Avevo puntato la sveglia alle 4,00 per gustarmi Djokovic-Zverev, nel silenzioso e placido albeggiare. La sveglia ha squillato, e io ho continuato a dormire il sonno dei giusti. Mi sveglio e pasteggio la mia frugale colazione a base di pane raffermo e latte di capra, assistendo alla conferenza stampa del serbo, che poco prima si era ritirato dopo aver perso il primo set al tie-break. Col volto deluso e stravolto, ammette che il problema accusato due giorni fa non gli permetteva di continuare. Confessa che negli ultimi anni si è infortunato molto, e non sa quale sia il motivo. In quell'istante mi è venuto alla mente il mio povero nonno Ernesto che a 88 anni, dopo la consueta passeggiata mattutina di due ore attraversando a piedi la città, con la faccia buia ci diceva: "Le gambe non girano più come una volta, mi stanco facilmente. Nessuno di questi dottori capisce il motivo. Che malattia ho? Non capiscono niente...". Nole va per i 38 anni, è reduce da una ventennale carriera che ha messo a dura prova il suo fisico e gli ha permesso di vincere 24 slam. Ora non si capacita di come non riesca a reggere fresco come una rosa sette incontri di slam al meglio di cinque set contro avversari di 15 anni più giovani. Proprio non capisce il motivo, lui che cura meticolosamente la macchina del suo fisico, non tralascia alcun dettaglio, tra allenamenti e alimentazione. Chi lo sa. Forse, in cuor suo, crede davvero di poter battere anche l'età. Che medici e scienziati non capiscano nulla e l'invecchiamento sia solo una balla messa in giro dai poteri forti. Lui si sente immortale e sempregiovane.
Tornando semi-serio, Djokovic purtroppo invecchia come tutti, meno di altri colleghi che alla sua età stanno già in pantofole sul divano con la gotta. Paga normali acciacchi a un fisico straordinario. Acciacchi a cui ci si può arrendere o con cui si può scegliere di convivere, tra antidolorifici e pause fisiologiche, e che due giorni fa non gli hanno impedito di battere Alcaraz da vecchio merpione, sfruttando la cosa contro un avversario debole psicologicamente. Oggi, dopo un'ora e venti di battaglia cruenta ha perso il primo set e ha deciso di abbandonare, consapevole e lucido, per alcuni motivi evidenti: 1) l'avversario, a differenza di Alcaraz, non concedeva nulla ma lo costringeva a lunghi sfinenti scambi e a guadagnarsi ogni singolo punto. 2) Era conscio di quanto fosse inutile mettere in scena i rituali teatrini, perché il suo buon amico tedesco non si sarebbe impressionato. Tanto meno destabilizzato provando a fare cose diverse come aveva fatto Alcaraz, perché ne sa fare solo una. 3) In ultimo, ma non ultimo, visti i tempi del primo set, per vincere avrebbe dovuto lottare e soffrire sul campo almeno altre tre ore, forse quattro. E l'eventuale finale l'avrebbe giocata al Fatebenefratelli di Melbourne. Amen e così sia. Il resto, chi parla di strappo di 4 cm, forse 6 o 8, altre menomazioni che non solo impedirebbero di giocare a tennis a livello amatoriale, ma anche di camminare, vive felicemente su Marte. Ma in fondo è il bello dello sport, che alimenta miti e vuole trasformare gli sportivi in eroi immortali. Triste ma non sorprendente che il pubblico accolga il suo ritiro e lo accompagni all'uscita tra salve di fischi. Epilogo immeritato (e per dirlo io...). Forse il disappunto è dovuto a gente che voleva altro tennis ed era convinta, vedendolo combattere punto a punto, che potesse farlo ancora. Se a questo si aggiungono le polemiche spesso inutili di queste due settimane, scenate isteriche, vittimismo sui suoi successi sminuiti solo perché serbo, la Nato, l'occidente e le cospirazioni aliene, il clima di accerchiamento che ha creato attorno a sé per trovare motivazioni, non si può dire che non ci abbia messo molto di suo. La speranza è che a Parigi, Londra e New York, possa esserci un congedo più sobrio.
Jannik Sinner raggiunge la finale domando in tre set le sfuriate di un pur ottimo Ben Shelton. Risultato abbastanza bugiardo, perché l'italiano ha dovuto sudare più di quanto non dica il punteggio e il match poteva complicarsi se l'americano (parso più maturo, pur con i suoi limiti) nel primo set non avesse buttato alle ortiche due set point sul servizio (che non è quello di Errani). Ora la finale con uno Zverev parso in palla fisicamente e determinato nel vincere il suo primo, maledetto, slam, non credo sarà una passeggiata. Jannik dovrà essere bravo ad uscire dalla diagonale del rovescio e, se possibile, evitare che il match diventi una maratona. Precedenti in equilibrio e sempre combattuti, che lasciano il tempo che trovano, perché troppo indietro nel tempo, quando Sinner non era la macchina quasi perfetta di oggi.
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