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mercoledì 15 dicembre 2010

GLI OSCAR DEL TENNIS 2010 - Miglior tennista non protagonista


1 - Robin Soderling. Si conferma, lo psicotico svedese, come deviato e squilibrato killer della tundra. Passo ciondolante, occhio pazzo ed atteggiamento di allampanata strafottenza. E’ fieramente antipatico, Robin. Vero nella sua cattiveria senza fronzoli, artefatti e grotteschi sorrisi da cabaret tragicomico. Quello è. E a tratti piace per quell’attitudine incurante e distruttrice. Rudimentale ed estremo. Bravo nel mantenersi ai vertici e dimostrare quanto quella della scorsa stagione non sia stata una fiammata casuale. Ma che di estemporaneità omicida può farne una costante. Un controsenso lineare. Trasformarsi in scheggia impazzita capace di rovinare scenari precostituiti. Divellere ostacoli imbracciando un’artigianale accetta da boscaiolo in versione killer seriale dalle maniche di camicia arrotolate. O mesto suicida con l’occhio spento da cefalopode agonizzzante, su una bancarella dei mercati rionali.
Tutto scorre sul filo di una follia delirante. A Parigi si trova bene. Lo scenario romantico e smielato della città francese ben si sposa col devastante afflato di virulenza meccanica in salsa scandinava. Si diverte, quasi. Sulla terra del Roland Garros abbatte Roger Federer con una prestazione memorabile. In trance omicida ed elettrodi piazzati sulle tempie, su note psichedeliche e demolenti. Su quei campi la scorsa stagione aveva messo in ginocchio il gran dominatore delle terra battuta, Rafael Nadal. Non è più un caso, ma un supereroe alterato, nato per tranciare a suon di frustate record leggendari o grandi campioni lanciati verso l’immortalità. Quasi ispirato e diretto dalle sovrannaturali forze aliene del male. Randella come un ossesso, “Psycho Killer”. Perde per la seconda volta in finale, dopo l’impresa. Poi si rifà vincendo il primo Masters 1000 della carriera, proprio a Parigi-Bercy. Numero 5 vero e disturbatore “ignorante” dei quattro cavalieri dell’Apocalisse. Finché dura, quello è il suo ruolo.
2 - Andy Murray. E’ trascorsa un’altra stagione. Altre occasioni rapidamente passategli sotto gli occhi allibiti e scostanti. L’urticante fuscello di Scozia si conferma nell’élite del tennis mondiale, senza riuscire a coronare il sogno della vittoria in un Major. Stagione altalenante, con buoni successi nei Masters 1000 di Toronto e Shanghai, ma senza il picco del campione degno d’esser chiamato tale. Con l’atteggiamento di disgusto e protervia insostenibile dipinto sul volto spigoloso, ormai starà intimamente iniziando a porsi delle domande. “Perché mai questi li batto spesso, ma mai nelle grandi occasioni?”. Invece dello sguardo livoroso della bacucca mamma Judy ad inzigare la malsana idea d’essere il predestinato, ci vorrebbe altro. Un medio strizzacervelli a fargli comprendere d’essere ancora un gradino sotto i due più forti. E perché Toronto non è Wimbledon o New York senza dover prendere un libro di geografia. Lo noti chiaramente, quel lacerante dissidio interiore, dopo la finale di Melbourne persa da uno scintillante Federer. Un’altra finale di Slam volata via contro lo stesso, vecchio, campione elvetico. Frigna lacrime di frustrante impotenza, perché in fondo aveva fatto il possibile, giocato al meglio delle sue possibilità.
Grandi scavicchi difensivi di rovescio, difese deliziose e contrattacchi certosini. Tatticamente intelligente, e tecnicamente completo. Talmente intelligente da suicidarsi da solo in alcune circostanze, come il ragno maldestramente intrappolatosi nella sua laboriosa tela. Perennemente tra il “Ciccio pasticcio” e l’incompiuto Napoleone. E quando azzecca la partita perfetta succede che Nadal o Federer lo puniscano ferocemente. Provateci voi ad essere nella stessa situazione di misconosciuta e riottosa inferiorità. C’è di che avvilirsi. O domandarsi se non sia l’ennesimo bluff. Cominciano a farlo anche i britannici, fin troppo convinti di aver trovato il Dio in terra capace di renderli felici per un decennio. Lui continua con quell’atteggiamento da viziato selvaggio, mezzo baronetto e mezzo maleducato contro i canoni ingessati del tennis. La soluzione è semplice, più scontata di quanto si pensi. Pur nella diversità di epoche, tecnica e stili, Andy è come Ivan Lendl. Frustrato perdente di livello contro Contro Connors, Borg e McEnroe. Poi scopertosi numero uno e pluri vincitore di slam a 24 anni, quando i tre castigamatti si ritirarono o calarono per diversi motivi. Resta da vedere se Andy riuscirà ad avere pazienza, e lavorare quanto il robot ceco.
3 - David Ferrer. Eccolo lì. Costante e puntuale come il mandriano dei campi. Normotipo, piazzato e ingobbito, fa il suo mestiere con truce onestà. Esteticamente orrido, professionalmente ammirevole. A 28 anni rientra tra i primi dieci, e si guadagna l’inutile comparsata sul red carpet della Masters Cup di Londra. A disagio su quel proscenio come Sandro Bondi con la sua faccia da medusa morta ad una rassegna di cinema o in qualsiasi manifestazione culturale. Ed è inevitabilmente trinciato dai top players, coi quali nelle grandi occasioni svanisce miseramente tornando nelle mera normalità impiegatizia. David ottiene però la nomination tra i “migliori tennisti non protagonisti” grazie ad una stagione fatta di gran costanza inelegante, buone vittorie operaie e belluine urla che accompagnano dirittacci zappati con incuranza estrema verso il gesto tecnico. Tignoso e rabbioso cagnaccio sempre aggrappato al match, che non regala nulla all’avversario. Figuriamoci allo spettacolo. Rimangono nitide le istantanee che lo vedono col ciuffo da “Shining” pencolante sugli occhi e l’asciugamano serrato tra le mandibole come un dogo argentino affetto da cinofila rabbia all’ultimo stadio. Di più, è arduo analizzare. Mai pericoloso nei tornei dello Slam per i più forti, ma sempre in fondo nei medi tornei giocati su terra battuta. Dai dopolavoristici tornei d’inizio anno in Sud America fino a Roma, dove nell’orrida finale cede alla crudele legge della savana ed al suo connazionale carnefice Nadal. Mentalmente, fisicamente e tecnicamente. Encomiabile nel difendersi sul veloce presunto di altri tornei, il terricolo d’iberia acciuffa anche il torneo in casa propria a Valencia. Io per non sbagliare, continuo a ripetermi come un mantra: "Però ammirevole, questo atleta, neh...". E poi cambio canale.

8 commenti:

  1. Caro Picasso,
    ottimi commenti, come al solito. ;-)
    Ma avrei una nota di rimprovero: non capisco, infatti, perché in generale s'insista a etichettare Soderling come antipatico.
    Nadal è forse simpatico? Emana versi strani, dal suo sguardo traspare odio, al servizio è celere come una tartaruga e quando attende di rispondere saltella in maniera così simpatica che un gatto attaccato ai marroni potrebbe essere meglio.
    Suvvia, il buon Soderling antipatico non è.
    E anzi, da quando è diventato - come ben lo descrivi - il killer occasionale, la mina vagante, l'incubo dei big, il suo tasso di simpatia non fa altro che aumentare. :-)
    Specie in tempi di magra come questi (tennisticamente parlando).

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  2. Fabio,
    l'antipatia è un sentimento estremamente soggettivo. A me, ad esempio, Soderling è molto simpatico. Tecnicamente è spesso da censurare, ma su di lui mi sono ricreduto rispetto al passato. Piace per quell'atteggiamento da "paraculo" naturalmente strafottente e la pazzia incombente.
    Poi però non si può negare come al 90% degli appassionati che conosco, lo svedese susciti antipatia. Magari è solo un luogo comune, dettato dall'imitazione (secondo me leggendaria) dello "smutandamento" di Nadal a Wimbledon. E lo sappiamo che se imiti Nadal che balla con Shakira sei un gran simpaticone, se lo fai in modo genuino durante una partita, sei un maleintenzionato farabutto (faccio la faccia di Emilio Fede quando se la prende con l'attentatore Assange). =)

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  3. http://www.youtube.com/watch?v=I-DRgvOAHYA

    Sì, sono quella che stava seduta dietro al fascinoso PierFerdi con una sciarpa azzurrina al collo.

    Scrivo solo per dire che "faccia da medusa morta" mi ha resa particolarmente ebbra di ilarità.

    Un saluto e auguri per un distinto Natale e uno spettabile anno nuovo a tutti.

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  4. Deh, che visione ammaliante. Con quel foulard conturbante poi...
    Peccato per quelle svisate sul lombrosario cui si rivolgeva il suo coinvolgente leader.
    Serena festa di natività anche a Lei.

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  5. Anche a me Robin è simpatico per le stesse ragioni, lo guardo per quello non certo per la varietà di gioco, credo che cmq possa migliorare un pochino ma mai "bello", splendida la pazzia latente quando si scatena e non pensa più.
    In generale non credo sia amato, svedesi a parte, per il suo modo di porsi (anche se ci prova nelle interviste...nn è nella sua natura) e per la sua predisposizione a mazzulatore di soggetti che gli sponsor, il "pubblico" e la sciura maria vogliono sempre fino in fondo, nonchè assassino di record.
    Prevedi un Murray vincente solo quando gli altri saranno a mezzo servizio, probabilmente hai ragione almeno che non si liberi della madre e della fidanzata.
    Con ferrer mi ripeto la stessa cosa ma non funziona neh!
    Il giorno dell'epifania il mio animo si solleva, non amo le feste specialmente con il calendario assassino di quest'anno ma a quelli a cui piacciono Buone Feste!

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  6. Può essere, ma in genere gli "antipatici" naturali mi fanno simpatia. Ma di certo lo svedese non è uno che possiede appeal "naturale", non ha una faccia da pubblicità. Semmai da ospedale psichiatrico. =)
    Murray...bah, in fondo non gli manca molto per arrivare al vertice assoluto. Che gli altri smettano o calino, forse. Poi all'orizzonte non vedo grossi fenomeni in grado di arrivare a breve al top. Dimitrov e Seppi a parte. Sui giovani ne scriverò domani o nelle prossime puntate.
    Sarà Binetti che ha portato in questi ameni luoghi lo spirito del Santissimo Natale. Ma buone feste anche da parte mia.

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  7. Ogni volta che penso a Murray, ne esco dolente.
    Adoro il suo stile di gioco.
    Difesa di classe, costante, e attacchi improvvisi, come dei raid in piena notte.
    Peccato che il più delle volte fa e disfa tutto da solo.
    E a livello mentale, ovviamente, è in una tundra oscura sempre più profonda, la cui uscita è diventata oramai già da tempo pallida utopia.
    Non penso che eliminando la mamma-ultrà dagli spalti Andy possa cambiare dal nero al bianco (a partita avviata, credo, ti concentri sul gioco e non sul pubblico); il problema mentale è suo, non legato alla presenza della madre (è una mia opinione); e alla fine, comunque, la mamma-ultrà fa parte del personaggio di Andy. :-P
    Un Murray senza la presenza del capo-famiglia/capo-curva sugli spalti (con le orribili gesta che tutti conosciamo) sarebbe probabilmente meno divertente da seguire e commentare. :-)

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  8. L'idea che la mamma (più che la fidanzata, vittima della sua passione da nintendo) possa essere una presenza oppressiva e castrante, mi balena da un po'. Lo ammetto. Ma senza averne prove e men che meno sicurezza di come sarebbe l'Andy liberato dall'asfissiante ombra della "velona" collerica. Provo ad immaginare come sarà vivere sotto i dettami di quel donnino sempre sull'orlo del prolasso. Avrà altre soddisfazioni, comunque. =)
    In effetti sì, fa parte del folklore la mamma. Divertente è l'attesa. Quando passa dal rosso cardinalizio al viola purpureo, al viola melograno, al bluette intenso...si spera che accada l'irreparabile. =)

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.