.

.
Visualizzazione post con etichetta Del Potro. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Del Potro. Mostra tutti i post

domenica 24 gennaio 2010

Australian Open - settima giornata - Meravigliosa Henin, Del Potro s'arrende


Justine Henin ha ventisette anni, ha vinto gran trofei luccicanti ed è stata numero uno al mondo. Yanina Wickmayer, di anni ne ha venti, non ha vinto nulla e lavora per diventare numero uno. Ma ciò che affascina, non è solo il confronto generazionale, quanto un contrasto di stili, e il differente modo di approcciare ed interpretare il tennis, delle due ragazze nate in Belgio. Justine, è uno scricciolo gracile, che supera a stento il metro e sessanta, Yanina, una valchiria di un metro e ottantatrè, flessuosa, muscolata ed imponente, da far paura. A guardarle, pare non debbano esserci alternative credibili. Nel tennis ridotto ad urlante lotta grecoromana, la povera Justine non avrebbe alcuno scampo. Sbranata in pochi minuti da quella belva dirompente.
La "vecchia" campionessa dipinge tennis immacolato, sfruttando le armi che gli Dei, col senso di colpa, le donarono per compensare un fisico minutamente inoffensivo. Yanina seguita ad esplode mattonellate disumane da ogni lato, sempre e comunque, con le gote livide e l'aria cannibalesca. L'ex regina ha la coscia bardata, la rampante randellatrice, dicono abbia la schiena a pezzi. Ne viene fuori un match bellissimo, con Justine che mette in campo tutte le sue frecce ricercate, per arginare il debordante tsunami. Arguzia, tattica, e mano vellutata ad inventare e dipingere tennis, in ogn angolo di campo. Bordate di rovescio bimane della giovane, e dardi tanto morbdi, quanto velenosi dell'ex regina. Wickmayer, se ve n'era bisogno, oltre ad un tennis rudemente devastante (e che iddio ci salvi, ancora artigianale, ed in evoluzione) possiede anche un gran carattere. E nessun timore reverenziale, verso il connazionale monumento in gonnellino.
Vince in tre bellissimi set Justine Henin, una delle poche (l'unica?) capace di gestire con classe il tennis giocato a suon di agghiaccianti bordate. Vince pure Yanina, che quel tennis esplosivo lo interpreta al meglio. Confortata nel suo progetto di salire al vertice, perchè di Henin, in giro ce n'è una sola. Ora si ritrova Nadia Petrova, che dopo Clijsters, fa fuori anche l'assai vezzosa (oh, che beltade!) Kuznetsova. Maria Kirilenko avanza approfittando del ritiro di Dinara Safina.
Nel tabellone maschile, la sorpresa era nell'aria. Ballonzolava irridente, in un orizzonte di nubi frastagliate. Juan Martin Del Potro, col solo carattere, era venuto a capo di un Blake atavicamente incapace di sferrare la crudele stilettata finale. Marin Cilic, in fase di maturazione psico-fisica, di questi problemi non ne ha molti. Malgrado le frequenti amnesie, quasi il ragazzo di Medjugorje si soffermasse ad osservare madonnine immaginarie, come un pastorello qualsiasi, appariva in grado di venire a capo di un argentino ferito, ed incapace di giocare il suo miglior tennis. E così è stato, malgrado i tentativi frustrati di Giovan Martino, fino al quinto set, di far suonare campane afone. Rimango convinto, che la torre di Tandil, al meglio e senza menomazioni, sia ancora di una categoria superiore al croato.
Nadal e Murray disinnescano le granate di servizio delle due pertiche, Karlovic ed il suo emulo yankee Isner. Dimostrando di essere due dei migliori ribattitori in circolazione. L'iberico rispondendo due metri fuori dalle righe, e limitando quel gap, grazie ad una ritrovata esplosivita arrotante, unica nel circuito. Lo scozzese dalla vampiresca dentatura, sfruttando i gran riflessi della casa. Se a ciò si aggiunge un Isner che si affloscia subito, ed un Karlovic encomiabile, ma coi soliti limiti bradipeschi negli spostamenti, eccovi servito un bel quarto di finale: Nadal-Murray.
Se la vede brutta Andy Roddick, che argina i dritti teppisti di Gonzalez, solo al quinto set, e nei quarti trova Cilic.

mercoledì 20 gennaio 2010

Australian Open - terza giornata - Pennetta spazzata via dall'uragano Wickmayer, Del Potro si salva col cuore


"Lei tira sempre uguale, dovrò variare il gioco...". Con queste bellissime e battagliere parole, Flavia Pennetta si è presentata sul campo numero due di Melbourne, al cospetto dell'armadio belga Wickmayer, oggi in virginale e stridente completino bianco-rosa svolazzante.
Premesse da sottoscrivere, con entusiasmo. Sempre meglio che pregare e comprarsi un rosario elettronico (ebbene si, sono in commercio, per i più pigri). Peccato che a saper variare il gioco, nell'attuale circuito femminile, siano in tre (quattro, volendo fare i gradassi). E certe volte nemmeno basta. Se lo schema servizio e roncola fumante al primo colpo riesce, l'idea di variare rimane una idea. Bella, ma sempre idea, appunto. Chiedere all'anziana e piccina Kimiko Date, spazzata via in due set dall'orca kazaka Shvedova. Una che se gli entrano nelle righe tutte le mazzate tirate alla sperindio, diventa ingiocabile.
Tornando alle tristi sorti della nostra, il vero dramma, è che qualcosa si poteva anche fare. A saperlo fare, però. Perchè Yanina è stata fallosa, nervosa, incostante. C'era tutto lo spazio ed il tempo per progettare la tanto sbandierata tattica, così virtuosa a parole. La brindisina invece, gioca il suo solito tennis, ma condito da troppa tensione, errori gratuiti e doppi falli che piovevano come grandine. Nessuna possibilità di arginare il brutale tornado belga, che pure oggi viaggiava a folate intermittenti. Nel marasma di vicendevoli orrori, alla belga basta piazzare due randelli vincenti di rovescio nel tiebreak, per vincere il primo set. Nel secondo, Flavia Pennetta esce dal campo, esponendosi all'impietoso massacro.
Ora, a fermare la rudimentale belga, ci proverà Sara Errani, fresca di vittoria con la Makarova. Al terzo turno ancha Roberta Vinci, che si guadagna la Kirilenko, e testerà se davvero la russa velina da passerella, stia addirittura imparando a giocare a tennis. A proposito di tennis italiano al femminile, mezza impresa di Tathiana Garbin, che sconfiggendo la russa Vesnina, completa il sei su sei delle nostre. In controtendenza allo zero su cinque degli eunuchi al maschile.
Tabellone femminile che avanza, senza soprese. In scioltezza, Kuznetsova, Safina, Wozniacki e Clijsters. Orrore vero Maria Josè Martinez Sanchez, che crolla in tre set contro una cinese. Non chiedetemi chi possa mai essere. Prendetene una a caso, ma sarà scarsa senz'altro. Che dire, ennesimo suicidio della farfalletta iberica. Nella sezione occupata ed intasata dal triunvirato belga, match più importante di giornata, Henin-Dementieva. L'ex regina, a dispetto di un anno e mezzo di latitanza dai campi, non ha certo dimenticato di esser campionessa. Meravigliosa, variopinta e dalla mano fatata. Dementieva, invece, non può certo scordarsi da un giorno all'altro, di essere gran perdente di valore. Una che gioca bene, in fondo ci arriva sempre, ma sul più bello, la gelida manina smunta, le trema vigliaccamente. Come improvvisamente vampirizzata e ridotta ad esangue morta vivente. Risultato, due set tiratissimi, e vittoria per la divina Justine. Perchè campionesse vincenti, si è soprattutto nella testa.
Capitolo uomini. Rafael Radal si sgranchisce rifrullando palline ed il malcapitato slovacco Lacko. Murray passeggia su Giquel (quello che aveva lasciato le bucce di patata al talentuosissimo Bolelli, il piccolo Federer italiano, per intenderci). Avanti pure Roddick, Gonzalez sul turco Ilhan (eh si, turco-turco. I turchi hanno portato un esponente al secondo turno) e Isner, vittorioso sull'irlandese Sorensen. Ebbene si, persino l'Irlanda ne aveva uno al secondo turno. Mentre i nostri stanno già cogliendo le cicorie selvatiche, per campi.
Match che si è rivelato più intertessante di giornata, Del Potro-Blake. E che ovviamente è sfuggito al mio occhio sapiente. Sebbene in leggero declino, l'americano col deretano spropositato ed il fisico a pera, stile Homer Simpson colorato, gioca un gran bel tennis, piatto, pieno, vario. Divertente. E quasi mai vincente. Una carriera, quella di James, costellata da bellissimi match, e vittorie quasi zero. Una interminabile saga di confronti giocati punto a punto coi più forti, e puntualmente persi al fotofinish. Del Potro ne viene a capo solo 10-8 al quinto. Difficile giudicare avendo visto solo qualche higlights. Non ci riuscirebbe nemmeno Clerici, che pure di tennis ne sa. Ad occhio e croce, azzardo in sicurezza: La torre di Tandil, conferma che i problemi al braccio non sono una finzione di scena, ribadisce però gran cuore nel lottare e stringere i denti, per oltre quattro ore. Le cronache francesi (quelle italiane le schivo per decenza), narrano di un argentino semovente, che quasi si trascinava per il campo. Oltre ad un suo ace di seconda, ad annullare un break decisivo nel quinto set. Che Giovan Martino il campanaro abbia carattere da vendere, si sapeva. Ma contro uno che le partite le sa anche portare a casa, forse sarebbe stata faccenda diversa. Ennesima conferma anche per Blake, piacevolissimo perdente fine a se stesso.

martedì 15 settembre 2009

US Open 2009 - Del Potro spacca New York




Un urlo nella notte: Giovan Martino! Dopo un torneo avaro di spettacolo, Roger Federer e Juan Martin Del Potro danno vita ad una delle più appassionanti finali degli ultimi anni. Eppure l'inizio era di quelli che inducevano a prospettive inquietanti, ed quilibrio pari a quello di uno sgozzamento sacrificale sull'altare. Sua maestà Rogerio, tutto nero, con elegantissimi rivoli rossi, è ben concentrato stavolta. Pure lui lo sa, quel dinoccolato argentino con lo sguardo da pistolero buono che vuol fare il cattivo, è un degno avversario. In una umanoide concessione, ha pure studiato la tattica. La giovin torre di Tandil, paga i vent'anni, l'inesperienza, l'emozione della prima finale da giocare contro un monumento. Serve male, sulla sua seconda leggera il re fluttua verso la rete, lo aggredisce, non gli lascia ossigeno per ordinare le idee, e tempo per riaversi. E poi rovesci bassi e in slice sui quali la torre deve prodigarsi in goffi tentativi di arpionamento. 6-3 in un baleno, e ad un passo dal doppio break di vantaggio nel secondo, a suon di colpi di fiorettto e in recupero disarmanti. E davvero non si vede come o cosa, possa cambiare l'esito degli eventi.
Mirka, ben in ghingheri, è rilassatissima. Ridacchia e racconta barzellette sconce (è un'ipotesi) ad una seduta vicino a lei. Federer mantiene il break, l'argentino riprende a difendersi sul servizio, da qualcosa bisogna pur cominciare. L'aiuto che non ti aspetti, arriva non dal cielo, ma da un suo parente prossimo, il medesimo semidio danzante, ritornato imprevedibilmente smemorato pianista sull'oceano. Dritto sparacchiato su stelle inesistenti, game da museo degli orrori e controbreak, che consente all'altro di scorgere uno spiraglio di vita da afferrare coi denti. E il pistolero non si fa pregare, comincia a tirare finalmente a tutto braccio. Il re lo ha reintrodotto in una partita che non aveva storia. Stecca di rovescio del Mozart di Basilea e sassata vincente di dritto dell'argentino furente, a chiudere il tiebreak del secondo. Il match che cambia sta tutto lì.
Sull'onda dell'entusiasmo, l'allampanato pistolero vola 4-3 e servizio. Federer è nervoso, e lo si nota da come si rivolge all'arbitro, reo di assecondare i continui challenge ritardati dell'argentino, presumibilmente provenienti da suggerimenti del suo angolo. Lo rimprovera col piglio che si deve ad un monarca verso il suo infimo servo. Juan Martin non raccoglie, sbaglia un facile colpo di volo, cede il servizio e sul 4-5 infila due doppi falli in fila da tregenda, negli ultimi due punti del set. Paura evidente che paralizza il braccione e lo fa sembrare un Djokovic qualsiasi.
Federer vola due set a uno, ed i patemi paiono finalmente fugati. La torre di Tandil regge nel momento più difficile e che avrebbe ammazzato un toro. Ma è qui la differenza, il ragazzo ha carattere e determinazione. Non è pervaso da quel filo di rassegnazione, di fronte alla leggenda che danza dall'altra parte, tipica di molti altri. Continua ad esplodere bordate di dritto che paiono bucare il cemento, senza alcuna paura, ad occhi chiusi, anche quando si trova a due punti dalla capitolazione. Ed il monarca, come spesso gli è capitato, ha la colpa di accettare la sfida plebea a suon di roncole fumanti. Che pare un mezzo suicidio. Il progetto tattico che lo stava conducendo ad una facile vittoria, è completamente riposto. E infatti a prevalere sono i traccianti mostruosi e le debordanti saette dell'argentino, che adesso ha ripreso lo sguardo tagliente. Esplode a tutto braccio, colpi impressionanti, dritti in corsa che fanno balzare dalla sedia. Potenza e velocità di braccio difficilmente rinvenibili altrove. Federer non riesce più a venirne fuori, vittima di se stesso, e di quello spiraglio che ha aperto all'avversario. Juan Martin vince a denti stretti il tiebreak del quarto, e vola avanti anche nel quinto.
L'orgoglio del campionissimo di Svizzera, sta tutto nel modo in cui annulla due match point, dopo scambi prolungati e drammatici. Ma alla fine si arrende. Juan Martin, vince 6-2 al quinto, una grandissima partita, ed un torneo difficilissimo, a vent'anni. Con grande maturità, colpi eccezionali e personalità. Il tennis ha trovato un nuovo protagonista. Pronti e serviti i soliti stolti, che senza l'iberico frullante, pensavano ad avversari rassegnati e senza carattere. Federer ha tantissimo da rimproverarsi, e ripensare alle occasioni gettate al vento. La bambola totale nel momento di portarsi due set avanti, in primis. Ma a giudicare dal modo rilassato e sorridente con cui parla al pubblico, è una sconfitta che fa meno male di quella in Australia. Allora il tarlo dei record, e di crollare sul traguardo come Dorando Pietri, lo divorava lentamente.
Ammetto e confesso, di aver scritto queste ultime fregnacce, al lavoro. Quindi, siate umani e non denunciatemi a Brunetta. Le manolate sulle nocche fanno male. E già temo i suoi occhi iniettati d'odio bovino.

lunedì 14 settembre 2009

US Open 2009 - Del Potro, tre schiaffi a Nadal, poi la favola di mamma Clijsters



Il satanasso travestito da Roger Rabbit incerottato, corre e arpiona l'ennesimo fendente disumano, e lo ributta dall'altra parte, carico di urticante top spin. E la torre di Tandil, mica si scompone. Non rimane impietrito a domandarsi come abbia potuto quell'ominide. Progetta e spara un alltra bordata radente. E se non basta, ne tira una terza, poi una quarta. Fino a sfondare il muro arrotante. La macchina sparapalle frullate si batte così, e Federer, che pure ha un gioco dieci volte più vario dell'argentino, non ci è quasi mai riuscito, rimanendo basito da tanta rozza impertinenza, ponendosi domande ascetiche.
Certo Nadal non era al meglio, dirà qualcuno, certo. Per sua stessa ammissione, ed a vista d'occhio, lo spagnolo corre come e più dello scorso anno. I limiti semmai, li palesa al servizio, causa il misteriosissimo infortunio addominale. Per il resto, a Juan Martin Del Potro sembra interessare poco. Incoccia le rotazioni forzute dell'avversario che è una bellezza. Schiaffi e frustate radenti, ora di rovescio a controbattere il dritto stretto incrociato, ora sassate di dritto in tutte le salse. E lo spagnolo non può che remare. Scacciato via come un fastidioso tafano. Se uno gioca così, o come Tsonga in Australia nel 2008, a Nadal non resta che remare a vita. Ha lo sguardo del pugile suonato. Fosse stato un incontro di boxe (e qui faccio la voce da Rino Tommasi), l'arbitro avrebbe interrotto il match alla fine del secondo set. Il dinoccolato argentino con la canotta, ha gli occhi ancor più taglienti, ed il braccio veloce come un pistolero del west. Periodico 6-2 per Giovan Martino, mezzo campanaro e mezzo killer spietato, e prima finale di uno slam, a completare una maturazione continua, che oramai lo consacra ai massimi livelli.
Nadal ha poco da rimproverarsi. Ero convinto potesse raggiungere i quarti di finale, come obiettivo massimo. Lui, causa sciagura Jo Tsonga, e l'imbarazzante (ma graditissimo agli organizzatori in affanno) “no mas” travestito da 6-0 subito da mano de piedra (e del quale non scrivo per decenza), raggiunge la semifinale. Più, non poteva. Gli hanno fatto perdere cinque chili, per preservargli le ginocchia. E infatti, nella corsa non paga quasi nulla. Ovviamente perde in esplosività. La coperta è corta, e se la matematica applicata alla medicina non è un opinione, questo Nadal dovrà abituarsi ad essere un ottimo giocatore, ma senza poter più raggiungere i livelli mostruosi degli ultimi due anni. Rimane l'evidenza, e quello che di inumano che è riuscito a fare negli ultimi anni. Un guerrigliero impavido, con la folle idea di assaltare la monarchia imbiancata. Riuscendoci, al costo di sfibrarsi con un tennis muscolare, da forzuto della racchetta, fino a condurre il monarca sulla soglia del neurodeliri. Sono moltissimi i giocatori che hanno cambiato, o si sono costruiti una seconda carriera, rassegnandosi e continuando a giocare malgrado problemi fisici irrisolvibili. Rimane una scelta forte, abbandonare, o conviverci, con ambizioni ridotte. Il maiorchino, mi trasformo in Nostradamus de noantri, sarà competitivo ai massimi livelli sulla terra, e fastidioso sull'erba truciolata. Altrove vale appena i primi dieci. Amen. Una prece all'impavido guerrigliero golpista. Se ne faranno magliette con l'effigie stilizzata.
Le streghe sdentate ed irridenti e la sagoma frenetica di Nadal, cominciavano già a preoccupare un poco la serenità mentale del monarca elvetico danzante. Sollevato dalla dipartita prematura, Roger Federer comincia la sua semifinale con Djokovic, in punta di piedi. Quasi qualcuno avesse osato interrompere il suo sonno ristoratore, per un impegno di siffatta inutilità. E come dargli torto. A tratti mi chiedo come possano due tennisti simili calcare lo stesso campo. Il divino ed ispirato Mozart, ed un suonatore di basso che non azzecca due accordi in fila, un Nureyev della recchetta che volteggia altezzoso e disarmante, ed uno sciancato, convinto di poter ballare all'Opera di Parigi. Questo e Federer-Djokovic. Lo svizzero vuole vincere col minimo sforzo, quasi tenendo la racchetta con tre dita. Ha gli occhi impastati di sonno, e l'espressione assai seccata. Quell'altro continua a tirare fondamentaloni compassati, scentra e sbaglia, sparacchia dirittacci orridi col corpo dall'altra parte, come una marionetta scoordinata. L'elvetico fluttuante lo lascia andare, gioca come il gatto col topo, poi spinge sull'acceleratore quando serve, servizi, dritti e colpi merlettati.
Va avanti due set, e Djokovic rema. Una discreta resistenza ed un match combattuto, ma è solo scena. Sugli spalti, Mirka deve essersi scofanata due piatti di fagioli con le cotiche, e contorno di trippa. Tutta felice batte le mani come una foca monaca. Novak salva una palla break che somiglia ad un match point. Nel sempre misurato angolo della Serbia, una fanciulla bionda, caruccia assai, schizza in piedi e forse in preda ad un embolo, strilla “Ajde!!!!”, con gli occhi fuori dalle orbite. Todd Martin, nuovo coach di Djokovic, è imbarazzato, ha lo sguardo basso. Quasi si chiede cosa ci faccia lì, assieme a dei miliziani inferociti. Forse rimpiange il suo ranch e le vacche da governare, animali parecchio intelligenti.
Il serbo ardimentoso, prova una loffietta corta, Roger la raggiunge, e quello prova ad irriderlo con un pallonetto. Il monarca in elegantissimo rosso-nero, aggancia il lob in corsa, e partorisce un passante vincente, con la pallina che gli passa sotto le gambe. Cos'altro aggiungere? Un altro dritto vincente in risposta, a chiudere i conti. Djokovic può ancora vincere uno slam. Se non partecipano Federer, Del Potro, Nadal, ectoplasma Murray, Tsonga, Petzschner, Giandoenico Tranfolanti...Federer in finale troverà un giocatore vero, non un concentrato di boria insipiente, come in semifinale. E per vincere deve aumentare i giri al motore. Perchè il bombardiere di Tandil, non è mica uno che medita troppo sulle cose.

Concluso il torneo delle donne. Affascinate come un riccio attaccato ai volgari ammennicoli. Ma si chiude come è giusto che sia. Mamma Kim Clijsters fa fuori anche la seconda Williams, ed in finale doma la bambolina di cera Caroline Wozniacki. La danese si rende conto come il suo intelligente pallettarismo difensivo, possa valere col rudimentale tennis alla roncola tumida della Wickmayer, non certo con una tennista esperta e completa come Kim. Che alla fine alza la coppa ed un pupetto dai riccioli biondi, il figlio. La belga, torna dopo due anni e mezzo ed una gravidanza, e come nulla fosse vince un torneo dello slam strameritato. Penso possa bastare per descrivere lo stato comatoso in cui versa il tennis femminile. Basti dire che Kim, unanimemente riconosciuta come la belga povera, quella dal talento centodue volte inferiore a Justine Henin, è riuscita a sbaragliare una concorrenza ridicola, appena rientrata. Mi domando, e forse non troverò risposte, se tornasse Justine. E se toccherebbe obbligarla a giocare con la mano sinistra, per rendere tutto un po' più interessante.
La belga ha costruito il succeso con un torneo regolare, fatto di buone prove di maturità (Bartoli e Venus battute soffrendo), e soprattutto con una grande semifinale contro Serena Tyson. Partita chiusasi in modo grottesco, ma non cruento come mi attendevo. Il primo fallo di piede del torneo fischiato all'americana, sul match point di una semifinale tiratissima. Qualcosa che avrebbe trasformato anche Stefan Edberg nel mostro di Rostov. Colpo di scena dovuto ad una giudicessa di linea occhialuta e dai tratti nipponici, che fedele alla sua indole kamikaze, rischia la vita con ardimentosa consapevolezza masochista. Forse per una inquadratura, o un titolo di giornale da tramandare ai nipoti, o semplice godimento nel rischio della morte pubblica, chi può dirlo. Ora l'immagine che io ho di Serena, dopo averla vita tirare un rovescio feroce, magari è distorta. Penso a lei come un'amante premurosa e con gli occhioni dolci, che dopo essersi concessa biblicamente al suo uomo, lo divora con furia e poi lo pilucca in tanti piccoli brandelli, come una mantide di 85kili. Ovvio che tema una morte più che cruenta dell'ignara e malcapitata giudice di linea kamikaze. Quella tremola tutta, passa i trenta secondi più duri della sua vita. Ma se la cava con qualche rassicurante e serafico “Io ti ammazzerò” della Tyson in gonnella. E mi viene in mente Alberto Fortis, col suo Vincenzo. L'arbitro, invece di apprezzare la moderazione inaspettata e lo scampato omicidio in mondovisione, infligge all'americana un penality point, e la partita finisce, con una Kim imbarazzatissima. Anche questa è Wta.

venerdì 11 settembre 2009

US Open 2009 - undicesima giornata - Cilic, l'Ivanisevic al contrario






Marian Cilic, a guardarlo, pare un triste suonatore di fado, in riva al mare, col tramonto che cala inesorabile e malinconico. Pensa a quale infimo senso possa avere la vita, e continua tra quelle note mortali. L'espressione cupa, i movimenti placidi da slavo atipico. Due giorni prima, aveva irriso il fine piano strategico del Napoleone di Scozia coi canini aguzzi, Andy Murray, apprendista campione. Lo aveva fatto saltare a suon di accelerazioni di dritto e servizi. Quasi irriso quell'altro, che vagava come un allocco con le piume bagnate, schiavo del suo stesso tennis alla ketamina. Andy monologava impotente, guardando gli spettri danzanti della sua stessa immagine, sollevava la coppa di uno slam al cielo e si puliva il culo con la mail della regina. Poi s'è svegliato ed aveva già perso. Marian è stato bravo a non farsi ingabbiare, a lui che è già un gibbone dormiente, il tennis soporifero degli strateghi scorre via sulla pelle.
Qualche impasticcato in crisi d'astinenza, ha visto in quel croato indolente nato nei nei paraggi di Medjugorje, l'erede tennistico di Goran Ivanisevic, indomabile cavallo pazzo di razza purissima, che sul calare di una carriera fatta di alti e bassi, bordate e amnesie, servizi e crisi di nervi, riuscì nell'impresa di afferrare la coppa di Wimbledon nel 2001, dopo averla sfiorata in finale altre quattro volte. Goran era mancino, Marian è destro. Il primo aveva l'aria da guascone smilzo, con negli occhi frenetici i chiari segni dell'inquietudine mentale. Una follia che l'afferavi con mano, lì-li per espoldere. E puntuale, fuoriusciva implacabile, sotto forma di una sfuriata verso se stesso e il mondo intero, a condire una sconfitta. Marian con la sua bella maglietta a quadri sulla pelle scura, i capelli arruffati, gli occhi vagamente storti e le sopracciglia folte ed unite, ha l'espressione del gigante buono dei cartoni animati. L'uomo più calmo ed inoffensivo del mondo, e quando esulta si traveste da paradosso vivente.
Cosa potranno avere in comune un talentuoso istrione schizoide, ed un timido ragazzo di buon talento? Forse l'impostazione di gioco ed i fondamentali, ma forse. Goran aveva il miglior servizio del circuito, forse il più insidioso della storia del tennis, e possedeva accelerazioni tanto incostanti, quanto devastanti, ad aggredire con ferocia brutale la rete. Anche Marian serve benissimo, colpisce duro col dritto, con una gradevole completezza di colpi, che raramente riesce a mostrare per una partita intera. Per il resto che rimane? Sono entrambi croati.
Dopo l'impresa con Murray quindi, il ventenne nato dove ogni tanto la madonna sorridente compare a salutare ed ammonire i pastorelli, era atteso alla prova del nove col temibile bombardiere di Tandil, Juan Martin Del Potro. E per un set e mezzo, il gigante buono prova a fare la stessa cosa, una demolizione paciosa. Alterna gran servizi, rovesci in slice coi rimbalzi bassi che mandano al manicomio l'allampanato argentino, per poi sfoderare dritti anomali poderosi, puntuali chiusure a rete. Visto così, sembra davvero un campioncino, Cilic. Ma poi, come accade spesso, finisce la benzina mentale. L'altro, che non è Murray, comincia a colpire duro sulla ferita. Il dinoccolato pistolero in canotta, mette in piazza tutto il repertorio furente, dritti che viaggiano come saette, gran servizi, e rovesci bimani di gran naturalezza. Marian, avanti 6-4 3-1, raccoglie tre games nel resto della partita. E torna ad ascoltare il fado in riva al mare.

Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.