Sta
diventando ormai un mistico burlesque di fine anno, lo «Statoil
Master» dell'Atp Champions Tour, nel mitologico scenario della Royal
Albert Hall, la cui finale questa volta cade nella domenica
d'Immacolata concezione. Un caso, per carità. E altrettanto casuale
è la concomitanza con le primarie Pd. Malgrado gli acciacchi tipici
della senilità e conati di vomito per la sbronza della sera prima,
organizzo la mattinata: Santissima Messa (arrivo in ritardo e
rinuncio, ma la volontà c'era. Ripiego per il bar: tre birre gelate
in mezz'ora) e fila all'addiaccio per votare alle primarie Pd,
ripetendomi come un mantra sciamanico: immagina di stare dall'altra
parte e dover scegliere in primarie immaginifiche tra Silvio,
Berlusconi e Abbelluscone. O ancora d'essere un fanculizzatore e ti
chiamassero a votare uno tra Beppe, Peppe e Grillo. No, e allora
eccomi lì, indefesso. Attento a non appostarmi su un tetto con una
carabina di precisione per fare una strage dei banali qualunquisti
della domenica, lanciatisi in struggenti latrati, tra i «din-don-dan»
natalizi: «Renzi è come Abberluscono, è di destraaa-aaa (eco)»,
«Parla parla ma non ha contenuti è gnentologgia-aaa (altro eco)».
Santo cielo. Ma santissimo.
Appena
in tempo per scaldarmi al caminetto, piazzandomi davanti alla tv per
la finale del Master e il clima di catarsi mi fa evitare gesti
inconsulti.
Sinfonia
di musica e tennis, tra vecchi campioni che ancora accordano violini
e racchette, sbevazzando champagnini, birrette e colpi ormai in
disuso tra i moderni eroi nerboruti. Sorteggio malvagio per l'eroe
delle ultime edizioni, John McEnroe, classe '59: i «giovanotti»
Sergi Bruguera e Wayne Ferrera, entrambi classe '71, mentre i
vegliardi Bates, Wilander, Leconte finiscono nell'altro. Vuoi vedere
che la «longa manus» è arrivata anche qui? Supermac poco se ne
cura, stende Ferreira in due set, guizzando come vecchio rapace che
accarezza l'aria
Esperienza
sensoriale, mistica, divina, ultraterrena, scatarrante, il genio che
non invecchia. Cose belle da sentire, e basta. Il genio invece
invecchia, ingrigisce, appassisce. Al limite lo fa bene. O diventa
altro. Lento, incapace di sprigionare quattro ore di tennis ispirato. Resta il braccio, ugualmente straordinario e due o tre parabole goduriose in due set. A chi si lagna, inconsolabile, di Federer
numero 6 do appuntamento tra vent'anni, quando ultra cinquantenne
sciorinerà magici colpi mettendo in riga i giovani quarantenni
Kyrgios o Quinzi.
Sale
in cattedra Supermac, mentre attorno a lui gettano le spugna i più
giovani Edberg (sciatica), Philippoussis (gotta), «maghetto»
Santoro (femore), Bates (cataratta). E sdottora anche fuori dal
campo, tra tweet a Federer proponendosi come consulente d'arte (?),
alla commemorazione di Mandela, fino alla cruda, crudele, ma lucida
considerazione sul doppio, i cui attuali dominatori non vincerebbero due giochi contro il numero 100. Con buona pace dei
Bryan's-Righeira. Meglio abolirlo, dando quei soldi a chi è fuori
dai 200. Giusto, sacrosanto. Atto d'amore-odio di
chi pure ha vinto nove slam quand'era giocato
ancora dai top players e che a 47 anni era tornato a giocarlo (e
vincere, ma questo è superfluo, assieme a Bjorkman) provando a
salvarlo. Ridda d'invettive e critiche, più di quelle suscitate
dalla nobile considerazione di un attuale numero uno per giustificare
una connazionale dopata «nel doppio non serve doparsi».
Amen. «Bocca mia taci», che sull'argomento ci sarebbe da scrivere
un tomo. Di letame radioattivo.
Incontro
simbolo del torneo quello contro il due volte vincitore del Roland
Garros, Bruguera,
Iberico dal ghigno di faina, ancora in età da circuito maggiore (doppio via, in
coppia con Nestor o Paes) e neo allenatore del «senza famiglia»
Gasquet (i più vividi, fervidi, auguri: ne ha bisogno). Così tanta
differenza generazionale, che i due non fecero nemmeno in tempo ad
affrontarsi nei tornei Atp. Match divertente e intenso. Tirato.
L'iberico rantola come un montone, tira dirittoni agricoli, bombe di
servizio e rovescio quasi crudeli. Il geniaccio argentato perde il
primo ma resiste, affetta palline, ricama, azzanna la rete con la
dentiera semovente, si prende il secondo set e cede solo in volata,
nel super tie-break, ma la finale è ugualmente in cascina per
differenza set.
Ancora
finale, la terza consecutiva, opposto a lui Mats Wilander, già
schiantato lo scorso anno. Lo svedese, smilzo e in discreta forma
(noioso quanto Cuperlo che arringa la folla, ma comunque meglio
rispetto a quando ammorba in «Game, set e Mats») mette in campo
tutto il suo proverbiale pallettarismo intelligente, ma non può
certo bastare contro Johnny: fiondate di servizio, dritto con
racchetta magicamente resa un tutt'uno flessuoso col braccio,
rovesci radenti come lama di rasoio. Delira, entusiasma, rottama il doppio e vince.
Spettacolo nello spettacolo il
tormentoso rapporto con l'occhio di falco: non ne becca mezzo. Li
chiama in modo insensato. Mica quando pensa di aver ragione o ha visto la palla sulla riga, ma dopo aver tirato un colpo così bello che sarebbe un delitto chiamarlo fuori. Un oltraggio E chiede conferma, ausilio alla moviola. E s'incazza se nemmeno quella rispetta la geniale pennellata, spostando la riga.
Inconcepibile. Quando poi gli chiamano fuori un colpo ben dentro la
riga, ma interlocutorio, nemmeno lo chiama. I geni sono così.
crepuscolo di semidei claudicanti.
RispondiEliminanon so come valutare. forse dovrebbero fermarsi per preservare l'immagine epica. oppure per non mostrare la grazia appassire.
cosa ne pensi? mm
Cosa ne penso è scritto sopra. Se in 5 (6mila) battute non è chiaro, dovrei farmi due domande sulla mia efficacia. :)
EliminaCrepuscolo. Semidei. Claudicanti.
Nessuno dei tre sostantivi/aggettivi, per me, c'entra molto.
Non stiamo cianciando di Federer (sempre lì finite, ce lo so, ce lo so, vi vedo), Nadal o Nalbandian.
Ma di un anziano signore che ha smesso 21 anni fa. Ogni tanto gioca splendide esibizioni. E basta lì. Non certo quattro ore di serve & volley, ma un'oretta e mezza in cui fa tre o quattro magie. Che mi divertono più di sette ore di Nadal-Djokovic.
Di crepuscolo bisognava parlare nel '92. Semidei, tranne le inutili favole letterarie, non esistono. Claudicanti per niente proprio. A 54 molti vorrebbero claudicare come lui.