Day 1 - Dal vostro inviato, ebbro di spuma, nel
braciere olimpico.
Lo guardi attentamente, in quella sgargiante maglia giallo
ocra con spruzzi degli altrettanto vividi colori della sua Colombia, e
Alejandro Falla sembra una specie di pappagallo ara, o cocorito. Rassicurante
quanto Valderrama senza cespuglio in testa e numero dieci sulla schiena. Colorato
e spumeggiante, in quel mare di purple che tutto inonda in una Londra avvinazzata
dalla fiamma di Olimpia. Copertura televisiva quasi ridicola e per il resto, misera
analisi rivolta in larga parte ai soli risultati. Molti match li invento, steso
sulla sdraio. Con le cicale che cantano sotto l’albero di ulivo, e in lontananza
minuscole navi limano lentamente l’orizzonte. Quell’anonimo colombiano col berretto, l’espressione torva, spalle
scoscese e braccia da simil primate che pencolano fin quasi sotto le ginocchia,
ha un futuro a Hollywood. La parte del vice galoppino sicario del cartello
di Medellin è parecchio inflazionata, ma è scritta per lui, su di lui.
Stranissimo effetto, quello del centrale di Wimbledon versione olimpica, con sfondo fuxie e larghi sprazzi di vuoto sulle tribune. Più facile persino del già facile previsto, il compito di un elegantissimo Roger Federer in rosso fiamma, che in punta di piedi argina senza troppi patemi il velenoso mancino sudamericano. Situazione così tranquilla che sugli spalti Mirka (anche lei in conturbante tutta rossocrociata) sbadiglia, e vorrebbe mangiarsi tre chili di fish&chips. Il numero uno al mondo arriva al doppio match point sul 6-3 5-3 prima della clamorosa fuga narcolettica dalla realtà. Cede il servizio, poi il set, ed eccoci in un terzo set ai confini della realtà. Penso ad un Federer immenso tanto nei suoi picchi di tennis marziano, quanto negli algidi sonnellini ristoratori con babbuccia e pallina da giovin signore adagiato nel letto a baldacchino. Che tanto, c’è tempo. Ma quel colombiano truce, con quell'espressione sporca, cattiva e segnata che puoi trovare nelle peggiori bettole di Medellin e dalle infingarde parabole mancine che sull’erba diventano spesso letali, è una specie di combattente tremebondo. Uno che nei match tre su cinque, non muore mai. Lo schiacci, ma quello si rimette sulle zampette e sgattaiola via. Stavolta quinto set non potrà esserci, ma i due riescono ad esibire queste peculiarità. Faccio appena in tempo a pensare a tutte queste cose che Federer, rinsavito e risvegliato dal torpore coi sali, ha già vinto 6-3 al terzo.
Stranissimo effetto, quello del centrale di Wimbledon versione olimpica, con sfondo fuxie e larghi sprazzi di vuoto sulle tribune. Più facile persino del già facile previsto, il compito di un elegantissimo Roger Federer in rosso fiamma, che in punta di piedi argina senza troppi patemi il velenoso mancino sudamericano. Situazione così tranquilla che sugli spalti Mirka (anche lei in conturbante tutta rossocrociata) sbadiglia, e vorrebbe mangiarsi tre chili di fish&chips. Il numero uno al mondo arriva al doppio match point sul 6-3 5-3 prima della clamorosa fuga narcolettica dalla realtà. Cede il servizio, poi il set, ed eccoci in un terzo set ai confini della realtà. Penso ad un Federer immenso tanto nei suoi picchi di tennis marziano, quanto negli algidi sonnellini ristoratori con babbuccia e pallina da giovin signore adagiato nel letto a baldacchino. Che tanto, c’è tempo. Ma quel colombiano truce, con quell'espressione sporca, cattiva e segnata che puoi trovare nelle peggiori bettole di Medellin e dalle infingarde parabole mancine che sull’erba diventano spesso letali, è una specie di combattente tremebondo. Uno che nei match tre su cinque, non muore mai. Lo schiacci, ma quello si rimette sulle zampette e sgattaiola via. Stavolta quinto set non potrà esserci, ma i due riescono ad esibire queste peculiarità. Faccio appena in tempo a pensare a tutte queste cose che Federer, rinsavito e risvegliato dal torpore coi sali, ha già vinto 6-3 al terzo.
La sorpresa di
giornata è impacchetta ed infiocchettata dal belga Darcis, scaltro normotipo
belga che uccella la pertica Berdych all’ennesima goffo scivolone. E
di scivolate da oggi le comiche sulla sgusciante erba rizollata ne mostra
parecchie anche oggi, il ceco. Tennista impostato, emozionalmente sterile e
quasi plastificato nella sua essenza da bocca di fuoco studiata nella galleria
del vento. Spesso miope. Spessissimo cieca. Di lui rimane la triste immagine di
un lampione altissimo, e dalla luce spenta. Basta un buon tennista dal discreto
talento e notevole furbizia come Darcis, a far emergere i limiti d’intelligenza
tennistica di Berdych. Datemi dieci Gasquet, e tenetevi questo losco figuro
smunto. Perderà lo stesso, ma mi divertirò di più. Tra i favoriti di seconda
fascia avanzano Del Potro, Isner e Tipsarevic che batte ancora quel Nalbandian
che nemmeno la maglia argentina riesce a ridestare dal pantagruelico torpore
post calcione “cafonal” del Queens. Buon successo di Dimitrov su Kubot, mentre
Almagro doma Troicki. Piccola sorpresa la vittoria di Benneteau su Youzhny, e
masochista francese che si riguadagna Federer. Avanza come un sol uomo, granitico come roccia impermeabile, Philipp
Petzschner. La fiamma d’Olimpia è in lui. Vede il traguardo. Intanto schianta
Lacko, il resto lo scoprirete presto. Seppi regola di giustezza Young, talentuosissimo
americano in condizioni di forma sfolgorante, che “braccio d’oro” Paolone
Bertolucci in giornata batterebbe ancora.
Uno sguardo immaginifico alle donne.
Serena Williams come un rullo sulla Varenne ormai allo stanco trotto declinante
e coi garretti sgonfiati, Jelena Jankovic. Una che senza corsa, negli ultimi
mesi si è confermata tennista di mediocrità assoluta. Abbacinante essenza di un
nulla tedioso. Da numero 60/70 massimo. Piccole sorprese di giornata, le
sconfitte di Na Li e Stosur, lo scorso anno vincitrici di Major e quest’anno in
crisi devastante. La cinese perde da Hantuchova, esperta slovacca sempre
pericolosa sui prati. Ben più clamorosa la sconfitta di Stosur, caduta alla
lunghissima distanza nella rete del divertentissimo cartone animato iberico
Carlita Suarez Navarro, 10-8 al terzo. Poco da dire sull’australiana bombarola,
sublimazione della sconfitta pirotecnica, che con quegli occhi angosciati e le
terrorizzanti pacche che si dà sulla coscia, ti mette ansia solo a guardarla.
Facile vittoria di Kim Clijsters su Roberta Vinci. E chiunque abbia un qualche
erudimento di tennis giocato e visto sa quanto una Kim che si tenga appena in
piedi, contro l’italiana non può perdere mai. Oggi stava in piedi. Niente da fare per la tarantina, così
leggera nella sua atavica pesantezza. Dolci ricami e deambulanza moviolistica
atroce. L’impressione orrenda è che si stia “erranizzando” sempre più, tra
urla e un ”occhio della madre” che in doppio deve inquietare non poco le avversarie.
Arma segreta del loro doppio. Portano invece a compimento il compito Pennetta e
Schiavone, non senza complicarsi un po’ la vita contro avversarie buone ma alla
loro portata, come la rumena Cirstea e l’esperta ceca Zakopalova. Ora la
brindisina avrà un altro test difficile, ma non impossibile, contro la merlettata
Pironkova, vincitrice su Cibulkova. Bulgara sottiletta che sgambetta a meraviglia sui prati (basta
vedere cosa ha combinato gli ultimi anni a Wimbledon). Schiavone trova invece sulla sua strada una Vera Zvonareva (vittoriosa sul donnone svedese Arvidsson) mai battuta in carriera, e che patisce oltremodo
tecnicamente. E sì che lei è un dio femmina (insomma) della tecnica. Prima o
poi dovrà batterla e quale migliore occasione di una russa in ripresa dopo le
traversie fisiche, ma ancora lontana parente di quelle capace di fare finale a
Wimbledon. Anche perché, le opportunità di batterla di assottigliano sempre
più, malgrado la nostra sia nell’età preadolescenziale. Io l'ho detta, preghiamo.
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