Dal genio visionario di Giangiacomo Rosalberto Inguine. Una malattia improvvisamente falsa. Una guarigione assai meticolosa. Tratto da una storia finta strappa muscoli di Maccio Capatonda. Con la sbalorditiva prova di malattia inventata del premio Oscar Novakkio Gioco Vinci. Con la rivelazione Carletto Al Caracchio nella parte del pollo vallespluga e la partecipazione straordi laria di Andy Murolo nella parte muta dell'inguine.
Non ci voleva poi molto a capire quale sarebbe stato il canovaccio della partita. Una sceneggiatura già scritta, con parte provata e riprovata, e atmosfera preparata alla superba prova attoriale dell'inarrivabile istrione serbo. Il problema vero semmai, era capire i tempi e quanto sarebbe stata efficace contro un avversario non più brufoloso pivello. E qui, io che pure capisco di tennis quasi quanto Elon Musk ne sappia di droghe sintetiche, ero dubbioso assai. La vecchia volpe Djokovic ha bene in mente di giocarsi tutto nel primo set, e da lì far partire la rutilante, sempre avvincente sceneggiata. Qualcosa però va storto e il serbo vede sfuggirgli il primo set. Pensa Nole, furbo come una faina, che così rischierebbe troppo. E allora anticipa la prima trovata, inizialmente prevista a fine secondo set: smorfie improvvise di sofferenza estrema. La mano che si tocca l'inguine ad ogni colpo (perso, ovviamente. Quando lo vince: nulla). È una maschera di dolore, il già premio Oscar, che nell'estate australiana sublima da anni la sua arte innata. Eccolo: Medical Time Out prima che Alcaraz serva per il primo set. Si trascina fuori dal campo per qualche cura d'emergenza, ma i presagi sono funesti. I due o tre che sono sbarcati da Marte, o dovrebbero andarci spediti da Elonio, si chiedono se possa mai continuare così conciato. Lui, povero, attempato, che già partiva con gli sfavori del pronostico. Gli altri due, che credono anche alla befana con le scarpe tutte rotte, si domandano se ce la farà a salire le eventuali scale che portano allo spogliatoio o se lo porteranno a braccia. Fatto sta che rientra e l'altro, per nulla impietosito, spara 4 missili vincendo il primo set. Vuoi vedere che questa pietosa pantomima non servirà? Che Alcaraz, mentalmente più solido di un pittore tedesco svalvolato sul centrale di Wimbledon contro Nadal (ancora non mi passa), non si farà condizionare? Invece, accade l'irreparabile. Nole si trascina, alterna punti senza accennare la corsa (quelli già persi) e fulminanti falcate che sfibrerebbero i muscoli del 99% dei tennisti in attività, mentre a lui servono per rivitalizzare, guarire l'inguine infiammata, forse stirata a morte. Si fa presto dal divano, ma Alcaraz invece di assestare il colpo del k.o., inizia a sfarfalleggiare. Di certo non fa il suo gioco, ma improvvisa cose a caso. Prova ad allungare lo scambio, ma quello, morente, tira un vincente. Allora cerca di abbreviare lo scambio, ma finisce per sbagliare. Forza i colpi e le smorzate, Nole le riacciuffa come un ossesso, sebbene infermo. Serve male, distratto. Non riesce a leggere e prendere le contromisure al servizio del serbo, incredibilmente efficace malgrado una menomazione che costringerebbe molti suoi colleghi a battere dal basso. Da destra lo sbatte quasi sempre fuori dal campo, come un fantoccio. Ha la faccia assente Alcaraz, mai nella partita col consueto agonismo, quasi consapevole che tanto non può perderla contro uno sciancato.
Alla fine, malgrado la maschera da combattente in canotta, Carlitos è un buono. E ha tante soluzioni tecnico/tattiche che, ancor di più contro un avversario all'apparenza menomato, lo mandano in confusione. L'ha studiata benissimo Djokovic, e sapeva che una situazione simile lo avrebbe mandato al manicomio. Tra gli attuali tennisti, forse non l'avrebbe adottata contro Sinner, che ormai è una sfinge immune alle emozioni e sa sempre, in qualsiasi situazione, cosa fare. Non l'ha quasi mai adottata contro Nadal o Federer negli anni d'oro delle loro finali, mentre era solito farlo coi vari Tsonga o Safin. Alcaraz invece si presta bene. Al normale smarrimento tecnico e tattico, segue la frustrazione, vittimismo di chi si sente preso in giro. Dopo l'ennesima corsa monstre e vincente in corsa che porta il serbo avanti due set a uno, mima la finta zoppia dell'avversario. Intanto Nole è ormai tornato sano come un pesce, corre, si snoda ogni muscolo, rantola, colpisce. Aizza il drappello dei sobri tifosi serbi avvinazzati, zittisce il solito malcapitato australiano reo di applaudire Alcaraz. Tutto, perfettamente, secondo copione. Senza nemmeno che se ne accorga, Carletto Al Caracchio si ritrova sotto due set a uno e un break sotto. Solo a quel punto prova ad entrare nel match e giocare come avrebbe potuto, ma ormai è tardi.
Vince Djokovic, vince sporco, per usare il titolo del libro di Brad Gilbert. Usando tutti i mezzi, non solo tennistici, a disposizione. Lecito. Può piacere o meno, specie se si tratta di un super campione che ha vinto tanto, ma tant'è. Il serbo, ovviamente agevolato dalla pantomima, ha dato una lezione tattica e tecnica ad Alcaraz, che invece ha perso su tutta la linea. Non ha avuto la necessaria calma e lucidità per affrontare una situazione che quasi tutti avevano previsto. Ok, facile a dirsi se sei a casa in pantofole. Sul campo è una situazione che può farti impazzire e chi ha giocato, ad ogni livello, lo sa. Ma da lui, che non è l'ultimo arrivato ma un tre volte campione slam e futuro dominatore delle scene per anni, mi sarei aspettato una reazione diversa. Forse l'ho sopravvalutato. Ora Djokovic guarda con fiducia la vittoria dello slam 25. Già lo vedo trionfare in finale su Sonego, ritiratosi sul 4-1 del primo set perché stremato dalla battaglia in semifinale con De Minaur.
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