Qualche anno fa, saranno stati dieci o più (basterebbe fare il calcolo della sua età, ma mi tedia a morte), in una piovosa mattinata romana, mi capitò di vedere una diciassettenne ragazzona americana impegnata sul campo numero uno del Foro Italico (questo lo ricordo, perché vicino a me c'era una gnocca svedese con vezzoso abitino color verde acqua). Aveva la pelle da indiana, simpatici dentoni da Bugs Bunny e goffe movenze sulla terra resa ancor più scivolosa da fastidiose goccioline di pioggia, ma tirava delle gran badilate, fortissime e piatte. Ogni tanto, zavorrata da un davanzale ingombrante si piegava su se stessa, stremata, un po' stile Monfils dopo 5 ore e 30 di battaglia. Invece quella era in campo da una ventina di minuti scarsi. Forte, bel braccione tennistico, senza una tattica (anche se su quella potrà lavorarci), ma davvero poco incline al sacrificio e all'atletismo, sentenziai con sicumera da Travaglio tennistico che non ne becca una nemmeno per sbaglio. Da allora per me, Medison Keys è stata la cherokee indolente. O "la flaca". Venne una finale allo Us Open qualche anno dopo persa dall'altra meteora Stephens, prima di perdersi un po'. Sempre alti e bassi, in pieno stile delle ragazze con questa tipologia di gioco. Motivo di questo inutile preambolo? Perché oggi me la ritrovo, a otto anni di distanza dalla finale nuovayorchese, e qualcuno in più rispetto alla mattinata Foro, ancora in finale agli Australian Open. E la scopro discretamente plasmata. Smagrita, dignitosamente atletica, con una rinnovata capacità di difendere, che poi è quello che fa la differenza nel tennis moderno. Tira sempre della gran badilate, ma con maggior controllo, arrota addirittura qualche traiettoria per aprirsi il campo. Pare destinata solo a fare una bella figura contro la super favorita Swiatek, che però ci mette molto di suo per perdere. Frenetica e confusionaria, la donna senza volto, va completamente in bambola ogni volta che si trova a lottare punto a punto. Sempre nascosta dietro quella visiera, come ad isolarsi da tutto, anti personaggio per eccellenza, predilige le corse solitarie. Possibilmente, vorrebbe non ci fosse nemmeno il pubblico. Il primo caso di numero uno al mondo che è devastante se domina l'avversario, ma goffa e ansiosa se si trova a dover sgomitare. Un po' come un ciclista straordinario nelle fughe solitarie e nullo in volata. Iga cuor di scoiattolo ha diverse possibilità di vincere, compreso un match point sul suo servizio, prima di suididarsi definitivamente al super tiebreak.
Grande delusione (non mia di certo), per la mancata finale kolossal con la tigre di Minsk Aryna Sabalenka, che invece in precedenza non aveva avuto molti problemi e si era fatta zero scrupoli nello sbranare l'amica e compagna di shopping pazzo, Paula Badosa.
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