Travolti da un insolito destino, Nick&Nole, al calar delle tenebre australiane, si ritrovano in contemporanea ad affrontare i rispettivi demoni tennistitici nel loro primo turno. Un duo da prima pagina. La coppia dell'estate, novelli Micheal e Johnson Righeira o una coppia di wrestler anni '90 tra quelli non ancora arruolati dall'amministrazione Trump come ministri della cultura o degli esteri. O ancora, più banalmente, scemo+scemo. Un'affinità elettiva già palesata lo scorso anno e cementificata negli ultimi giorni, con tanto di rutilanti sketch, adolescenziali rossori per vicendevoli complimenti, persino un doppio intriso di goliardia, esultanze cringe e colpi circensi da far impallidire Bahrami-Leconte 60enni in un match tra vecchie glorie con la gotta. Cosa abbia spinto il novax serbo a improvvisarsi domatore del terrapiat-tennista influencer australiano, dio solo lo sa. L'effetto è accattivante, ma solo gli ingenui sognatori non colgono le sfumature del connubio tra uno babbeo autentico e uno che gioca a farlo, credendosi molto arguto, tra un clown naturale e un finto giullare.
Ritornando al campo, Nole ha i soliti patemi da inizio slam. Freno a mano tirato e un set e mezzo concesso a un giovane sparring americano di origini indiane dal nome inpronunciabile (Base...qualcosa), prima di dilagare. Più che il pur promettente avversario, sono altri i pensieri che si accavalleranno da mesi nella sua mente. La consapevolezza di essere rimasto l'ultimo immortale dei Fab Four. Il più forte, ma non il più grande. Non deve essere stato facile per lui provare a farsi amare, inventarsi tragici sketch e fare battute fasulle, mentre il pubblico adorava gli altri due, superiori per carisma, autenticità e un tennis più gradevole. Ora che quei satanassi hanno smesso si ritrova a 37 anni ancora competitivo, capace di battaglie strabilianti come nella finale olimpica con Alcaraz, ma intimamente consapevole che per battere i nuovi virgulti serva un quasi miracolo. Come non bastasse, nell'annuale classifica del più amato dal pubblico di tutto il mondo, anche ora che non può perdere più da Federer e Nadal, è battuto da Sinner. Il tutto malgrado il caso Clostebol che avrebbe offuscato l'immagine dell'Italiano. Ecco quindi che la surreale liason con Kyrgios, il più feroce contestatore ed autonominatosi arci-nemico dell'italiano, appare sinistra. Sullo scottante caso doping, al di là di frasi di circostanza degne della corrente forlaniana della Dc, mostrandosi così complice di chi da mesi sta insultando l'italiano con una incontinenza verbale delirante (al di là del merito della questione), altro non fa che palesare la sua posizione. In modo indiretto, e un po' meschino. Djokovic usa Kyrgios per dire quello che non può dire. Ed è troppo esperto per non saperlo. Il tutto con la non secondaria finalità (temo per lui vana) di destabilizzare Sinner. Perché, in fondo, Djokovic crede ancora di poter vincere uno slam, ed ogni minimo dettaglio non va trascurato.
E il povero Nick? Lotta e sbuffa, ciondolante e malconcio. Pensava di poter aizzare il pubblico e battere Sinner nella bolgia del centrale, invece si ritrova ad esaltarsi per un goffo tweener, sotto di due set contro il numero 92 al mondo. Il dubbio di essere "l'utile idiota" di Nole non lo sfiora nemmeno, mentre nella sua mente, oltre a due mosquitos agonizzanti, si fa largo un ben più lacerante sospetto: forse il tennis, con le sue malvagie regole, non fa più per me. Sotto di due set e un break nel terzo, in un moto d'orgoglio, si riprende il break. Caracolla nella consueta canotta tamarra sopra la t-shirt, si tocca per la duemilaseicentotrentaduesima volta l'addome dolente, fa smorfie da martirio, apre il frigo bar e si stappa quella che dovrebbe essere una lattina di birra doppio malto. Poi si siede con lo sguardo perso nel vuoto, pensando a quanto era più comoda la vita nei mesi scorsi. Sveglia alle 12,40. Saluto alla fidanzata di turno di cui ha dimenticato il nome, un paio di birre a colazione, tweet al vetriolo contro Sinner, allenamento di 20 minuti (a mini basket). Altro birrone, foto instagram da bimbominchia e insulti agli haters. Un paio di sigarette, altro tweet e catfight con Tomic che, dopo aver perso al primo turno in un prestigioso Itf messicano contro un narcos boliviano numero 1376 al mondo, lo sfida a Wimbledon. Lui si fa un'altra birra, si dà colpi in testa e twitta accettando la sfida, ma a cazzottate. Poi divora due hot dog. Fa una meritata siesta. Altra seduta di allenamento a burraco. Tik tok e nuotata. Messaggino coi cuori a Djokovic, prima di una notturna invettiva onlyfans contro il demonio Sinner che si inietterebbe chili di testosterone e per quel motivo gli stanno spuntando i baffetti. Finalmente arriva la cassa di birra e nella notte può vedersi in santa pace i Cetics.
Il tennis, purtroppo, è altra cosa. Lo dico con la tristezza di chi in passato si era divertito con le sue selvatiche evoluzioni tennistiche, considerandole anarchica variazione su temi molto spesso noiosi. Ma così ridotto, non ha senso. Se ne sta accorgendo anche lui, messo al tappeto dai colpi normali di un tennista normale come Fearnley. Come non bastassero i 18 mesi lontano dai campi, un malanno ai muscoli addominali lo limita ulteriormente, rendendo il match una crudele esecuzione. Qualche bel colpo da fermo, senza gambe, senza criterio, nel nulla. Cede in tre set, sipario. Forse la triste fine di una scheggia impazzita del tennis ormai diventato influencer del web, schiavo del politicamente scorretto, che usato in modo compulsivo e gratuito sta sfociando nel patetico. Magari avrebbe bisogno di qualcuno che glielo dica, invece di servirsene come nelle "cene col cretino". Ah, quasi dimenticavo. Djokovic, dopo un set e mezzo con sofferenza da attore consumato, tira due urlacci per caricarsi come Hulk Hogan e fila via liscio al secondo turno.
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