DAL VOSTRO INVIATO
ADDETTO ALLA DEMAZZATURA DEL “SERCIO”
Torno a casa stravolto
dalla calura e da una giornata di stressante lavoro come vice “demazzatore”. Trinciare
fine-fine il “sercio” su cui verrà gettata una colata di bitume, tribola le mie
meningi.
Il tempo di levare le scarpe e dare sollievo ai calcagni, che scorgo l’epocale notizia. Qualcosa da stropicciarsi gli occhi obnubilati. Richard Gasquet ha battuto in rimonta Andy Murray. Decido di stappare una bottiglia di vinaccia per festeggiare, mentre provo a rinvenire qualche filmato della storica impresa. Due secondi di numero, che vedo un’altra notizia folle: Seppi, l’Andreas nostro, è ingarellato da quasi tre ore con l’orrendo butterato di Svizzera Stanislas Wawrinka. Privo del canonico buscopan per farmi passare le convulsioni allo stomaco e gli incipienti conati di vomito, accetto la sfida di guardare uno dei due/tre tennisti più noiosi della storia tennistica dall’epoca dei pantaloni alla zuava. Solo casualmente, italiano.
L’immagine che mi trovo innanzi agli occhi è di folle delirio surreale. Il “Pietrangeli” freme, chiassoso e ribollente, per l’impavido eroe al centro dell’arena. Il combattente bolzanino ha la faccia tipica del brucante gladiatore morto. Di un pallore lunare, e con sguardo completamente assente a se stesso. Sono al tiebreak decisivo, il terzo di un match che presumo orrendamente tirato. Pare, voci che mi giungono frammentarie, che il felino caldarense sia stato capace di un ritorno furente, da 2-5 sotto ed annullando addirittura tre match point. Azzardo sfarfallati dall’avversario, ma si sa, il pregiudizio è duro a morire. Attorno urlano, sbraitano e fischiano come a richiamare riottosi ovini fuggiaschi dal gregge, con gli occhi striati di sangue marcio. Manca il must “devi morire”, ma il senso è quello. Lo svizzero non è mai stato fulgido esempio di simpatia o correttezza, ma gli fanno scontare anche una malsana voglia di voler vincere. Addirittura. E lui, il nostro guerrigliero tirolese inneggiato dalla folla impazzita, scruta i pini come a vedere le rondinelle amoreggianti inebriarsi in sconci rapporti sodomitici.
L’elvetico sembra in preda a mortali convulsioni, con l’occhio appallato ed i brufoli divenuti d’un rosso accesso. L'italico soldatino deve averlo mandato al manicomio, nel solito schema da funambolo: Dementi palle morte, piatte e smunte, a ribattere lemme-lemme ogni belluino fendente dello svizzerotto arrembante. Un tragico muro specchiato che rimanda al destinatario la qualsivoglia. Andreas inizia bene nel tiebreak decisivo, poi per un attimo torna quel canonico regolarista falloso che il mondo ha imparato ad apprezzare. Due o tre colpi sbilenchi che lanciano Stan sul 6-3, con altri tre match point. Ovviamente li divora col fare dell’allocco in calore facendo rientrare l'italiano sul 6-6.
L’atmosfera del “Pietrangeli” diviene incandescente. Una bolgia dantesca. O, visto che siamo in loco, un Colosseo che anela sangue e morte, col pollice verso. Guardo il gladiatore che sta per squartare a morte la tigre. E’ bianco come un lenzuolo lavato con la varechina. Si guarda attorno. Osserva le fiere selvatiche sugli spalti che con la bava alla bocca gli domandano un solo altro punto. Lui con l’espressione di un Troisi bolzanino pare faccia “sì-sì, ho capito…mo’ me lo scrivo”. Ed intimamente si domanderà cosa diavolo vogliano da lui. Eccolo lo storico match point, in uno schema che, azzardo, sarà stato il canovaccio di tre ore. Wawrinka alla disperata ricerca di sfondare lo strenuo muro dei monti atesini, e l'altro in virtuosa e soprifera difesa senza peso. Stan va fuori giri anche nell’ultimo e decisivo punto consegnando il trionfo dell’atesino istrione, sregolato genio al lexotan che seppe trovare temperanza e rinnovata solidità. Ha ammirevolmente lavorato, e si vede. In primis sul servizio, colpo fondamentale nel tennis moderno. Perché se hai un servizio che funziona, giochi anche più tranquillo. Forse è questo il clamoroso salto di qualità: non spegnersi più come candela al vento, ma riuscire ad essere solida macchinetta da tennis. Noiosa come la morte, ma solida. Tanto può bastare per avvicinare i top 20, e magari batterne qualcuno.
Per il resto, il torneo allinea dei quarti di finale maschile di grandissimo livello. Tutti i protagonisti vanno avanti senza problemi. Qualche dubbio lo lascia Djokovic, sbiadita copia dell’invasato mostro della laguna dello scorso anno. Bei quarti anche tra le donne, con una Flavia Pennetta in grandissimo spolvero chiamata alla grande impresa contro Serena Williams. Impresa? Ma quando mai. Ascolti il tricologicamente ribelle Barazzutto nella tv federale e quello ci confida quanto “Flavia se la giocherà alla pari. Anche perché la terra è la sua superficie preferita.”. Sentito questo, uno torna fieramente alla sua attività di demazzatore.
Il tempo di levare le scarpe e dare sollievo ai calcagni, che scorgo l’epocale notizia. Qualcosa da stropicciarsi gli occhi obnubilati. Richard Gasquet ha battuto in rimonta Andy Murray. Decido di stappare una bottiglia di vinaccia per festeggiare, mentre provo a rinvenire qualche filmato della storica impresa. Due secondi di numero, che vedo un’altra notizia folle: Seppi, l’Andreas nostro, è ingarellato da quasi tre ore con l’orrendo butterato di Svizzera Stanislas Wawrinka. Privo del canonico buscopan per farmi passare le convulsioni allo stomaco e gli incipienti conati di vomito, accetto la sfida di guardare uno dei due/tre tennisti più noiosi della storia tennistica dall’epoca dei pantaloni alla zuava. Solo casualmente, italiano.
L’immagine che mi trovo innanzi agli occhi è di folle delirio surreale. Il “Pietrangeli” freme, chiassoso e ribollente, per l’impavido eroe al centro dell’arena. Il combattente bolzanino ha la faccia tipica del brucante gladiatore morto. Di un pallore lunare, e con sguardo completamente assente a se stesso. Sono al tiebreak decisivo, il terzo di un match che presumo orrendamente tirato. Pare, voci che mi giungono frammentarie, che il felino caldarense sia stato capace di un ritorno furente, da 2-5 sotto ed annullando addirittura tre match point. Azzardo sfarfallati dall’avversario, ma si sa, il pregiudizio è duro a morire. Attorno urlano, sbraitano e fischiano come a richiamare riottosi ovini fuggiaschi dal gregge, con gli occhi striati di sangue marcio. Manca il must “devi morire”, ma il senso è quello. Lo svizzero non è mai stato fulgido esempio di simpatia o correttezza, ma gli fanno scontare anche una malsana voglia di voler vincere. Addirittura. E lui, il nostro guerrigliero tirolese inneggiato dalla folla impazzita, scruta i pini come a vedere le rondinelle amoreggianti inebriarsi in sconci rapporti sodomitici.
L’elvetico sembra in preda a mortali convulsioni, con l’occhio appallato ed i brufoli divenuti d’un rosso accesso. L'italico soldatino deve averlo mandato al manicomio, nel solito schema da funambolo: Dementi palle morte, piatte e smunte, a ribattere lemme-lemme ogni belluino fendente dello svizzerotto arrembante. Un tragico muro specchiato che rimanda al destinatario la qualsivoglia. Andreas inizia bene nel tiebreak decisivo, poi per un attimo torna quel canonico regolarista falloso che il mondo ha imparato ad apprezzare. Due o tre colpi sbilenchi che lanciano Stan sul 6-3, con altri tre match point. Ovviamente li divora col fare dell’allocco in calore facendo rientrare l'italiano sul 6-6.
L’atmosfera del “Pietrangeli” diviene incandescente. Una bolgia dantesca. O, visto che siamo in loco, un Colosseo che anela sangue e morte, col pollice verso. Guardo il gladiatore che sta per squartare a morte la tigre. E’ bianco come un lenzuolo lavato con la varechina. Si guarda attorno. Osserva le fiere selvatiche sugli spalti che con la bava alla bocca gli domandano un solo altro punto. Lui con l’espressione di un Troisi bolzanino pare faccia “sì-sì, ho capito…mo’ me lo scrivo”. Ed intimamente si domanderà cosa diavolo vogliano da lui. Eccolo lo storico match point, in uno schema che, azzardo, sarà stato il canovaccio di tre ore. Wawrinka alla disperata ricerca di sfondare lo strenuo muro dei monti atesini, e l'altro in virtuosa e soprifera difesa senza peso. Stan va fuori giri anche nell’ultimo e decisivo punto consegnando il trionfo dell’atesino istrione, sregolato genio al lexotan che seppe trovare temperanza e rinnovata solidità. Ha ammirevolmente lavorato, e si vede. In primis sul servizio, colpo fondamentale nel tennis moderno. Perché se hai un servizio che funziona, giochi anche più tranquillo. Forse è questo il clamoroso salto di qualità: non spegnersi più come candela al vento, ma riuscire ad essere solida macchinetta da tennis. Noiosa come la morte, ma solida. Tanto può bastare per avvicinare i top 20, e magari batterne qualcuno.
Per il resto, il torneo allinea dei quarti di finale maschile di grandissimo livello. Tutti i protagonisti vanno avanti senza problemi. Qualche dubbio lo lascia Djokovic, sbiadita copia dell’invasato mostro della laguna dello scorso anno. Bei quarti anche tra le donne, con una Flavia Pennetta in grandissimo spolvero chiamata alla grande impresa contro Serena Williams. Impresa? Ma quando mai. Ascolti il tricologicamente ribelle Barazzutto nella tv federale e quello ci confida quanto “Flavia se la giocherà alla pari. Anche perché la terra è la sua superficie preferita.”. Sentito questo, uno torna fieramente alla sua attività di demazzatore.
ho visto qualche scambio e mi sembrava di vedere una partita di altri tempi(per la velocità degli scambi) eccetto per la qualita del gioco.
RispondiEliminamarco
Da quello che ho visto io, e per quanto si possa capire da una sintesi...il ritmo era basso. E la palla di Seppi viaggia a velocità ridotta. Wawrinka ha un bel braccio e colpi con cui poter abbattere il Seppi solito. All'italiano va però dato atto d'esser migliorato molto, rispetto al passato. Pur nel suo tennis, è più solido, sbaglia meno, serve molto meglio.
RispondiEliminaCiao, a presto.