche dodicenne che ritiene eccezionali i Tokyo Hotel e non ha mai ascoltato una canzone di Pink Floyd o dei Led Zeppelin. E se provi a farlo notare sembri un anziano che non si adegua ai nuovi tempi...=)
Grazie davvero, a presto.
Non ho visto la finale, ma la tua sintesi tecnica vale gli highlights del match: film visto e rivisto, con l'aggravante della durata Ejzesteiniana. Non posso nascondere, tuttavia, un certo compiacimento nella sconfitta del maiorchino. Dopo i km macinati contro Berdick, altrettanti in semifinale con Federer riesce, stoicamente direi, a resistere 6h alla contraerea serba: e ci viene a raccontare di noie fisiche, lui!? Patetico.
RispondiEliminaComunque l'anno tennistico si inaugura in assoluta (sigh) continuità con il precedente..due leaders, uno schema di gioco.. Mi chiedo, da profano al riguardo, in che percentuale rilevi il fatto che oggi le superfici siano pressoché tutte standardizzate a media velocità. Che ne pensi?
Ciao
P.s. Nella sfida tra simpatici salverei Almagro. Il siparietto inscenato da Berdick, vittima di lesa maestà, era degno di un quattordicenne viziato nel torneo del circolo.
Poteva finire nelle canoniche 4 ore, se il serbo avesse chiuso il tie-break come si deve.
RispondiEliminaIl panorama è quello, i due, se stanno bene (e negli slam stanno sempre bene) sono quasi indistruttibili. Si sfasciano a vicenda, solo per sfinimento.
Quello delle superfici è un altro dato di fatto evidente. Quello che una volta era veloce cemento, ora è davvero lento, adattissimo alle mirabolanti peripezie arrotatorie e difensive. Idem l'indoor (tranne il tappeto della Royal Albert All e quello pieno di bozze dove gioco io). La terra è vagamente più veloce rispetto al passato (ma sempre terra rimane), l'erba di Wimbledon è chiaramente (provato con analisi puntigliose) più lenta del passato. Solo a Newport c'è erba somigliante con quella degli anni passati.
Il risultato è la evidente standardizzazione delle prestazioni. Non ci sono più gli specialisti. Terraioli, erbivori, tennisti da veloce...volendo evitare di citare Nadal, ma un Ferrer... sull'erba o indoor sarebbe stato improponibile vent'anni fa. Come un Bruguera anni '90. Idem per i tenniti da veloce che oggi, bene o male, riescono a ben difendersi anche sulla terra.
Ciao, a presto,