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domenica 17 maggio 2015

INTERNAZIONALI D'ITALIA 2015 – PAGELLE VERNACOLARI






Diario di bordo, dal vostro inviato in Vaticano, nell'attico del Cardinal Bertone, sgargarozzando Dom Perignon



DONNE

Carla Suarez Navarro: 8. “Meno dotata tecnicamente di Sara Errani”, scrisse un editorialista di spicco, prontamente internato in un manicomio navale, da cui continua a partorire sontuosi articoli (pagato). Carlita, più solida del passato, dipinge il campo in modo sublime, con un rovescio da letteratura erotica. Da brutto anatroccolo si trasforma in sexyssima pittrice che spennella angoli con la racchetta. Anche agonista, a sua insaputa. In finale è investita da una missione divina: liberare il tennis dall'orrore triviale. Stremata, si ferma a un metro dal traguardo.

Maria Sharapova: (no, per carità). Le sue urla da partoriente nel reparto furiosi del neurodeliri, arrivano fino al Vaticano, dove Papa Francesco consuma un frugale pasto a base di pane azzimo e cicorie. E il Pontefice, dopo aver tirato giù tutti i santi del calendario, quasi si convince ad accettare l'aborto. Tira pure (uau) una serie di smorzate di fattura agricola, nelle quali palesa una difficoltà insuperabile: non può latrare. Poi mazzate, altre urla, manco fosse scossa dalla nerchia di Nacho Vidal in un anal d'epoca, e invece di fronte c'è solo la leziosa Carlita. Santo cielo, liberateci dal male.

Daria Gavrilova: 7. “La vispa Teresa correa tra l'erbetta, l'ho presa, l'ho presa, ululava invasata”. Colpevolmente, la lascio sotto di un set e un break nel primo turno di qualificazioni con la bimba svizzerotta Bencic, bollandola come una delle tante. E invece, non solo vince quella partita, ma si qualifica e, feroce battaglia dopo battaglia, perde solo da azzoppata in semifinale. Tira, strepita, ride, fa pugnetti, zompetta, isterica, irriverente, odiosa, contagiosamente simpatica. Insomma, tennista a 360 gradi. Completa anche nel tennis. Fa tutto, più o meno bene.

Sergio Giorgi: 7+. Ho il privilegio di stargli gomito a gomito, mentre studia scrupolosamente la possibile avversaria del suo pargolo (che però perde prima) sulla balaustra del campo numero uno: Serafico, persino calmo. Solo qualche tic. Ogni tanto parla da solo (ma sotto voce), e si dà colpetti in testa guardando l'ignominioso slice di Rybarikova. Spettacolo assoluto durante l'allenamento di Camila: Dario Fo ubriaco con la faccia di Keith Richards, capelli di Branduardi e movimenti da Haka degli All Blacks.

Camila Giorgi: 4,5. Il gabbiano Peppino, solito svolazzare sui campi del Foro, è uscito illeso dai suoi pallettoni vaganti. Già un successo.

Simona Halep: 6,5. Macchinetta da tennis spaventosa, senza trucco, parrucco e atteggiamenti da diva. Carlita le scombina i piani, di solito infallibili contro chi va di vanga.

Vika Azarenka: 5,5. I suoi rigurgiti ancora non sono di quel bel verde acceso del 2011, ma è recuperata al “tennis”. I campionati di rutti e peti tra camionisti ubriachi di vodka a Minsk, possono aspettare.

Maria Josè Martinez Sanchez: 7. Struggente ritorno nel luogo del poetico omicidio, un lustro dopo. Gioca il doppio, coi soliti ricami da fugaci orgasmi. Petizione personale: con Roberta Vinci, finalmente libera dal male, costituirebbe un doppio da favola.

Serena Williams: s.v. Vacanze romane. Tre gricie fumanti dallo “zozzone” e forfait per fastidi al gomito, provato dai bicchieri di vinello dei Castelli sollevati. L'obiettivo è Parigi.

Ana Ivanovic: 4. Alla (inutile) ricerca del neurone perduto.

Altre italiane: Knapp (6). All'armadio altoatesino quasi le riesce lo scalpo di una Kvitova addormentata. Errani (3), motozappa senza benzina. Pennetta (4) ormai più presa dall'imminente matrimonio con Fognini (diosanto). Vinci (3). Il divorzio l'ha svuotata. Smagrita, emaciata, senza tette (manco la Sciarelli le troverebbe) paradossalmente non riesce a volteggiar leggiadra. Schiavone (5). Il divertimento a competere ancora supera l'imbarazzo per inevitabili sconfitte in serie.





UOMINI

Novak Djokovic: 8. Ha ormai assunto lo status di macchina da tennis. Giochicchia totalmente in controllo, poi a un certo punto allaccia il casco, innesta la freccia e saluta tutti. In finale non corre rischi e gioca un incontro ai limiti del mostruoso. Di umano ha davvero poco. Non so cosa potrà impedirgli di vincere il Roland Garros. Il tappo di una magnum. Forse Superciuk fatto di vino ai pomodori cipollati o la sindrome di Lendl a Wimbledon, più che il fantasma di Nadal.

Roger Federer: 7,5. Lo Divino Re, o Augusto Imperatore, accolto nell'Urbe dalle trombe dei messi imperiali. La magia di un tramonto romano pervaso d'arancio commovente, forse, senza ricadere in insopportabili “binaghismi”, lo ispira. Esprime il miglior tennis della stagione, in un torneo che non doveva giocare. Come le cose non programmate, inattese, partorisce tennis che è fantascienza applicata alla poesia. Passato traslato nel futuro spaziale. Poi perde la finale, l'ennesima nella capitale, contro un serbo ai limiti dell'umano. Torneo maledetto, e Roma che dopo averlo quasi santificato torna a fare la stupida, sulle laceranti note (perché?) di “Un amore così grande”. “Ma come, dopo Gasquet, ora ti appassioni a un altro perdente?”, fa la mia psicologa personale, con un sottile fondo di verità. Ma non sa, la tapina, il peso eretico delle sue parole. Prontamente, un drappello di fan del Divino Re comunque Santissimo, la cattura e per poco non la arde viva.

Rafa Nadal: 5,5. Nel trionfo di nenie cantilenanti “For sure, il ginocchio fa male...non so se giocherò e potrò vincere il primo turno”, un tempo accumulava vittorie stile strike nei tornei su terra. Ora non ne vince uno, ma è un coro di “sto giocando bene, sono fiducioso” senza accenno ad acciacchi, tendini lesionati, artriti ossee. I tempi cambiano. Per la prima volta arriverà a Parigi non da favorito, ma si farà tumulare prima di perdere.

Stan Wawrinka: 7. Fa il botto pestando sodo Nadal (ammesso che sia ancora una sorpresa). Poi fa da spettatore alla cavalcata delle valchirie di Federer.

Andy Murray: s.v. Sotto gli occhi materni della gravida Mauresmo, scende in campo per l'allenamento (sotto un sole subsahariano) in tragici scalda muscoli alla caviglia, provati dalla cavalcata madrilena. Deambula con le gambe rigide, manco fosse Chiappucci dopo la tappa dell'Alpe d'Huez. Sempre più personaggio naif/surreale. Poi si ritira.

David Ferrer: 6,5. Rantola, corre con la lingua penzoloni e gli occhi fuori dalle orbite, rincorre, sniffa calzini, riparte, scalpella come un mastro ferraio fatto di vernice. Il mio arido cuore quasi si commuove quando Djokovic si scoccia, gli mette il boccaglio e la chiude.

Fabio Fognini: 6,5. Ha il tennis per giocarsela con i top ten su terra e la testa per perdere anche da un bibbitaro armeno. Prendere graniuole di fischi o trascinare la folla patriottica. Quindi? Più che la fantastica vittoria su Dimitrov e la quasi impresa con Berdych, sorprende che abbia battuto senza difficoltà Johnson. E dopo i fischi dell'anno scorso rende il Pietrangeli una bolgia infernale, quasi come il Marakana di Belgrado.

Alexander Dolgopolov: 6+ Vedo tutti i suoi match, con vibrante soddisfazione e accenno di erezione. Frenetico, estroso, adrenalinico, una benefica scossa per un tennis sempre più tombale. Dategli uno spartito, uno straccio di tattica, e perderà la sua essenza anarchica.

Altri italiani: Donati (7). Lieta nota. Già lo scorso anno, vedendolo qui, pensai fosse il più pronto dei nostri ragazzini. Buona completezza tecnica, agonismo positivo, fisico ancora acerbo. Bolelli (4,5). Ancora è lì che insegue, alla moviola, un rovescio di Thiem. Quinzi (4,5). La mancanza di colpi incisivi tarda (l'eventuale) esplosione, rispetto ai suoi coetanei. Qualcuno, trionfalmente, ne vedeva il futuro Nadal. Ad oggi, che diventi il futuro Ramirez Hidalgo sarebbe già un successo.

Quinto slam: Querula invocazione-pretesa, denigrando Madrid, torneo più ricco e organizzato, ma privo del fascino del Foro, che trasuda storia da ogni poro, amato dai tennisti, etc. Ma per avere il quinto slam, pensano di portare i torneo a Fiumicino. Io boh.


martedì 15 gennaio 2013

AUSTRALIAN OPEN 2013 – SPLENDONO LE PRIMAVERE DI KIMIKO




Day 2 – Dal vostro inviato che, sconcertato, apprende dell’ammissione di Armstrong: facevo uso di doping. E che rivolge un dolce pensiero a Pantani 

E’ notte fonda ormai, mezzogiorno di fuoco nel caldo umido mortale di Melbourne, quando m’apposto in rassegnata posizione dormiente. Non ci si attende il miracolo, ma tanto vale godersi le ultime sferruzzate mitologiche di Kimiko Date. Curiosità e molto affetto per l’icona tennistica che non si arrende al trascorrere degli anni, ma continua a sfidarla misurandosi con giovani vatusse dal tennis devastante. E lo fa grazie a un tennis antico e quell’intelligenza tattica ormai divenuta arte povera. Ieri le speranze erano oggettivamente poche, per l’irriducibile e attempata eroina di 160 centimetri scarsi che veleggia sorridente verso le quarantatré primavere, opposta al deambulante donnone dell’est Nadia Petrova. Specie in quella calura arrecante asfissia e giramenti di testa anche dietro il monitor che geme pietà.
Invece, quando meno te lo aspetti ecco materializzarsi il miracolo di questa donnina senza tempo ed età. E rimango calamitato a quello schermo, mandando Morfeo a farsi un tresette con Errani. Un inizio da brividi d’incoscienza, rasoiate piatte che lasciano di stucco il basito tricheco russo che si guarda attorno sconsolato, tra le onde, con occhio sbarrato. Altro non riesce a fare, Nadia, che tirare più forte. E quando non sbarella, scentrando clamorosamente, la piccola diavolessa dagli occhi taglienti rimanda missili di velocità doppia, d’incontro, con ghignetto d’arrembaggio incorporato e deliziosi “c’mon” striduli. Un po’ samurai, un po’ cartone animato giapponese troppo enfatico per essere vero, con un pizzico di manga che t’intriga la mente.
Ha poco da chiedere ancora, non farà più semifinale a Wimbledon e non sarà ancora numero 4 al mondo, ma si diverte confrontandosi con gli anni, cui non bada e che dichiara di non contare. E c’è da crederle. Ma da Navratilova, fino a Wozniacki o Azarenka, Kimiko c’è sempre. La regina di tutte le milf tennistiche non si scompone e, tra un sorrisetto, occhi rivolti al cielo, pose da kamikaze arrembante in risposta e via un altro attacco radente che porta la semovente Petrova, in attonita confusione, a tentare improvvisate battute di caccia alle quaglie australi. 6-2 6-0. Da stropicciarsi gli occhi, e dormire contenti. Nel mezzo di un orrore che dilaga, il tennis ha ancora esempi avvincenti, begl’occhi d’agonismo genuino e storie affascinanti da poter raccontare.
Quasi mi vergogno nel riportare altre cose, col pericolo di sporcare la delizia di Kimiko col padel-tennis, ma in un parallelo clamoroso d’orari, annaspa clamorosamente Sara Errani. E non aspettatevi che spari sul suo urlante cadaverino sportivo. Storia semplice: se corre anche un minimo sotto la soglia e arrota corto, una tennista con soluzioni infinitamente maggiori delle sue come Carlita Suarez Navarro la sega in due come tavoletta di burro scaduta. Con penosi contorni di lezione tennistica. Schiavone perde contro una Kvitova al 20% causa asma. Pippo Volandri strappa un eroico set iniziale a Simon (che rollava sigarette speziate) e gli organizzatori gli regalano una fornitura annuale di “magic italian pizza”. Avanti solo Seppi (come un Unno) e Vinci, malgrado, larmante dopo la sconfitta di Sara, volesse rinunziare. Per rispetto.
Leggo eminenti scienziati della penna tennistica professionale parlare di “missione catastrofica italiana a Melbourne”. Per me è catastroficamente in linea coi valori attuali. Al solito, il peccato fu (annebbiati dal tifo patriottico) creder speciali tennisti normali.
Serena non lascia nemmeno un game alla malcapitata Gallovits, ne avrebbe concesso uno giocando con una padella per le castagne. Senza problemi Azarenka e due giovanottone da tener d’occhio: Stephens e Robson. Nel tabellone maschile avanzano: Federer che ischerza Paire (ma Benoit nel gioco delle tre palle avrebbe vinto), Murray, Del Potro, Gasquet e le due promesse rampanti Raonic e Tomic. E’ un Australian Open “per vecchi”, ma dopo le imprese di Stepanek e Kimiko, non riesce l’eroica vittoria a Tommy Haas contro Nieminen, buono per tagliare giovani tronchi di pino nella tundra finnica.





Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.