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domenica 4 settembre 2011

US OPEN 2011 - TOMMY HAAS ILLUMINA E SE NE VA



DAY 6 – Dal vostro inviato dalla casetta sull’albero di Tom Sawyer. Dove si faceva gli spinelli

Tommy Haas cede a Monaco, ma forse nel 2012 raggiungerà in numero uno delle classifiche Atp (alieni-tendenzialmente-perdenti). Aldino “piripicchio”, Francesco “malacera” e Ivano “real”, mi stavano attendendo nell’allegra spelonca del beone, assieme a due smandrappate. Hanno dovuto attendere altre due ore e mezza, perché impegnato ad assistere moralmente, come si fa coi moribondi, Tommy Haas. Voglio dire, in questi periodi di penuria emozionale, ne valeva davvero la pena. Poi, intendiamoci, quando ricapiterà di vederlo ancora? Nel "Champions tour" contro Pernofors? Tutto è appeso ad un filo. A mio modo d'intender le cose, fino ad ora il match più bello visto a New York. Uno di quelli che non ti spingono a girare su un altro campo, per comprenderci. Il trentatreenne tedesco è impegnato sul “grandstand”, nel suo terzo turno contro il mandriano della pampa Juan Monaco. Poche chance per il povero Tommy, quasi miracoloso nel passare due turni. Ma sperare non costa nulla. Vuoi mettere? Un confronto di stili tennistici lampante ed estremo, che dà vita ad uno spettacolo assai divertente.
Il tedesco adottato dagli yankee regge botta, sciorina il solito tennis di estrema difficoltà. Quasi unico nel circuito. Ed eccolo partorire i suoi colpi d’anticipo in mezza volata, accelerazioni fulminee, drop in contro balzo per tentare di scardinare il terrificante fortino d’Argentina. C’è qualcosa che riempie lo spirito in quei rovesci classici esplosi a tutto braccio. Tennista assolutamente meraviglioso Tommy Haas. Ma non vincerà mai, se quell’altro tiene quei ritmi esasperanti. Porta a casa il primo al tie-break, poi cala inesorabilmente al cospetto del mandriano che pare aver azzeccato la giornata di “nadalismo” inconsapevole: corre come un mulo drogato col tabasko, abbranca tutto, stecche clamorose che finiscono sulla riga, fortunosi lob alla sperindio che muoiono beffardamente all’incrocio. E pensare che questo obbrobrioso figuro coi capelli come quelli di una pecora merinos, solo qualche mese fa le buscò dalla figura retorica Vagnozzi (facendomi anche perdere una scommessa da 100 euri, ndr. E diventandomi, se possibile, ancor più "simpatico"). Che robe, che robe questo tennis. Tommy arranca, è chiaramente fuori forma fisica. Fermo oltre un anno per i gravi problemi all’anca. Un infortunio che in età avanzata avrebbe messo k.o. molti. Forse tutti.
Il tedesco d’america spinto dal commovente pubblico, prova a sopperire alle carenze fisiche con quel benedetto braccio che anticipa tutto in demi-volèe anche dal fondo, qualche merletto improvviso, ma c’è poca storia. La perdita del secondo set equivale ad una sconfitta, perché è arduo esercizio di fede sperare che l’eroe possa resistere ad una battaglia di quattro o addirittura cinque set. Lui, il campione di sfortuna senza eguali, ex numero due al mondo e con una miriade di operazioni alle spalle per ricucire ossi rotti, muscoli lacerati e tendini strappati. Riesce solo a fare sfoggio di magliette con vari sponsor, si è geniali in tutto, del resto.
Poco da fare, dopo oltre tre ore l'argentino vola due set ad uno, con doppio break di vantaggio anche nel quarto. Con rassegnazione contatto quelli alla spelonca, mi dicono con contentezza subnormale che le due smandrappate sono già ubriache. Brutta storia quella dei comuni esseri depravati, far ubriacare fanciulle (già alcolizzate di loro). Mentre a quelli “sobri ed eleganti” bastano delle culturali cene, regalare un gettone da cinquemila euro e qualche prezioso monile. Pazienza. Intanto ecco la miccia: I boati del pubblico accompagnano due fantastici passanti di rovescio in disperata corsa dell’eroe adottivo. Contro break e 3-5. Ce n’è ancora un altro, figurati. Intimamente inizio a sperare nell’assurdo, provando a rimuginare su antiche rimonte epocali di vecchie lenze mascalzone. Dovrebbe trasformarsi in Jimmy Connors, Tommy. Non ha altra via. Ci spero per un paio di minuti. Chessò, caricarsi, istrioneggiare, parlare con qualcuno delle prime file e dirgli: “tranquillo ragazzo, adesso lo riprendo. Ci vuole niente. Sta a vedere ragazzo, di cosa è capace ancora questo vecchio cane se si arrabbia…”. Magari perdere un po’ di tempo, con l'esperienza del veterano. Chi vuoi che non possa commuoversi e concedergli uno strappo al regolamento? Figurarsi. Già nel primo set al povero tedesco hanno chiamato un warning per aver superato il fatidico tempo. Toh, fanno rispettare una regola, a Tommy Haas. Provassero a chiamarla una volta (su due milioni di possibili occasioni) ad un Rafa, si troverebbero ad arbitrare una partita di racchettoni sulla spiaggia di Juantanamo.
In simili circostanze (anche più disperate) al primo e lontanissimo spiraglio di rimonta ipotetica che potrebbe trasformarsi in leggenda, Jimbo iniziava lo spettacolo da istrione in trance. Passo lento, arrancante e compassato, occhi come biglie d’acciaio fissi a scrutare immensi orizzonti di rimonta, e braccia che si flettono in avanti in clamorose gesti d’esultanza schizoide. Come a far confluire tutte le forze dell’ignoto su quel fisico ormai ridotto a cencio strizzato e consunto, rivitalizzando l’ultimo anelito di spirito sportivo. Ma Tommy, pur meraviglioso e (se vorrà continuare ancora qualche mese) sicuro numero uno della mia A.t.p., non è Jimbo, e cede dopo un ultimo scambio straziante.

Avanzano i big, si rompe Berdych. In nottata Djokovic demolisce Davydenko. Senza appello. Sono lontani i tempi in cui “nosferatu” rintuzzava i colpi del serbo con ardimento stakanovista. Federer aveva avuto i suoi bei problemi per ridurre a miti consigli Cilic (anche lui colpito dal warning per aver oltrepassato il tempo a disposizione tra un punto e l’altro: che roba ragazzi. Nella finale Nadal-Djokovic 2010 ci sarebbero stati 132 warning, almeno). Trema un po’ sul set pari lo svizzero, ma poi dilaga. Vincono anche Fish sulla pertica Anderson, e Tsonga in tre set col pupazzetto tronfio del suo esser perdente, Nando Verdasco. Sicuro il successo di Dolgopolov sul gigante Karlovic (sempre 10 e lode al suo inguardabile occhiale da sole specchiato e colorato, d’alta montagna), che si guadagna Djokovic ed hai visto mai che l’incoscienza d’Ucraina possa fare il miracolo biblico. Saluta invece Tomas Berdych che, ritiratosi per l’antico malanno alla spalla, lascia spazio a Tipsarevic. Forse se Fognini (La Fogna, ndr) avesse allungato il match col ceco (solo giocando più di un set), avrebbe usufruito dello stesso cadeaux. Ma si sa, l’intelligenza non abita quei boriosi lidi.

Serena schianta Azarenka, si salva Schiavone. A casa la “Varenne” di Serbia. Veniamo alle donne, che con la loro grazia ed eleganza tanto ci deliziano lo sguardo ed appagano l’urgenza di bellezza tecnica. Oh, sì. Il tutto si tradurrebbe in queste due a sinistra, per intenderci.

Francesca Schiavone
claudicante offre il solito spettacolo ultimo, fatto di neo pallettarismo urticante. Arriva a match point contro prima di svegliarsi e vincere in rimonta su Chenelle Sheepers, ordinata sudafricana da top 100. Niente di che. Problema fisico o meno, giocasse alla stessa maniera contro Pavlyuchenkova negli ottavi, prenderebbe un generoso 6-1 6-3. Anzi, metteteci già da ora trenta euro sopra (a 1,90). Li raddoppiate, quasi. O al limite li perdete. La cicciottina russa basculante ieri ha sapientemente ridicolizzate le dementi sgroppate del tergicristallo Jankovic (hip-hip…). Bene, molto bene Serena Williams che, dominante e feroce, si divora Victoria Azarenka. La bielorussa posseduta perde tre anni di vita nello scarnificante tentativo di rimonta nel secondo set, ma non basta. L’incontro valeva tranquillamente una semifinale, forse la finale. Difficile capire chi o cosa possa fermare l’americana, se non un avvenimento esterno. Unica chance per le avversarie: portarla oltre le due ore di gioco. Come tutti i pesi massimi, dopo il sesto round allenta (un po’) la morsa virulenta. Sul velluto (per ora) Wozniacki. Di Kuznetsova-Amanmuradova troverete ampia cronaca su superquark. Pare abbia vinto la russa, comunque. La rude maniscalca Petkovic batte agevolmente Roberta Vinci, sempre col solito tabù di non esser mai arrivata alla seconda settimana in uno slam. Solita oscena e ridicola danza storpia della tedesca a fine match, che pure aveva dichiarato di stare malissimo ed avere un terrificante dolore al ginocchio (lo stesso che sorridendo, a fine match si baciava ed accarezzava). Poi ha giocato anche altre tre ore nel doppio, tanto per aggravare il malvagio malanno inesistente. Piccole Nadal crescono…


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Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.