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sabato 11 dicembre 2010

MASTERS FEMMINILE DOHA: CLIJSTERS MAESTRA DA NUMERO 1

Masters di Doha, tra vestiti da sera e la dimostrazioni di forza di Kim Clijsters sulla fresca n.1 Wozniacki. Dementieva saluta il circo e se ne va. Schiavone troppo tesa. Zvonareva incompiuta, Jankovic impresentabile. Le pagelle

Doha (Qatar) – Era iniziato con la solita sfilata da baraccone, e le otto protagoniste bardate a gran dive mondane, durante il sorteggio. Tutte costipate in lussureggianti abiti da sera, paiono delle graziose fiere sorridenti con gli occhioni imbarazzati e smarriti, davanti agli sguardi dei curiosi. Un filo grottesca, piuttosto crudele e assai divertente. Ed è un trionfo lussureggiante di seta, chiffon, ammiccamenti e trucco squagliato dai riflettori. Qualche ardimentoso, guardando tutto quel tourbillon kitch da prima della scala, s’è spinto a preferirle con una racchetta in mano. E quando si parla della Jankovic, le sue parole potrebbero anche essere usate contro di lui in un tribunale militare. Si attendeva con animo palpitante che qualcuna provasse ad eguagliare l’indimenticabile “leopardato” esibito con sguardo severo dalla Kuznetsova lo scorso anno. Un pezzo antologico, per veri collezionisti dell’orrore. E invece si va da una smagliante Wozniacki in elegante e sobrio abito lungo color apparato funebre, a Jelena Jankovic simile ad un pacco infiocchettato con l’aria da casta diva zoppa. Passando per il foulard da attrice esistenzialista anni ’60 della Schiavone, fino al vermiglio sfolgorante di una Stosur versione cappuccetto rosso dai bicipiti da lanciatrice del giavellotto in bella evidenza. L’adorata Vera Zvonareva, una mia protetta per le prossime due vite, è addobbata in una conturbante e scollata mise rosso cardinalizio da coglitrice di lamponi. Ha l’aria di essere una gran simpaticona incurante. Una di quelle che ai party si ubriacano sempre ed alla fine danno i numeri, coi capelli arruffati e gli occhi da pazza. Ma bando a queste disquisizioni troppo tecniche, si è anche giocato al tennis. Ecco allora una breve dissertazione sulle leggiadre protagoniste del Masters di Doha.
Kim Clijsters: 8. Poco da fare, niente da eccepire. Campionessa vera. Nitida espressione di semplicità virtuosa. L’intelligenza tattica e la facilità di tennis della fiamminga riluce di fronte all’insensatezza ottundente di molte cui sembra abbiamo messo una racchetta in mano dietro oscure minacce. Senza le azzoppate, calanti e svogliate sorellone Williams, è lei la numero uno in pectore. Paga la lontananza dagli impegni agonistici con qualche tentennamento iniziale. Entra in forma gradualmente. Rintuzza rapidamente le furibonde sassate della Stosur, dopo un tirato primo set. Finale impeccabile, con tutto il repertorio di accelerazioni ordinate, anticipi e belle soluzioni in contro tempo. Un’amnesia sembra rimettere in corsa Caroline Wozniacki, ma a dimostrazione di una forza mentale oltre gli attuali standard Wta, finisce per reagire alla grande e vincere al terzo.
Caroline Wozniacki: 7. La fresca numero uno al mondo mostra con chiarezza quelle che è il limite di chi fa della prodigiosa “arte” regolarista una ragione di vita. Esporsi alla piallatura truculenta della picchiatrice di turno in giornata di fulgida esaltazione sportiva. O uscire con le ossa rotte contro qualcuna capace di soluzioni più varie. Nel caso concreto, ha le fattezze erculee di Samantha Stosur o quelle paffute di Kim Clijsters. Sempre con l’atteggiamento compito e la fronte orrendamente spaziosa che deve celare per forza progetti superiori. Magari un vortice di niente. In finale perde le misure del campo, sembra lontana dalla condizione migliore. E una regolarista che sbaglia troppo, non ha molto scampo. Perde, stringe la mano all’avversaria e sorride. Piacevole il suo atteggiamento. Nient’altro.
Vera Zvonareva: 6,5. Stavolta la dolce Vera con gli occhi da spia russa svitata manca l’ennesima finale. Prevedibilmente persa. E’ adorabilmente pazza, è chiaro. Da ricovero coatto. Con picchi di incantevole e contagiosa isteria. La osservo in trance adorante, come Ghezzi di fronte ad una pellicola Coreana sugli ospedali psichiatrici con sottotitoli in cirillico, o Bonaiuti nell’atto di raccontare una soave parabola mistica sul Premier. Gioca uno straordinario girone, facendo fuori tutte. Ficcanti e atrocemente scoordinati colpi a rimbalzo che sembrano poter divellere in scioltezza il muro difensivo della bambola scandinava, anche in semifinale. Poi però, ad un centimetro dal primo set, è colta dalla solita crisi spirituale, simile ad una implorante autocommiserazione da cartone animato. E non vince più nemmeno un game.
Samantha Stosur: 6,5. La protagonista che non ti aspetti. L’australiana era data in condizioni di forma incerte. Con la spia della benzina in tragica riserva. Dovevano ancora spegnersi gli echi delle tre ore di battaglia persa con la leggendaria bambolina di Osaka Kimiko Date, del resto. Nemmeno il successo iniziale con la Schiavone, aveva fugato i dubbi iniziali. Complice quell’incedere affannato, le pause ed un linguaggio del corpo che urlava “pietà”, malgrado la vittoria. Poi è uno scud improvviso e senza mezze misure che si abbatte sul fortino della numero uno al mondo, Wozniacki. Il suo bel torneo si ferma in semifinale, dopo un’ora di arrembaggio coraggioso contro Kim Clijsters. Perde, ma giustifica la presenza a pieno merito tra le prime otto.
Elena Dementieva: 6. Shock autentico la sua scelta di abbandonare il tennis. Incredulità, costernazione e qualche lagrima sgorgata da quegli occhi spenti, durante la premiazione “alla memoria”. Mancherà a tutti. A me certamente, perché quell’allungata sagoma smunta da cigno, forniva diversi spunti basati sul nulla. Carriera piena di soddisfazioni, la sua. Tante occasioni, e quasi un decennio trascorso a livelli di eccellenza assolutamente mediocre. Non è facile rimanere tanti anni al vertice, così come non è agevole vincere uno slam. Sempre schiava della sua indole da “perdente” di valore. Una gracile “vampiressa” che si accartoccia su se stessa appena le prime flebili luci dell’alba violentano brutalmente i suoi occhi. Così si squaglia quando scorge il grande traguardo. Sempre pronta per un colpo che svolazza via, la gelida manina tremolante e l’ennesimo doppio fallo cruciale. Un colpo che ha fatto scuola nel tennis femminile, e in quello (dicono) maschile con Gasquet. Chiude dopo un’annata sostanzialmente buona, culminata con la presenza a Doha. Prima parte addirittura ottima, e lo snodo segnato da quel surreale ritiro (in linea col personaggio) per infortunio nella semifinale parigina con Francesca Schiavone. Un destino segnato, e forse l’ultima possibilità di vincere un major che sfuma inesorabile. Negli Emirati, ancora non al meglio, rischia di esporsi ad una clamorosa figuraccia. Forse immeritata. Raccatta due games di pura pietà da Caroline Wozniacki. Poi trova forze residuali e orgoglio per vincere una gran battaglia inutile contro Samantha Stosur. Quando ormai non serve più a nulla. Un destino ed una carriera, in un torneo.
Francesca Schiavone: 5,5. Era attesissima dagli italiani. La prima azzurra a partecipare ad un Master. Ci arrivava con qualche velleità, confortata dalla tecnica, di poter avanzare in un girone non irresistibile. E invece la trentenne milanese paga terribilmente dazio. Emozione, tensione, confusione. Fate vobis. Appare motivata e caricata come una molla. Eccessivamente. Ed invece di esplodere, implode avvilendosi e perdendo sicurezza. Stosur e Wozniacki, stesso canovaccio. Inizio fulminante e brioso, prima del crollo verticale, del black-out senza ritorno. Con la danese riesce persino a portare a casa il primo set, prima dell’eclissi. Come avesse esaurito tutta la carica dopo una buona mezz’ora o poco più. E quello sta ancora gridando “ma tirale sul rovescio, no?”. Tutto inutile, quando è giunta la confusione. Avrebbe talmente tante soluzioni che non riesce ad applicarne nessuna. Finisce col battere Elena Dementieva e dare all’Italia la prima vittoria in un Master. Non è molto ma è abbastanza. Provate ad immaginare l’espressione pallida della tigre arrembante Seppi avventarsi su Haider-Maurer, o Fognini che fa un frontale contro un abbagliante talento vero (Dolgopolov jr.) per vedere il torneo della milanese sotto una luce splendente.
Victoria Azarenka: 5. La supplente dell’ultima ora, dopo un’altalenante stagione da perenne azzoppata. Approdava in oriente con discrete credenziali. Quelle che almeno può fornire la furia ceca che le ammorba le meningi e la rende personaggio imprevedibile. Da studiare. Nella giornata carnascialesca dei draw, non la scorgo. Temo eventi irreparabili. Che sia sotto sedativi, magari ostaggio di un drappello di esaltati preti esorcisti, o che l’abbia colta il fuoco di Sant’Antonio ed abbia annunciato l’ennesimo abbandono per infortunio psicosomatico. E invece gioca, ma tranne per le stridule urla da belzebù in gonnella che trapanano i timpani come spilli, nessuno si accorge di lei..
Jelena Jankovic: 4,5. Tristissimo torneo della serba. “The body” è rimasta senza “body”. Anche, aggiungerebbe qualcuno. Viene da chiedersi cosa sia andata a fare a Doha in simili condizioni da nosocomio, esponendosi a tre mezze umiliazioni sportive. Corre a vuoto e con le gambe pesanti, sbaglia troppo, sbuffa incredula. Ed è quell’incredulità dipinta su di un volto stizzito che non si riesce proprio a comprendere, rendendola fastidiosa. La consapevolezza di sé stessi e del mondo è fondamentale. Me lo rivelò uno scoraggiato psicologo durante la visita militare. Solo perché gli avevo confidato di sentirmi sessantadue volte più intelligente del fresco premio Nobel, ma che non me la sentivo di compilare il test con le crocette.

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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.