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lunedì 22 giugno 2009

Ve lo racconto io Wimbledon. Federer in vestaglia, Djokovic goffa marionetta sui prati, e l'ortodosso Mahut splendido perdente



Dimenticate aspre fragole congelate con panna-calce liquida, scordate l'ottuagenario pubblico imbalsamato, bardato con buffi orpelli color pastello. Al limite, rimuovete anche le deliziose stilettate di Gianni Clerici e le poderose accelerazioni circolettate di Rino Tommasi. Ve lo do io, Wimbledon. Grazie ai potenti mezzi di esotici steaming, e stridule vocine di commentatori orientali (un mix tra Ugo Francicanava e un Marianella in preda agli oppiacei). Satolli come otri, di viagra cinesi, si eccitano persino al cospetto di un dritto flatulente di Seppi, o per una sventagliata di Djokovic, con tanto di mascella ritorta ed espressione da mostro di Milwaukee.
Da sempre, inizia le danze il vincitore dell'anno prima. Peccato che Nadal se ne stia nella sua confortevole magione maiorchina. Rifletterà assieme all'amato zio Tony, se il suo fisico disumano non abbisogni di un riposo, e magari del relax di qualche generosa fanciulla. Ecco quindi che ad iniziare è Roger Federer, nel ruolo che più lo aggrada: mostrare tennis immacolato. Liberatosi dal tarlo ossessionante di un umanoide che osava batterlo, l'elvetico è alle prese con il rappresentante di Taipei, Lu. Più o meno lo stesso periglio che una barca a vela rattoppata può arrecare ad una portaerei, che solca maestosa le acque dell'oceano. L'immagine che salta alla mente, è quella dello studente cinese che sbarrava la strada al carrarmato del regime. Il problema è che stavolta, il cinese è di Taipei, porta un cappellino, ed talmente insignificante, che il cingolato proprio non ci pensa a scansarsi. Non sfigura Lu, certo, ma è davvero troppo debole e leggero per costituire un'insidia immaginifica. Talmente rilassato dalla nuova situazione, senza più assatanati iberici nella mente, Federer concede persino un break in apertura al ragazzo di Taiwan. Poi vince quasi in vestaglia di flanella (con stemma regale RF) e babbucce: 7-5 6-3 6-2.
Poi tocca a Novak Djokovic. Il serbo mi provoca lo stesso effetto di un riccio di mare sugli zebedei, si sa. Non riconoscere che sia un giocatore solido, tremendamente efficace e molto forte sul duro e sulla terra, sarebbe miserabile cecità, quindi mi guardo bene dal farlo. Ma lì ci si deve fermare. Sull'erba il suo tennis raggiunge picchi di mediocrità indisponente. Goffo ed impacciato, rigido, bradipesco in risposta, lento e brutto a vedersi. I rimbalzi erbivori (sebbene meno infidi che in passato) non gli permettono di sventagliare come su altri terreni, si lancia al limite in improponibili fiatelle corte, col braccio che sembra di legno massello. Insomma, c'è tutta la gamma. Annesse esultanze e litanie fuoriluogo, grottesche quanto a guerre sante senza religione. Per due set fa sembrare Benneteau un fenomeno. Per carità, il francese con una strana mesciatura sui boccoli (una specie di penna bianca) è da primi 40 in modo costante, completo e competitivo su tutte le superfici. Gioca un tennis diverte e vario, ma niente da dover prendere sul serio per un (presunto) top player. Nole si aggrappa solo alla battuta e viene sbattuto da un lato all'altro come una marionetta qualsiasi, per due set. Poi il francese finisce la benzina mentale, e il serbo riprende in mano la partita. Il buon Nicolas, che ce la mette tutta, torna a giocare punto a punto, nel quarto. E' un bel torello da combattimento. Al punto da sbattere violentemente contro i tabelloni di fondo, nel tentativo disperato di riacciuffare un lob di Djokovic. Sembra essersi fatto male sul serio il francese. Intervento medico e partita sospesa sul 4-5 30-40, e match point per il serbo. Che alla fine vince 6-7 7-6 6-2 6-4. Come da pronostico, con qualche fastidio. E visto il tabellone agevole, avanzerà ancora scoordinato. Mardy Fish (agevole con Roitman ritiratosi sul finire), e Tipsarevic (autoritario su Henrych), permettendo.
Kohlschreiber si sbarazza senza patemi del francese Serra, e veleggia verso il cruento frontale con Federer al terzo (ma non è mica detto, magari il tedesco gioca in trance e vince). Ivo Minar, perenne espressione da ragionier Fantozzi d'annata, pena più del previsto per battere Maximo Gonzales, che sull'erba sembra Werner Perathoner che vuol fare la discesa libera di Kitzbuhel sulla sabbia. Se le danno di santa ragione, incuranti di tutto, superficie, pubblico, e stupro della bellezza, Juan Monaco e l'iberico Almagro. Arano con ferocia il campo, senza soluzione di continuità. Alla fine vince lo spagnolo dopo quattro ore oltre l'umana immaginazione, in cui provano anche ad arrotarsi il cervello. Garcia Lopez, che l'erba un po' la mastica, asfalta l'attempato argentino Calleri, eternamente calante, dopo aver ballato una mezza estate. L'altro Lopez (Feliciano), quello buono per i prati, col solito sciame di fanciulle obese al seguito, dopo aver tentato di recuperare da 3-5 nel set decisivo, si lascia morire, tra una bellissima (quanto inutile) voleè e l'altra, contro il rientrante Karol Beck. Slovacco mestierante di lungo corso ed entrato in tabellone come lucky looser. L'indisponente “perdente fortunato” batte il perdente e basta, 10-8 al quinto. Il trottolino incarognito coi tratti somatici da truce minatore, abbatte il bell'iberico dalla faccia d'angelo. Tutto ha una logica, e adios Feliciano.
Jo Wilfred Tsonga, sempre a metà tra Cassius Clay e Marvin the “marvelous” Hagler, ha il suo bel da fare per domare la resistenza del kazako Golubev, il cui nome non dirà molto, ma è un gran bell'attaccante, pericoloso sul rapido. Ancora da decifrare le ambizioni di Jo. Ma già raggiungere Federer ai quarti, sarebbe un bel passo. Poi succeda quel che succeda. Fernando Verdasco impallina la modesta wild card inglese Ward, ma si attendono esami più seri. Passa a suon di graniuolate di sevizi Ivo Karlovic. Continua l'inspiegabile mistero buffo Dancevic, gran bel puledro di razza tutto servizio, bel rovescio vario, improvvisi colpi al fulmicotone da fondo e con una bella mano sotto rete: sconfitto dal belga Darcis, curioso ominide belga con l'espressione da belga triste, ma che sull'erba non se la cava neanche malaccio.
Per la serie, “che importa delle coppe e delle vittorie, pure una sconfitta può saziare l'animo”, entusiasma gli esteti dissennati, oltremodo mortificati e preparati ad torneo da tregenda, Nicolas Mahut (nella foto), opposto al belga Vliegen. Di gran lunga il match più divertente della giornata. E chissenefrega dei top, e che alla fine il francese abbia perso. Nicolas gioca un tennis delizioso, un serve and volley elegante ed esplosivo, purissimo, senza alcune contaminazioni moderne. Come non si vedeva dai tempi di Pat Cash o Pat Rafter (ok, ok, mi sto allargando troppo). L'ortososso (quasi talebano) della voleè, recupera due set e poi si arrende al quinto: 6-3 7-6 5-7 5-7 6-4. Sempre per gli amanti ossessionati dal gesto tecnico, Xavier Malisse, resuscitato come lazzaro dalle qualificazioni, gioca sul campo 18. Al di là dell'acconciatura da calciatore, il belga è uno che a tennis gioca meno bene di pochissimi (si contano sulle dita di una mano). Oggi si lascia irretire dal tremebondo falegname tedesco Shuettler, che non ne ha ancora abbastanza di arrotare palline per campi, malgrado continue petizioni di associazioni umanitarie e Greenpeace. Il tedesco è uno che per batterlo, devi ammazzarlo due volte. Dopo tre games, il belga sembra già ciucco di fatica, vince comunque il primo al tiebreak. Poi lascia il campo alla freschezza fisica del 35enne tedesco nel secondo. E il paradosso è voluto. Lotta furente nel terzo, e sul 4-1 Shuetteler, nel tiebreak, un nastro maligno sancisce la vittoria del Dio del brutto, su quello del tennis. Xavier perde il tiebreak e cede di schianto 6-1 al quarto. Buone notizie per il circuito, comunque. Ammirevole la voglia di tornare compititivo del belga, che in carriera ha avuto più infortuni, che il premier processi ingiusti (certo). Robin Soderling vede le streghe per quasi due set con il terrificante battitore lussemburghese Muller, letteralmente ingiocabile sul suo servizio fino al 7-6 5-5 del secondo. Poi si scioglie come rugiada mattutina, e lo svedese, che romantico non è, la spazzola via brutalmente 6-7 7-5 6-1 6-2. In altri match da chiamare gli artificieri, nas, ris e le guardie forestali, l'attempato yankee Vincent Spadea, infilza il cileno Capdeville, Canas stronca uno Junqueira, imbarazzante in tutto. Passano pure Greul, Montanes, Robredo, Koubek, Andreev e Querrey, ma solo perchè hanno avuto la ventura di incrociare avversari improponibili.
Siccome succede così raramente, occorre dare spazio alla impresa leggendaria (!) del tennis azzurro. Andreas Seppi riesce a battere nientemeno che James Blake, 17 del seeding e numero uno nel concorso “chiapponi sporgenti”, tre combattuti set a zero (!). Match visto a tratti, ma mi pare di aver capito che l'altoatesino abbia avvolto l'americano, nel suo candido torpore. Riuscendo persino a recuperare un break sotto nel terzo e 0-5 nel tiebreak finale. Blake sotto tono, e che mai qui aveva fatto cose memorabili. Per qualche misteriosa ragione, Andreas gioca meglio sull'erba (almeno questo lo avevo previsto, su suggerimento del gatto). Impresa biblica per Simone Bolelli, che stanco e azzoppato, recupera due set all'austriaco Koellerer folkloristico ed iracondo personaggio da evitare di incrociare per strada di notte, ma che in un campo da tennis non fa paura nemmeno ad un criceto nano. Intendiamoci, (infortuni a parte) non ha fatto nulla di fenomenale, Bolelli. Ha solo rimediato ad un inizio mostruosamente imbarazzante, in un match che uno col suo talento avrebbe dovuto vincere tre set a zero, contro un avversario quasi improponibile in un torneo dello slam. Ma già che il bolognese abbia dimostrato carattere e voglia di combattere, è un bel passo in avanti. Adesso ha la strada spianata verso la semifinale. Certo, e poi ci si sveglia tutti sudati. La piccola tarantina Roberta Vinci, col suo godibilissimo gioco vintage classicheggiante, batte la quotata slovacca Rybarikova, che al di là del viso da criceto, è in ascesa. Bagliori di antichi fasti leonini per Francesca Schiavone, che in una battaglia rusticana, batte in tre set la canadese Wosnziak. Che non è la Wozniaki, ma è sempre un bello scalpo. Unica sconfitta, ma preventivabile, quella di Maria Elena Camerin, lotta ma perde contro la più quotata israeliana Peer. Con l'azzurra che si è scavata la fossa dopo essere stata avanti 5-1 nel secondo.
Tra le donne, svanisce dopo un set il sogno della sedicenne mancina britannica Robson, di battere Daniela Hantuchova, gazzela ceca in caduta libera. Solita espressione di torpore intestinale e morte selvaggia, nell'assistere a qualche scambio tra Maria Sharapova e l'ucraina Kutuzova. Sembra una lotta tra vitelle sgozzate e morenti. Alla fine vince Masha, al solito lenta e fallosa. Le sono rimasti solo i grugniti. Ma per arrivare in fondo al torneo dovrebbero bastare. Il trattore Serena Williams, meno cruenta del previsto con la semisconosciuta e gradevole portoghese Silva, uno scricciolo uscita fuori dalle qualificazioni, che approfitta degli errori in sequenza dell'americana per rimanere a galla fino al 5-5 nel terzo. In una giornata senza sorprese rilevanti, vincono senza patemi anche Petrova, Cirstea, Dementieva e la tremebonda Azarenka (sempre più posseduta Linda Blair, versione esagerata.).

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.