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mercoledì 24 giugno 2009

Ve lo racconto io, Wimbledon. Giorno 2. La regina soffocherà Murray, Marat malinconico addio, Picasso Petzschner e maghetto Santoro col vento in poppa




Un bel sole sui campi di Wimbledon. Temporale e pioggia a catinelle dalle mie parti. Cosa interesserà ai miei due (occasionali) lettori? Niente. Ambiente elettrico e frizzante sul centrale di Wimbledon. Era il grande giorno per gli inglesi. Eccitati e trepidanti come pulzelle illibate alla prima notte di nozze, accolgono l'ingresso in campo del loro eroe Andy Murray, impegnato nel primo turno del torneo contro l'abbordabilissimo americano Kendrick. E già questo appare eccessivo. Se poi si riflette che Andy è pure scozzese, il dubbio che quello di Albione sia un popolo bizzarro, s'insinua subdolo. Come se tra vent'anni, con la padania governata dal moderatissimo Borghezio, al torneo per l'orgoglio padano di Cinisello Balsamo, i verdi locali andassero in visibilio per un napoletano. Grosso modo. Ma va beh, cosa attendersi da un popolo che venera un'ottuagenaria regina con bizzarri cappellini? In Italia venerano un attempato semi-messia che va a puttane di gran lusso. Ogni popolo ha i suoi guai, meglio non insistere. Ma passiamo al tennis. Murray appare contratto, si fa recuperare un break, ma chiude ugualmente il primo 7-5. L'impressione netta è che lo scozzesse non riesca a scrollarsi di dosso quella cappa che gli stolti inglesi gli hanno appiccicato addosso. “Andy è l'ora dei fatti!” scrivevano in prima pagina i tabloid. Come se l'insensato chiacchiericcio e l'isteria collettiva fosse stata voluta da lui. Murray continua a soffrire, lotta punto a punto il secondo set. Kendrick è un bel giocatore, che cerca di ritornare ai livelli del passato, con risultati alterni. Ma oggi pare intenzionato a rendere dura la vita al numero 3. Gioca a tutto braccio, il prototipo dell'americano da cemento, un ibrido tra il cannoniere da fondo e il classico giocatore di rete. Qualcuno lo ha accostato a Roddick, versione meno efficace. Certo, un po' lo ricorda, ma Robert ha schemi più vari, usa molto di più la rete, riesce a lavorare bene la palla, ha pure un discreto tocco. E porta il cappellino con la visiera al contrario. In ogni caso, vince il secondo set al tiebreak, e sugli spalti si respira un' apprensione soffocante, che traspare dallo schermo, figuriamoci quella che trasmette al povero Andy. Agli “eeeeeehhhhhh” eccitati sui punti dello scozzese, fanno da contro altare gli “ooooohhhhhh” a metà tra il fastidio piccato e l'incredulità, sui punti dell'americano. Murray continua a non brillare, ma va avanti di un break nel terzo. C'è persino il tempo di una spettacolare voleè di dritto in tuffo di Kendrick, in pieno stile Becker d'annata, con l'americano che da vero attore consumato si porta la mano all'orecchio, per trasformare gli “ooohhh” in “eeehhh”. Alla fine Murray porta a casa la partita in quattro set, ma non ha entusiasmato. Il pericolo è che gli inglesi lo stiano soffocando e riempiendo di responsabilità che non dovrebbe avere. Finiranno per distruggerlo, un po' come successe con Timbledon Henman (fatte le dovute proporzioni).
In precedenza, Roddick aveva avuto i suoi bei problemi col promettente francese Chardy, una specie di Pioline col rovescio a due mani. Un ragazzo che ha un carattere indolente, una bella mano da tennis ed un futuro da top 15. Va sotto di due set, vince il terzo, ma non da mai l'impressione di poter impensierire sul serio Roddick, non ci crede nemmeno lui. Semplice spettacolo scenico, un po' come Benneteau ieri con Djokovic. L'americano fa il suo, l'erba va benissimo con le sue rotazioni, serve bene, e sembra pure meno pachidermico del solito negli spostamenti. Vince in quattro set, arriverà in fondo come al solito, e si giocherà l'ingresso in semifinale (orfana di Nadal) con Del Potro. La torre di Tendil, digiuno da erba, dimostra che il suo tennis al fulmicotone, può funzionare anche sui prati. Tramortisce a suon di servizi e dritti impressionanti l'attempato e malcapitato francese Clement, lasciandogli cinque games. Certo Clement è in caduta libera, e il test lascia il tempo che trova, ma l'impressione che ha lasciato l'argentino è stata ottima. Braccio fumante ed occhio assassino da ombroso pistolero, indipendentemente dalla superfice. La sua velocità di braccio è in grado di domare i rimbalzi bassi dei prati. Già al secondo turno avremo una risposta più precisa nel test con Hewitt, in quello che si presenta come uno dei match più interessanti. Oggi l'australiano è passato come un rullo compressore sui pietosi resti dello yankee Ginepri, che tre anni fa, dopo un'ottima stagione estiva sul cemento americano, era considerato come un fenomeno, ed ora pare in condizioni di forma imbarazzanti. Faticherebbe anche per salire sull'autobus.
Ma al di là di chi si gioca la vittoria del torneo (o per lo meno prova ad arrivare in finale), oggi si esibivano parecchi puledri della mia personalissima scuderia. Gente tra i top ten dei miei favori. Andiamo con ordine.
Tommi Haas, completa il suo match con l'ostico doppista austriaco Peya (doppio sfavillante e surreale con Picasso Petzschner, e ho detto tutto), interrotto ieri. Il tedesco che poteva avere una carriera diversa e che come talento é secondo a pochi, ha sofferto più del previsto ieri, oggi ha chiuso 6-4 al quarto. Ma se gioca come sa, potrebbe guadagnarsi i quarti con Djokovic (se il serbo ci arriva), già ridicolizzato ad Halle.
Philipp Petzschner. Vive sul suo pianeta strampalato, si sa. Potrebbe perdere con un carpentiere della Bovisa zoppo o impensierire Federer, e pure a questo si è abituati. Faccio una fatica disumana per trovare qualcuno che trasmetta il suo incontro contro il modestissimo doppista americano Ram. Uno che nelle qualificazioni ha battuto Stoppini, per dire. Mi sintonizzo giusto in tempo per vedere come il tedesco getti via il primo set in modo scellerato, 6-2. Eccolo lì Picasso-scasso, pensi, questo è uno di quei giorni in cui si è svegliato col piede sbagliato, e proprio non ha voglia. Ma il bello è che non si può mai prevedere cosa passi in quella mente in perenne cortocircuito cerebrale. D'incanto prende a disegnare tennis, pennellate, rovesci affettati, ricami e voleè gustose. Vince il terzo 6-3, il terzo al tiebreak, e domina il quarto. Niente di che, intendiamoci, uno con quel talento (se solo riuscisse a mostrarlo per due ore di fila, invece che in lampi sporadici), sarebbe fisso tra i primi dieci. Per ora quegli schizzi folli, messi assieme, gli hanno permesso di battere Ram, americano talmente modesto, che difficilmente rivedremo mai in uno slam. Al secondo turno, gustosissimo confronto tra il tedesco e il connazionale di origine russa Zverev.
Misha Zverev, appunto. Avevamo ammirato già a Roma il suo bel tennis offensivo ed incurante del resto, quasi naif e fuori dal tempo. Poi si era perso in mezzo ad infortuni misteriosi a Parigi ed Halle. Il russo-tedesco, amico di Marat, oggi affetta con grazia il russo autentico Tursunov, fresco vincitore di Eastbourbne (a dimostrazione di quanto contino i tornei di preparazione). Vittoria inaspettata (almeno nel risultato nettissimo). L'erba offre a Misha il palcoscenico ideale per i suoi gradevolissimi attacchi mancini. Il resto lo fa Tursunov, giocatore davvero insopportabile ed ostico (a se stesso), che continua a sparare dritto per dritto. E quando (come oggi), non gli entra nemmeno per sbaglio una delle sue roncolate, lui insiste. Senza il barlume di una tattica, l'accenno ad una variante. Niente, ottusa dimostrazione di forza senza cervello. Bene così, magari Misha e Picasso ci regalano una partita che risvegli i sensi, ed almeno uno dei due lo rivedremo al terzo.
Fabrice Santoro. Sbuca quando meno te lo aspetti, che maghetto sarebbe altrimenti. Lo avevamo lasciato malinconicamente annichilito da Rochus (mica Borg) a Parigi, sconfitto in semifinale da mistero buffo-Dancevic a Eastbourne. Oggi contro un'altro vecchio pirata del circuito, Kiefer, ci si aspettava una partita godibilissima, e molto combattuta. Il 32enne tedesco, ex numero 4 ed ex grande promessa (mai mantenuta pienamente), malgrado quella faccia da bi-ergastolano, gioca ancora ad un livello rispettabilissimo. Ma oggi il maghetto francese, che di anni ne ha 37, non gli fa letteralmente capire nulla, lo estenua con proverbiali ricami e stilettate d'antologia, quasi impugnasse un uncinetto invisibile invece della racchetta. Il piccolo grande uomo, che a fine stagione smetterà, continua a regalarci piccoli capolavori e magie quadrumani. Seguita a scucchiaiare, e Kiefer va fuori giri, cedendo in tre veloci set: 6-4 6-2 6-2. Perfetto Santoro, che al secondo se la giocherà fino in fondo contro Ferrero.
Michael Youzhny. Arrivano le dolenti note per i miei pupilli. Il russo era opposto a Ferrero, spagnolo che dopo essere stato numero uno al mondo, si è costruito una dignitosissima carriera da giocatore di secondo livello (forse la consapevolezza di non essere mai stato un campione, agevola il tutto). Il terraiolo spagnolo gioca bene sull'erba, riesce ad abbreviare il movimento del braccio e domare i rimbalzi bassi. Ha un tennis completo e fastidioso. Youzhny non ci prova nemmeno ad iniziare la partita. Incappa in una delle sue (tantissime) giornate di torpore angosciato. Solo qualche sprazzo, una manciata di rovesci magnifici, incrociati o lungolinea, quasi senza l'appoggio del corpo, ma frutto esclusivo del suo braccio d'oro. Poi niente più. Vaga per il campo con quell'espressione un po' così, a metà tra lo smarrito schizoide da analisi ed un picchiatore camionista con le guance rubizze. Oggi non ha tempo e forza di arrabbiarsi. Passa Ferrero, costante e rispettabilissimo “Mosquito”.
Marat Safin. Come oramai consuetudine, entra in campo quando il sole comincia a calare. Il defilato campo numero 18 si riempie di gente, una calca che si avverte. Urla e gridolini d'incitamento, e il russo perde già il primo set per 6-2 in modo imbarazzante. Dall'altra parte della rete un mancino americano col cappellino, che è alto la metà di lui. Ed ha lo stesso talento che Marat nasconde nell'unghia del migliolo (del piede, mica della mano). Eppure oggi si esalta, si esaltano tutti contro l'ex numero uno, al suo triste ultimo anno di carriera. Jessy Levine, così pare si chiami quel buffo americano rachitico, continiua a fare la partita che il suo modesto tennis gli consente. Poi una fiammata improvvisa e violenta, qualche traiettoria antica del gigante russo, che vince il secondo set. Il terzo è combattutissimo, c'è tutto il repertorio dell'ultimo Marat. Tra un meraviglioso rovescio lungolinea, dritti affossati, urla, racchette scagliate con violenza, e la solita graniuola di palle break sprecate, si arriva al tiebreak. Il pubblico sostiene il russo, scandisce il suo nome, un manipolo di estemporanee Safinettes attempate (pure loro avvertono il tempo che passa inesorabile), urlano come invasate, lanciano gridolini e strepitii di emozione trepidante per il loro eroe. Avanti quattro a tre, il nostro tira un rovescio lungo linea vincente di risposta, sulla linea. Anzi no, è fuori dice l'arbitro. A Marat si tappa la vena della pazzia, protesta, si agita. Pure questo, film già visto. Poi rassegnato ritorna a rispondere, perde il tiebreak 7-4 e praticamente finisce lì la sua partita. L'americano si gasa, pare una molla snodata, mostra il pugnetto tutto eccitato. Marat lo guarda con un misto di pietà e superiorità annoiata. “Guarda cosa mi doveva capitare di vedere.”, pare dirsi, con una faccia che è tutto un programma. Un altro paio di racchette sbattute, ennesimo teatrino con arbitro e giudice di linea, e l'ultimo Wimbledon di Safin scorre via, più malinconico dell'addio Parigino, contro un altro ronzino insignificante. Allora era il carneade invasato Ouanna, ora si chiama Levine, ha un naso dantesco e a vederlo giocare pare la controfigura (riuscita persino male) di Jeff Tarango. Un ultimo rigurgito fa risalire il russo dall'1-5 15-30, al 4-5. ma è solo un'illusione, l'ennesima. Giusto per sollevare altri gridolini delle fans, e cori del pubblico. Chiude 6-4 Levine, che zompetta garrulo in mezzo al campo. A meno di improbabili ripensamenti, Marat saluta Wimbledon per l'ultima volta. E l'impressione è che importi più ai fans che a lui. La notte londinese gli offrirà altri scenari. Impareggiabile Marat.
Capitolo azzurri. Lo stellone italico continua a proteggerci. Fognini perde i primi due set con Istomin, cliente pericoloso sul veloce. Lo spezzino sembra abbia la bua, chiama il medical time out per un problema alla pianta del piede. Sembra stia diventando una valida arma tecnica, quella dello stop medico, Bolelli insegna. E Infatti Fognini vince il terzo, e puntualmente, all'inizio del quarto, a ritirarsi è Istomin per un problema alla spalla. Potito Starace in cinque partecipazioni non aveva mai vinto una partita a Wimbledon, un sorteggio fortunato lo accoppia all'unico più scarso di lui su questa superficie, Acasuso. La simpatica marionetta napoletana vince i primi due, e poi che succede? L'argentino si ritira. Gli Dei stanno avendo pietà del tennis italiano, non c'è che dire. Ma probabilmente, in altri ambienti si esalteranno per la “grand'italia” londinese. Vince in rimonta Flavia Pennetta, vincono anche Sara Errani, e Thatiana Garbin che si aggiudica il derby con la Brianti.
Tra le donne, passa in carrozza Venus Williams, qualche patema per Safina e Kuznetsova. La spocchiosa serbiatta isterica Ivanovic, va ad un punto dalla sconfitta contro la modesta ceca Hradeka, poi riesce a vincere 8-6 al quinto. Ma è davvero ridotta ai minimi termini. Pugnetti e urletti di guerra santa (ajde!) ad ogni punto, in faccia ad avversari, arbitri, inermi raccattapalle, spettatori basiti, giudici di linea, ma come tennis non è nemmeno al livello delle prime cinquanta. Come da pronostico, la “farfalletta volleatrice” Martinez Sanchez si arrende alla più quotata Agnieszka Radwanska in due rapidi set. L'altra mia protetta Suarez Navarro, riesce ad uscire vincitrice dalla battaglia con l'estone Kanepi. Il gracile scricciolo col viso da adorabile criceto ed un magnifico rovescio classico, dopo una lunga lotta, recupera un set di svantaggio e viene a capo del tremebondo donnone estone (un'amazzone di 1 metro e 85 per 90 kili di ferocia dissennata e furente, che a vederla cinque minuti si rischia l'impotenza per dieci anni, almeno.). Deo gratias. Viva il tennis.

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.