Diario
di bordo, dal vostro inviato in Vaticano, nell'attico del Cardinal
Bertone, sgargarozzando Dom Perignon
DONNE
Carla
Suarez Navarro: 8. “Meno dotata tecnicamente di Sara Errani”, scrisse un editorialista di spicco, prontamente internato in un
manicomio navale, da cui continua a partorire sontuosi articoli
(pagato). Carlita, più solida del passato, dipinge il campo in modo
sublime, con un rovescio da letteratura erotica. Da brutto
anatroccolo si trasforma in sexyssima pittrice che spennella angoli
con la racchetta. Anche agonista, a sua insaputa. In finale è
investita da una missione divina: liberare il tennis dall'orrore
triviale. Stremata, si ferma a un metro dal traguardo.
Maria
Sharapova: (no, per carità). Le sue urla da partoriente nel
reparto furiosi del neurodeliri, arrivano fino al Vaticano, dove Papa
Francesco consuma un frugale pasto a base di pane azzimo e cicorie. E
il Pontefice, dopo aver tirato giù tutti i santi del calendario,
quasi si convince ad accettare l'aborto. Tira pure (uau) una serie di
smorzate di fattura agricola, nelle quali palesa una difficoltà
insuperabile: non può latrare. Poi mazzate, altre urla, manco fosse
scossa dalla nerchia di Nacho Vidal in un anal d'epoca, e invece di
fronte c'è solo la leziosa Carlita. Santo cielo, liberateci dal
male.
Daria
Gavrilova: 7. “La vispa Teresa correa tra l'erbetta, l'ho
presa, l'ho presa, ululava invasata”. Colpevolmente, la lascio
sotto di un set e un break nel primo turno di qualificazioni con la
bimba svizzerotta Bencic, bollandola come una delle tante. E invece,
non solo vince quella partita, ma si qualifica e, feroce battaglia
dopo battaglia, perde solo da azzoppata in semifinale. Tira,
strepita, ride, fa pugnetti, zompetta, isterica, irriverente, odiosa,
contagiosamente simpatica. Insomma, tennista a 360 gradi. Completa
anche nel tennis. Fa tutto, più o meno bene.
Sergio
Giorgi: 7+. Ho il privilegio di stargli gomito a gomito, mentre
studia scrupolosamente la possibile avversaria del suo pargolo (che
però perde prima) sulla balaustra del campo numero uno: Serafico,
persino calmo. Solo qualche tic. Ogni tanto parla da solo (ma sotto
voce), e si dà colpetti in testa guardando l'ignominioso slice di
Rybarikova. Spettacolo assoluto durante l'allenamento di Camila:
Dario Fo ubriaco con la faccia di Keith Richards, capelli di
Branduardi e movimenti da Haka degli All Blacks.
Camila
Giorgi: 4,5. Il gabbiano Peppino, solito svolazzare sui campi del
Foro, è uscito illeso dai suoi pallettoni vaganti. Già un successo.
Simona
Halep: 6,5. Macchinetta da tennis spaventosa, senza trucco,
parrucco e atteggiamenti da diva. Carlita le scombina i piani, di solito infallibili contro chi va di vanga.
Vika
Azarenka: 5,5. I suoi rigurgiti ancora non sono di quel bel verde
acceso del 2011, ma è recuperata al “tennis”. I campionati di
rutti e peti tra camionisti ubriachi di vodka a Minsk, possono
aspettare.
Maria
Josè Martinez Sanchez: 7. Struggente ritorno nel luogo del
poetico omicidio, un lustro dopo. Gioca il doppio, coi soliti ricami
da fugaci orgasmi. Petizione personale: con Roberta Vinci, finalmente
libera dal male, costituirebbe un doppio da favola.
Serena
Williams: s.v. Vacanze romane. Tre gricie fumanti dallo “zozzone”
e forfait per fastidi al gomito, provato dai bicchieri di vinello dei
Castelli sollevati. L'obiettivo è Parigi.
Ana
Ivanovic: 4. Alla (inutile) ricerca del neurone perduto.
Altre
italiane: Knapp (6). All'armadio altoatesino quasi
le riesce lo scalpo di una Kvitova addormentata. Errani (3),
motozappa senza benzina. Pennetta (4) ormai più presa
dall'imminente matrimonio con Fognini (diosanto). Vinci (3). Il
divorzio l'ha svuotata. Smagrita, emaciata, senza tette (manco la
Sciarelli le troverebbe) paradossalmente non riesce a volteggiar leggiadra. Schiavone (5). Il
divertimento a competere ancora supera l'imbarazzo per inevitabili
sconfitte in serie.
UOMINI
Novak
Djokovic: 8. Ha ormai assunto lo status di macchina da tennis. Giochicchia totalmente in controllo, poi a un certo punto
allaccia il casco, innesta la freccia e saluta tutti. In finale non
corre rischi e gioca un incontro ai limiti del mostruoso. Di umano ha
davvero poco. Non so cosa potrà impedirgli di vincere il Roland
Garros. Il tappo di una magnum. Forse Superciuk fatto di vino ai pomodori cipollati o la sindrome di
Lendl a Wimbledon, più che il fantasma di Nadal.
Roger
Federer: 7,5. Lo Divino Re, o Augusto Imperatore, accolto
nell'Urbe dalle trombe dei messi imperiali. La magia di un tramonto
romano pervaso d'arancio commovente, forse, senza ricadere in
insopportabili “binaghismi”, lo ispira. Esprime il miglior tennis
della stagione, in un torneo che non doveva giocare. Come le cose non
programmate, inattese, partorisce tennis che è fantascienza
applicata alla poesia. Passato traslato nel futuro spaziale. Poi
perde la finale, l'ennesima nella capitale, contro un serbo ai
limiti dell'umano. Torneo maledetto, e Roma che dopo averlo quasi
santificato torna a fare la stupida, sulle laceranti note (perché?)
di “Un amore così grande”. “Ma come, dopo Gasquet, ora ti
appassioni a un altro perdente?”, fa la mia psicologa
personale, con un sottile fondo di verità. Ma non sa, la tapina, il peso eretico
delle sue parole. Prontamente, un drappello di fan del Divino Re
comunque Santissimo, la cattura e per poco non la arde viva.
Rafa
Nadal: 5,5. Nel trionfo di nenie cantilenanti “For sure, il
ginocchio fa male...non so se giocherò e potrò vincere il primo
turno”, un tempo accumulava vittorie stile strike nei tornei
su terra. Ora non ne vince uno, ma è un coro di “sto giocando
bene, sono fiducioso” senza accenno ad acciacchi, tendini
lesionati, artriti ossee. I tempi cambiano. Per la prima volta
arriverà a Parigi non da favorito, ma si farà tumulare prima di
perdere.
Stan
Wawrinka: 7. Fa il botto pestando sodo Nadal (ammesso che sia
ancora una sorpresa). Poi fa da spettatore alla cavalcata delle
valchirie di Federer.
Andy
Murray: s.v. Sotto gli occhi materni della gravida Mauresmo,
scende in campo per l'allenamento (sotto un sole subsahariano) in
tragici scalda muscoli alla caviglia, provati dalla cavalcata
madrilena. Deambula con le gambe rigide, manco fosse Chiappucci dopo
la tappa dell'Alpe d'Huez. Sempre più personaggio naif/surreale. Poi
si ritira.
David
Ferrer: 6,5. Rantola, corre con la lingua penzoloni e gli occhi
fuori dalle orbite, rincorre, sniffa calzini, riparte, scalpella come
un mastro ferraio fatto di vernice. Il mio arido cuore quasi si
commuove quando Djokovic si scoccia, gli mette il boccaglio e la
chiude.
Fabio
Fognini: 6,5. Ha il tennis per giocarsela con i top ten su terra
e la testa per perdere anche da un bibbitaro armeno. Prendere
graniuole di fischi o trascinare la folla patriottica. Quindi? Più
che la fantastica vittoria su Dimitrov e la quasi impresa con
Berdych, sorprende che abbia battuto senza difficoltà Johnson. E dopo
i fischi dell'anno scorso rende il Pietrangeli una bolgia infernale,
quasi come il Marakana di Belgrado.
Alexander
Dolgopolov: 6+ Vedo tutti i suoi match, con vibrante
soddisfazione e accenno di erezione. Frenetico, estroso,
adrenalinico, una benefica scossa per un tennis sempre più
tombale. Dategli uno spartito, uno straccio di tattica, e perderà la
sua essenza anarchica.
Altri
italiani: Donati (7). Lieta nota. Già lo
scorso anno, vedendolo qui, pensai fosse il più pronto dei nostri
ragazzini. Buona completezza tecnica, agonismo positivo, fisico
ancora acerbo. Bolelli (4,5). Ancora è lì che
insegue, alla moviola, un rovescio di Thiem. Quinzi (4,5).
La mancanza di colpi incisivi tarda (l'eventuale) esplosione,
rispetto ai suoi coetanei. Qualcuno, trionfalmente, ne vedeva il
futuro Nadal. Ad oggi, che diventi il futuro Ramirez Hidalgo sarebbe
già un successo.
Quinto
slam: Querula invocazione-pretesa, denigrando Madrid, torneo più
ricco e organizzato, ma privo del fascino del Foro, che trasuda
storia da ogni poro, amato dai tennisti, etc. Ma per avere il quinto
slam, pensano di portare i torneo a Fiumicino. Io boh.