Uno strabico sguardo sul
tennis. Stamani mi scopro empio e gnudo bruco. Debitore di qualcosa, verso il
mio vasto pubblico amante di ludiche cazzate. Di una dotta disamina
su Sara Tommasi, forse? No via, ci sarà tempo per sviscerare qui o in altri lidi
cosa sarebbe successo senza l’avvento dei tecnici. Avremmo avuto la
lucidissima, sobria e competente bocconiana al Ministero dell’Economia. Questo
è certo. Si sarebbe contesa la poltrona con l’altra prodiga, instancabile e
virtuosa bocconiana, Nicole Minetti. Altro che crisi, default e spread. Un paio
di boccagli elargiti a mummie sparse qui e là, e si volava fuori dalla crisi.
Dimenticate l’atroce scucchia pizzettata di “Aigor” Djokovic che gioca, scherza e lascia un set a Pablo Andujar, terricolo di seconda generazione, di quelli che hanno un gran servizio e colpi che fanno male (ma non ditelo ai terraioli italiani, che s’offendono). Ci sarà tempo prossimamente anche per ciancicare sui fastidi di un Federer che deve rimontare un set al martello pneumatico mancino Thomaz Bellucci. La vittoria finale se la giocheranno loro due, assieme al solito Nadal, con Del Potro e Nalbandian a fare da guastatori. L’uomo de gran panza, in particolare, magheggia da par suo rendendosi autore di una rimonta leggendaria su Tsonga, manco fosse Houdini. Non voglio nemmeno contar balle sul vecchio Tommy Haas, che come bibbia tennistica prescrive, nel caso in cui riesca a rimettere insieme i cocci di un fisico da reduce di guerra, un Seppi a caso se lo beve come un ovetto, nove volte su dieci. Ancora. A 34 anni, come a 42.
Il discorso sull’anzianità mi riporta di filato a Stoccolma. Il torneo dei veterani scorre via, non senza qualche sorpresa. Inatteso protagonista è il padrone di casa meno quotato, Magnus Larsson. Potente, e con una carriera alle spalle buona ma niente di più. Al più me lo ricordo giocare ad Amburgo un match circense contro un Noah istrionico quasi ex. Come spietato esecutore, Magnus giunge alla finale facendo fuori in serie Goran Ivanisevic, Wayne Ferreira e la leggendaria icona tennistica di Svezia, il ben più quotato Stefan Edberg, superato solo 10-8 al terzo. Ora in finale, per lui, la sagoma agitata di John McEnroe. Il 53enne genio folle che con zaino a tracolla e giovanile tutina grigia col cappuccio, lo scruta abbozzando un luciferino sorriso di paraculeggiante sarcasmo. E poi invita le sue 75enni supporters che esalano gracchianti risolini, ad ulteriore sostegno.
Il genio non ha nessun problema per stendere a suon di rasoiate, ricami e parabole deliranti i vari Pat Cash (ormai il pirata aussie se lo sogna anche di notte) e Michael Pernfors, mister smorzata e finalista di un Roland Rarros contro Ivan lendl. Ma il vero capolavoro che gli vale la finale, l’eroe americano, lo confeziona contro Thomas Muster. Thomas chi? Sì, proprio lui, il vecchio leone sdentato austriaco. Quel signore che a 44 anni, con barbetta incolta da Russel Crow e fisico gladiatorio, lo scorso anno ha giocato nel circuito professionistico mischiato a giovanotti di venti/venticinque anni più giovani. Tentativo non ancora del tutto esaurito, ma che gli ha portato due vittorie in un anno. Scrissi qualcosa qui, sul folle e comunque fascinosamente irrazionale tentativo. Perso in partenza. Mi sbilanciai sul triste destino che lo attendeva. Per quanto tirato a lucido, un ultra quarantenne tennista che basa il suo gioco sulla pressione martellante e sul fisico, finirà spesso per soccombere in modo irrimediabile, con un top 300 che ha la metà delle sue primavere. Non ci vuole certo una laurea in materia per comprendere come un tennista dai colpi più naturali e meno dispendiosi avrebbe avuto più possibilità. Nove volte su dieci, McEnroe anziano ha più chance di competere coi giovani, di un Borg o un Lendl. Così come Tommy Haas o Stepanek, rispetto ad un Robredo. Nalbandian o Federer rispetto a Ferrer o Nadal. E’ logica. E’ scienza applicata alla balistica tennistica che prova a spiegare cos’è il talento naturale. O cos’è una donna che sa ben aggiustarsi una gonna mentre accavalla le gambe, non ricordo.
Molto benissimo, allora. Ieri la prova evidente. Johnny Mac faccia a faccia con Thomas Muster sul parquet di Stoccolma. Ed è un dominio folle, esagerato. Solluccheroso show di marzapane, stelle cadenti, virulente cascate di meteore pazze e zuccheri filati. Bando ai nove anni di differenza, l’americano mette sul veloce tappeto scandinavo tutto il suo campionario di tennistiche delizie ancestrali. Ora rasoiate, ora stordenti tocchi. Piace ed entusiasma perché si vede lontano un miglio come non voglia rassegnarsi all’età che avanza. Arrogante come nessuno e con un ego levitante, grande quanto lo stato del Missouri. Ma allo stesso tempo ride di sé, creando un effetto comico. Trovatene un altro che racchiude queste grandezze. Mette una maglia verde iridescente, come quelle dei ragazzi. Per sentirsi ragazzo. Proprio lui che da ragazzo sgominò le incensate ed imbiancate mummie stantie del tennis. Thomas annaspa, rantola come felino ferito. I suoi colpi arrotati sembrano fermarsi nell’aere, fluttuare orrendamente e stopparsi come nell’ambiente impressurizzato di una navicella spaziale sulla luna. Colpi smussati simili ai canini ormai consunti di un leone anziano. La pallina frulla impazzita lasciando a John il tempo di aggredirla, come una belva che ha conservato intatta la sua artigliata. Un trionfo di stoccate volanti, carezze ed esultanze da leggenda. Si poteva sperare in un match equilibrato, addirittura una vittoria certo, ma un dominio simile alla vigilia appariva davvero troppo. John continua a seguire il servizio a rete, azzannandola quasi. Implacabile, in battuta, con quelle parabole mancine che sono storia di questo sport e che Muster (carente in risposta anche da giovane) nemmeno fa in tempo a vedere partire. Mettete insieme Seppi, Starace, Fognini, Volandri. Non arrivano al servizio del 53enne Mac.
Domina Supermac, ed alla fine stravince. Un sontuoso 6-2 6-2. Sorride compiaciuto, saluta il pubblico e si lancia in mirabolanti dichiarazioni. Una su tutte: “Ho giocato il mio miglior tennis degli ultimi 10 anni.”. Non male, non male. John McEnroe rimane qualcosa che non è tennis, ma sta sopra il tennis. Lo guarda dall’alto, ancora, racchiudendone ogni possibile concetto. Ed ora Larsson, una quindicina d’anni più giovane e quasi impossibile da battere.
Ma mai mettersi contro un genio, mai…
Post scriptum: "Mai mettersi contro il genio. Che in combattuta finale la spunta in tre set 6-3 3-6 10-7. Mai mettersi..."
Dimenticate l’atroce scucchia pizzettata di “Aigor” Djokovic che gioca, scherza e lascia un set a Pablo Andujar, terricolo di seconda generazione, di quelli che hanno un gran servizio e colpi che fanno male (ma non ditelo ai terraioli italiani, che s’offendono). Ci sarà tempo prossimamente anche per ciancicare sui fastidi di un Federer che deve rimontare un set al martello pneumatico mancino Thomaz Bellucci. La vittoria finale se la giocheranno loro due, assieme al solito Nadal, con Del Potro e Nalbandian a fare da guastatori. L’uomo de gran panza, in particolare, magheggia da par suo rendendosi autore di una rimonta leggendaria su Tsonga, manco fosse Houdini. Non voglio nemmeno contar balle sul vecchio Tommy Haas, che come bibbia tennistica prescrive, nel caso in cui riesca a rimettere insieme i cocci di un fisico da reduce di guerra, un Seppi a caso se lo beve come un ovetto, nove volte su dieci. Ancora. A 34 anni, come a 42.
Il discorso sull’anzianità mi riporta di filato a Stoccolma. Il torneo dei veterani scorre via, non senza qualche sorpresa. Inatteso protagonista è il padrone di casa meno quotato, Magnus Larsson. Potente, e con una carriera alle spalle buona ma niente di più. Al più me lo ricordo giocare ad Amburgo un match circense contro un Noah istrionico quasi ex. Come spietato esecutore, Magnus giunge alla finale facendo fuori in serie Goran Ivanisevic, Wayne Ferreira e la leggendaria icona tennistica di Svezia, il ben più quotato Stefan Edberg, superato solo 10-8 al terzo. Ora in finale, per lui, la sagoma agitata di John McEnroe. Il 53enne genio folle che con zaino a tracolla e giovanile tutina grigia col cappuccio, lo scruta abbozzando un luciferino sorriso di paraculeggiante sarcasmo. E poi invita le sue 75enni supporters che esalano gracchianti risolini, ad ulteriore sostegno.
Il genio non ha nessun problema per stendere a suon di rasoiate, ricami e parabole deliranti i vari Pat Cash (ormai il pirata aussie se lo sogna anche di notte) e Michael Pernfors, mister smorzata e finalista di un Roland Rarros contro Ivan lendl. Ma il vero capolavoro che gli vale la finale, l’eroe americano, lo confeziona contro Thomas Muster. Thomas chi? Sì, proprio lui, il vecchio leone sdentato austriaco. Quel signore che a 44 anni, con barbetta incolta da Russel Crow e fisico gladiatorio, lo scorso anno ha giocato nel circuito professionistico mischiato a giovanotti di venti/venticinque anni più giovani. Tentativo non ancora del tutto esaurito, ma che gli ha portato due vittorie in un anno. Scrissi qualcosa qui, sul folle e comunque fascinosamente irrazionale tentativo. Perso in partenza. Mi sbilanciai sul triste destino che lo attendeva. Per quanto tirato a lucido, un ultra quarantenne tennista che basa il suo gioco sulla pressione martellante e sul fisico, finirà spesso per soccombere in modo irrimediabile, con un top 300 che ha la metà delle sue primavere. Non ci vuole certo una laurea in materia per comprendere come un tennista dai colpi più naturali e meno dispendiosi avrebbe avuto più possibilità. Nove volte su dieci, McEnroe anziano ha più chance di competere coi giovani, di un Borg o un Lendl. Così come Tommy Haas o Stepanek, rispetto ad un Robredo. Nalbandian o Federer rispetto a Ferrer o Nadal. E’ logica. E’ scienza applicata alla balistica tennistica che prova a spiegare cos’è il talento naturale. O cos’è una donna che sa ben aggiustarsi una gonna mentre accavalla le gambe, non ricordo.
Molto benissimo, allora. Ieri la prova evidente. Johnny Mac faccia a faccia con Thomas Muster sul parquet di Stoccolma. Ed è un dominio folle, esagerato. Solluccheroso show di marzapane, stelle cadenti, virulente cascate di meteore pazze e zuccheri filati. Bando ai nove anni di differenza, l’americano mette sul veloce tappeto scandinavo tutto il suo campionario di tennistiche delizie ancestrali. Ora rasoiate, ora stordenti tocchi. Piace ed entusiasma perché si vede lontano un miglio come non voglia rassegnarsi all’età che avanza. Arrogante come nessuno e con un ego levitante, grande quanto lo stato del Missouri. Ma allo stesso tempo ride di sé, creando un effetto comico. Trovatene un altro che racchiude queste grandezze. Mette una maglia verde iridescente, come quelle dei ragazzi. Per sentirsi ragazzo. Proprio lui che da ragazzo sgominò le incensate ed imbiancate mummie stantie del tennis. Thomas annaspa, rantola come felino ferito. I suoi colpi arrotati sembrano fermarsi nell’aere, fluttuare orrendamente e stopparsi come nell’ambiente impressurizzato di una navicella spaziale sulla luna. Colpi smussati simili ai canini ormai consunti di un leone anziano. La pallina frulla impazzita lasciando a John il tempo di aggredirla, come una belva che ha conservato intatta la sua artigliata. Un trionfo di stoccate volanti, carezze ed esultanze da leggenda. Si poteva sperare in un match equilibrato, addirittura una vittoria certo, ma un dominio simile alla vigilia appariva davvero troppo. John continua a seguire il servizio a rete, azzannandola quasi. Implacabile, in battuta, con quelle parabole mancine che sono storia di questo sport e che Muster (carente in risposta anche da giovane) nemmeno fa in tempo a vedere partire. Mettete insieme Seppi, Starace, Fognini, Volandri. Non arrivano al servizio del 53enne Mac.
Domina Supermac, ed alla fine stravince. Un sontuoso 6-2 6-2. Sorride compiaciuto, saluta il pubblico e si lancia in mirabolanti dichiarazioni. Una su tutte: “Ho giocato il mio miglior tennis degli ultimi 10 anni.”. Non male, non male. John McEnroe rimane qualcosa che non è tennis, ma sta sopra il tennis. Lo guarda dall’alto, ancora, racchiudendone ogni possibile concetto. Ed ora Larsson, una quindicina d’anni più giovane e quasi impossibile da battere.
Ma mai mettersi contro un genio, mai…
Post scriptum: "Mai mettersi contro il genio. Che in combattuta finale la spunta in tre set 6-3 3-6 10-7. Mai mettersi..."
Ciao Pic,vorrei chiederti un opinione sul torneo di Miami:non essendo riuscito a seguire troppo attentamente le vicende californiane,ti chiedo come vedi il prossimo 1000,ancora Djokovic(che non credo consideri questi tornei come priorita' assolute,anzi)il favorito(anche se Indian e'ancora in corso)? Quali outsider potranno inserirsi(sperando sempre in Gulbis)? Aspettando una tua risposta, ti saluto. Angelo
RispondiEliminaSe scrivo del torneo di Stoccolma del "atpseniortour", significa che tanto-tanto...non l'ho seguito nemmeno io Indian Wells. Djokovic non lo considera come priorità assoluta? Un Masters1000? beh, nel caso sarà passato allo stadio di divinità superiore, allora. Tranne nelle trotterellate negli Atp500 tra gli emiri, per me ci tiene e come a vincere, sempre. Altro conto è se è in condizione di farlo. Per me, sì.
EliminaAncora Gulbis? mai dire mai nella vita, ma....siamo seri, ne ho scritto due o tre pezzi f a proposito del ritiro prospettato. Ormai il fastidio è diventato troppo per poterne ancora scrivere...
Ciao Angelo, alla prossima.