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martedì 14 settembre 2010

US OPEN 2010: REGALE KIM




Kim Clijsters bissa con pieno merito il successo dello scorso anno, portando a casa il terzo Us Open della sua carriera. Adorabile isterica Zvonareva, irriducibile Venus, rimandata Caroline Wozniacki. Bocciate Sharapova e Kuznetsova. Le pagelle

Kim Clijsters: 8. Il fisico regge, e lei si regala un torneo maestoso. Vince e dimostra di essere la più forte di tutte. Certo mancava Serena, numero uno indiscutibile quando vuole e non passeggia sui vetri come Giucas Casella. Ma la più giovane delle Williams fu già battuta lo scorso anno. Come dimenticare lo sguardo omicida di Serena con le nari fumiganti e l'occhialuta giudice di linea nippo che se la fila a gambe levate dietro la seggiola dell'arbitro, tremolante come una foglia: "Voleva uccidermi! Voleva uccidermi!", gridava la sventurata. E poi non c'era nemmeno Justine, ma chissà mai se tornerà sul serio. Calma olimpica ed angolazioni geometriche, Kim viene a capo del poderoso tennis di Samantha Stosur e della ritrovata verve di Venus. Quella battaglia furibonda, invece che stancarla, deve averla persino allenata. Perché in finale esegue una sinfonia di perfezione rara. Trigonometria applicata al tennis e l'avversaria spostata da un lato all'altro, con accelerazioni di gran naturalezza e guizzi in contro tempo. Bene, insomma. Il tennis sembra salvo. Nel corso della premiazione, il presentatore, una specie di Tremonti col calcolatore in mano, le ricorda l'ammontare del premio finale: Due milioni punto duecentomila dollari. Lei sgrana gli occhi, imbarazzatissima, quasi non sapesse. Il marito sulle tribune esulta come Tardelli al Bernabeu.

Vera Zvonareva: 7+. Regalatemela per Natale.
L'avevamo lasciata lo scorso anno a New York contro Flavia Pennetta. Malferma, tutta in rosso e con le gambe quasi completamente fasciate come una passeggera del treno bianco di Lourdes, o aspirante mummia egizia. In preda a compulsiva crisi isterica si bendava e sbendava furiosamente quelle ginocchia martoriate, quasi a volersi flagellare a morte. E poi piangeva disperata. Finalmente guarita, la bella bionda dai gelidi occhioni che paiono intagliati da uno scultore pazzo, gioca un torneo sontuoso. Sempre ingobbita, scomposta e avanti tutta a testa bassa. Seconda finale di Slam consecutivamente raggiunta, senza perdere nemmeno un set. Tutto perfetto. Certo, fino alla finale. Kim Clijsters le impartisce una dura lezione di tennis, facendola correre come un burattino. E lei impazzisce. Tira randellate difensive sempre più forti, si butta a rete rischiando di sciancarsi. Gonfia le guanciotte, alza la gambetta in segno di dissenso verso il suo "io", insulta angolo e allenatore, finge un pianto, spacca quattro racchette e vince tre games. Durante la premiazione l'anchormen con una punta di perfidia le rivolge una domanda crudelmente retorica: "A Wimbledon Serena, qui Kim...". Lei serra le labbra, fa una strana smorfia col bel viso ormai color vermiglio scavato dalle fossette e gli occhioni che brilluccicano di lacrimoni trattenuti a stento. E con la voce rotta: "Io amo New York!". Meravigliosa. Ripeto, regalatemela. La voglio sul comodino, che mi esibisce quella espressione due volte al giorno. Perché la sua è un'irresistibile isteria buffa, quasi autocommiserazione. Nulla a che vedere con l'algida spocchia di altre. 

Caroline Wozniacki: 6. Il primo slam a vent'anni, e persino la piazza da numero uno che tanto ha fatto gridare all'orrore i puristi. Tutto da arraffare in pochi giorni. E lei si presenta alla grande occasione in un conturbante abitino baby-doll scuro, col vezzo studiato alla Nasa di alzarsi maliziosamante sul di dietro. Terga fasciate di un giallo ocra che fa pendant con le unghia laccate a parte, sembrava qualcosa in più di una semplice apparenza da marketing spiccio. Si abbatte su malcapitate avversarie come un mortifero ciclone "pallettaro" travestito da bionda "barbie". Un muro invalicabile che ritorna tutto. Fino alla semifinale, in cui è vittima di un'ottima Vera Zvonareva. Una regolarista in giornata fallosa, è quanto di peggio possa capitare di vedere. Ovvio, se uno non pensa a Mara Maionchi che ride contagiosamente, intenta in uno spettacolo di "burlesque".


Venus Williams: 6,5. Orfana della giovin sorellona furente (elegantissima sugli spalti, con la chioma stirata e lo sguardo sognante, assorta ed anelante un paio di hot-dog alla cipolla), v'erano grosse incertezze sul suo stato di salute. Tra una sfilata e l'altra ostentando maliarde mise aderentissime e laminate, c'è anche lo spazio per qualche colpo d'antica veemenza, scandito da urla udibili solo nella savana equatoriale durante la stagione degli accoppiamenti degli gnu. Lotta ad armi pari contro Kim Clijsters, in quella che è stata intensa finale anticipata del torneo. Per un attimo penso a Volandri in mezzo a quelle due. Scapperebbe, sgomento. Cede alla distanza ed al maggior ordine della belga, ma il suo rimane comunque un buon torneo.


Dominika Cibulkova: 6. L'ex tenera girlfriend di Monfils (immagine seviziante) è tignosa combattente di un metro e 60 scarso, con le gambe simili a cotechini ed un testone vagamente abnorme. Brava e scaltra come un furetto nell'approfittare delle paturnie di Svetlana Kuznetsova. Sbatte, senza alcuna possibilità tecnica contro il muro Wozniacki nei quarti.


Kaia Kanepi: 6+. Fa molta tenerezza questo curioso esemplare di non ben definita specie cetacea. Relegata nei campi secondari, mentre i principali pullulano di bambolone avvenenti e con tutù ridottissimi all'ultimo grido che giocano peggio di lei. Non v'è giustizia in questo mondo dominato dall'immagine. Ma ella, incurante del crollo di share causato dai suoi primi piani, leggiadra e lasciva quanto un camion cisterna, inanella il secondo quarto di finale consecutivo in uno slam. Fa fuori la star serba di equina stirpe Jankovic. Poi di gran tigna rimonta il giovane ed atletico fascio di muscoli belga Yanina Wickmayer (5). Gran saette di rovescio tirate con la testa incassata come una lanciatrice del martello e graniuole di dritti sgozzati senza sosta, Kaia perde solo da Vera Zvonareva. Ma per l'erede più talentuosa di Masha, il futuro è roseo.


Samantha Stosur: 6. In estate non ne aveva azzeccata mezza, ma a Flushing Meadows la cangura dai bicipiti da braccio di ferro ritrova i suoi devastanti colpi a rimbalzo. Perde, ma non senza prima aver venduto cara la pellaccia, con Kim Clijsters. Ha il gran merito di liberarci dell'incresciosa ombra catacombale di Elena Dementieva (4,5) ed il suo solito spettrale campionario di virtuosismi da perdente, malgrado il rosso fiamma la renda una specie di allungato pomodoro San Marzano.


Francesca Schiavone: 6. Fresca del titolo di "commendatrice" della Italia, onoreficenza che le consentirà di partecipare a briose serate mondane assieme all'indimenticabile "cumenda" del Gf, Francesca si è presentata a New York in condizioni smaglianti. Con la sua bella maglia da muratrice, senza fianchi ed esalando lancinanti rantoli da scaricatrice di bitume, arriva gli ottavi in gran spolvero. S'arrende solo a Venus Williams, sua bestia nera (questa non è una battuta tratta dalla pagina culturale de "La Padania"). Ma non senza aver mostrato tutto il suo bel campionario, comprese virtuose volée ombelicali ed in acrobazia che fanno balzare in piedi l'Arthur Ashe. Piazzata nell'altra parte del tabellone forse poteva ambire ad una semifinale. Ma non si può pretendere sempre regali dalla sorte. "San Giùan fa minga ingann".


Maria Sharapova: 4,5. Ah, ma quanto carisma deborda dal biondone tornado urlante quando cammina a piccoli passetti strisciati e regala ai sui estatici fans devoti del Dio Onan una specie di "moonwalk". Uno spera sempre che possa incespicare e cadere bocconi, sbattendo con virulenza quel visino di una bellezza così algidamente insignificante. Solo per vedere la sua espressione da star, mentre il pubblico ride sguaiato. Come a Wimbledon, raglia ferocemente quasi vittima del morbo della mucca pazza (con variante urlata) e tira qualche bella randellata. Fa il meglio che può. E raccatta sette games da Caroline Wozniacki.


Flavia Pennetta: 5. Sconfitta da Shahar Peer, buona tennista israeliana con una miglior classifica. Gran costernazione generale (di chi si esalta Bolelli). Quasi la nostra, diventata d'improvviso Margareth Court, debba vincere Slam per legge e di "queste Peer" farne un sol boccone.


Ana Ivanovic. 5-. Un anno fa la si vedeva ospitata, per pietà e deferenza verso il nulla, sui campi centrali a tirar squinternate pallate nei distinti. Una macchina sparalline inceppata. Cos'ha nella testa questa ragazza, il "cacao meravigliao"? Veniva da chiedersi osservandola sul 2-6 1-5 strillare il settantaduesimo inespressivo "ajde" senza senso, alzare il pugnetto e la gambetta opposta, quasi nell'atto di produr compita "trombetta" dantesca. Un caso da Meluzzi, almeno. Quest'anno, evidentemente catechizzata e come avesse degli elettrodi sulle tempie, è migliorata assai. Ha ridotto gli auto incitamenti e sparacchia fieramente a mezza rete. Torna negli ottavi, prima di prendere una scoppola di proporzioni bibliche da Kim Clijsters. Forse vale nuovamente le prime cinquanta, ma lei si reputa numero uno. E' qui che Meluzzi dovrebbe lavorare sodo.


Svetlana Kuznetsova: 5-. Rimette il gonnellino per l'occasione, e per la gioia delle menti traviate da Brendona. Svagata e strafottente quasi volesse ridere della sua bruttezza tragicamente spigolosa, perde in due set tirati da Dominika Cibulkova. Una sconfitta tecnicamente inspiegabile, in questo mondo ed anche nell'altro.


Anastasia Pavlyuchenkova: 5. La immagino ancorà lì, che prova a capirci qualcosa del tennis di Francesca Schiavone. Cervelletto in disarmo, fisico rotondo, gioiosamente rotolante e pure menomato. Cosa aspettarsi da lei? Vince tre games.


Jelena Jankovic: 4,5. Nitrisce a vuoto la sorellona di Varenne. Una gran sgroppatrice in cattivo stato di forma è destinata al mattatoio, o a starsene a casa. Ridicolizzata da Kaia Kanepi, mica Steffi Graf. La rivedremo presto in migliori condizioni. Al Palio di Siena.


Monica Niculescu: 6. La osservo con curiosa morbosità, nel suo primo turno. Divertente espressione di un anacronistico tennis anni '40 ed in perfetta sintonia con le tradizioni transilvaniche. Roba da far convertire al cattolicesimo un frate cappuccino cartesiano. Tutto back di rovescio e persino di dritto. Si dibatte strenuamente andando incontro alla morte più cruenta contro Victoria Azarenka. E quella, proprio non capisce quel tenero animaletto che tipo di sport voglia giocare. Talmente imbufalita che partorisce due o tre smoccoli da competizione (minimo da medaglia d'argento ai da campionati mondiali della bestemmia che si svolgono in Cappadocia) e cede un set, prima di finirla con una mazza ferrata.


Victoria Azarenka: s.v. Sua l'immagine più dolorosamente grottesca di questo Us Open femminile. Contro Gisela Dulko abbandona il campo sospinta da due sguatteri, su una carrozzina. Con lo sguardo omicida e sbarrato. Lagrime furenti su un volto livido di rabbia violacea. La poveretta s'è storta una caviglia o chissà cosa. Non finisce più un torneo, la sventurata Linda Blair. Alla prossima. Ma anche no.

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.