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lunedì 24 marzo 2025

PTPA, il Golpe marrone

 





La scorsa notte, dopo aver ingerito forti dosi di peperoni verdi fritti, ho avuto un incubo: anno 2045, Novak Djokovic appena eletto presidente della Serbia per acclamazione popolare, ha invaso militarmente l'Italia. Nobile obiettivo del neo Presidente, è bonificare il Trentino da sacche di nazismo e riportare quei territori alla democrazia. La guerra divampa, inesorabile. In Italia Giancarlo Magalli è al secondo mandato come Premier, dopo aver battuto Fabrizio Corona con un televoto flash. Una vittoria inattesa, malgrado l'endorsement del Re dell'Universo Elon Musk verso l'ex paparazzo. Grandi polemiche interne, ricorsi e l'accusa che Signorini abbia lanciato il televoto quando gran parte dell'elettorato di Corona non poteva più votare, in quanto nei manicomi le tv erano spente. Il governo Magalli ha da poco giurato nelle mani del Presidente della Repubblica Cristiano Malgioglio, ma si trova a dover fronteggiare una guerra sanguinosa. Nel paese vibrano le proteste dei pacifisti, chiedendogli la resa. "Arrendiamoci alla pace!", lo slogan dei manifestanti scesi in piazza. Immediata la convocazione dello Z5, che ha sostituito il G8. Kim Jong-Un, il quasi centenario Trump, l'ologramma di Putin creato con l'intelligenza artificiale, Xi e Orban presidente della Nuova Europa Putina, affrontano la situazione. I rappresentanti del nuovo ordine democratico mondiale chiedono l'immediato cessate il fuoco. Che Magalli ponga fine a questa carneficina, arrendendosi alla pacifica invasione serba. Anche il Papa Michail Santorov I, dalla sua residenza di San Pietroburgo vestito in una elegantissima tunica rossa con falce e martello, invoca pace e disarmo: "Bisogna fermare questo pazzo provocatore di Magalli! Basta con la scusa di farsi invadere per poi fare la guerra! L'Italia è sempre stata Serba! I bambini muorono!". "Per la sete di potere ci porterà alla quinta guerra mondiale!", gli fanno eco i cardinali Vauro e Orsini. Il 102enne Magalli, nuovo baluardo della sinistra riformista ed europeista, non può che accettare la resa offertagli da Trump, che si guadagnerà il Nobel alla pace (tra lui e Putin ogni anno va in scena una lotta simile a quella Messi-Ronaldo per il Pallone d'Oro): l'Italia cadrà in mano serba, tranne la Sicilia che andrà a Trump come ricompensa per il lodevole impegno profuso e la Sardegna a Putin, che gli piace assai il pane carasau.

Ma nel sogno, anche il tennis vive anni di luminosa rinascita. Djokovic, malgrado gli impegni politici, non ha certo smesso di giocare. Anzi, si appresta a chiudere per il ventesimo anno consecutivo al numero uno della PTPA. La nuova organizzazione del tennis, da esso stesso creata, che ha spazzato via Atp e Wta dando nuovo slancio a questo sport in disarmo. Malgrado i 58 anni, Nole si dice intenzionato a vincere il suo 160esimo slam in carriera. Ha ovviamente ottenuto l'assegnazione a tavolino di tutti quelli vinti illecitamente dagli affiliati al criminale "cartello" dell'Atp, un covo di corruzione e malaffare. Si mantiene in forma smagliante restando recluso in un sarcofago a -20 gradi per 16 ore al giorno, ottenendo uno sbalorditivo ringiovanimento cellulare. Al punto di chiedere e ottenre dalla OMS (presieduta da Helmut Mengele, nipote di Josef, e da Krusty il clown) la modifica della sua età biologica, portandola a 19. Nole è assai contento di come si sia evoluto il tennis, finalmente unito dalla PTPA. Pochi impegni, solo quattro slam disputati in Serbia con tabellone a 4: Djokovic, il sempre verde Kyrgios, Tennys Sandgren (riabilitato no vax trumpiano per anni vittima di ostracismo e voci strane che lo volevano un po' più a destra dei nazisti dell'Illinois) e poi una wild card da elargire con sorteggione a un terrapiattista del tik tok. Musk sta programmando anche un Master di fine anno da disputarsi su Marte, e pare che Kim Jong-Un abbia chiesto una wild card, pronto a deliziarci coi suoi slice. Il resto, solo esibizioni itineranti tenute sotto un tendone da circo, ben remunerate dall'arcimiliardario Presidente della PTPA, un trumpiano di ferro che aveva fatto mirabilie col Wrestling. Nole con le sue trascinanti imitazioni e il funambolico Nick con imbuto in testa, dente cariato e un batuffolo nella narice, danno vita a rutilanti doppi contro due volleanti scimpanzè. Mandano in visibilio il pubblico pagante. Non si aspetta altro che il momento clou: quando il serbo si fa cavare le pulci sul testone da uno dei due scimpanzè e Nick si accende una scorreggia con l'accendino e consueta espressione intelligente. Sono lontanissimi i tempi in cui il tennis era diviso, pieno di corruzione e favoritismi. I tennisti sfruttati e malpagati come operai dell'Italsider. Ora finalmente vige unità, meritocrazia e democrazia di tinanio. Anche tra le donne, non manca lo spettacolo. La talentuosissima Arina Rodionova fa man bassa di titoli slam, spesso fustigando l'unica rivale in tabellone: Nicoletta Kyrgios che altri non è che quel buontempone di Nick in parrucca bionda, vezzosa gonnellina plissettata e conturbante top in pizzo. Qualcuno poi, si chiederà che fine avranno fatto i vecchi tennisti. La scure della democrazia e della PTPA si è abbattuta su di loro, inflessibile. Pene esemplari, commisurate al rapporto che essi avevano avuto col delinquenziale "cartello" dell'Atp/Wta. Si va dal semplice ritiro di titoli e premi, all'arresto, il confino, la reclusione in manicomi, fino alla pena capitale nei casi di complicità più grave col cartello o abuso di vittorie su Nole. Sinner e Alcaraz vivono in esilio, e ogni tanto si vedono in icognito per giocare a Pinckleball. Rune è stato arrestato e rinchiuso in un manicomio navale di Copenaghen dopo che la polizia PTPA l'ha catturato mentre giocava a ping pong con Mats Wilander. In casa hanno rinvenuto anche materiale compromettente, firmato Louis Vuitton, che potrebbe costargli la fucilazione.

Poi mi sono svegliato, ed era solo un sogno sciocco. Come ho potuto sognare che Magalli diventasse premier?




lunedì 17 marzo 2025

Pagellone Indian Wells, Mirra Andreeva a star is born. Jack Draper, forse






Nella Neverland del tennis a Indian Wells, in pieno deserto, va in scena il "Quinto slam". Un appasionante torneo in cui i protagonisti sembrano squilibrati tamburellisti alla rincorsa di palline che rimbalzano altissime sul cemento sabbioso, spostate da refoloni mostruosi di vento desertico. Viva gli Internazionali di Roma, anche se i campi si stanno sgretolando, i tennisti devono pagarsi il biglietto del 492 sbarrato e si cambiano in promiscue baracche arrugginite, non hanno acqua per lavarsi, etc.

Stante l'arcinota assenza del numero uno Sinner (i cui adepti, ululanti come le vedove di Timbuctù, si sono prodigati in riti sciamanici contro tutti i nemici del nostro, e del popolo), qui era di casa Carlos Alcaraz (5). Spagnolo favoritissimo ma, a causa dei feroci riti dei carotas o perché continua impunemente a sfarfalleggiare, cade sulla buccia di banana di Jack Draper. Carlitos è un caso che molti evitano di trattare. Il regresso rispetto al passato a me sembra clamoroso. Fisicamente è lo stesso, la mano e il talento sono sempre formidabili, ma tatticamente non ha portato molto in più rispetto a quando è esploso ancora teenager. Le amnesie mi sembrano aumentate, e l'agonismo miseramente affievolito. A tratti gioca come un Bublik che finge di essere grintoso. Dopo attenta analisi tecnico-tattica-psicologica, sono arrivato alla conclusione che l'adorato cabezon potrebbe essersi imbattuto nel terrificante e disumano mostro che mina sicurezze, indebolisce e devasta tutto ciò che gli capita a tiro, e alla lunga tende ridurti allo stato larvale: la figa. (P.s se una delle lodevoli lottatrici contro il patriarcato leggesse, chiedo venia: era una battuta).

Jack Draper (8). La settimana da Dio di Jack Draper. Il ragazzo bello come un attore di fiction adolescenziali, educato, che ogni mamma vorrebbe dare in sposo alle proprie figlie tossiche, mette in fila Fonseca, Fritz, Shelton, Alcaraz e Rune, infilzati con la sua acuminata lama mancina. A dispetto del proverbiale carisma da barbabietola, il suo tennis d'attacco è sempre godibile e più robusto rispetto al passato. Se sia un bagliore casuale o la nascita di una nuova stella ai livelli più alti, ce lo diranno i prossimi mesi.

Holger Rune (7). Malgrado una mattanza cruenta nella finale con Draper (mai iniziata), può uscire soddisfatto dal torneo, tornando ai livelli che gli competono. Ha talento (meno di Alcaraz), è potente (ma meno di Sinner), è odiato (ma molto meno di Medvedev), però si candida per essere terzo o quarto incomodo. 


Danilo Medvedev 7
. Come si fa a non adorarlo. Sua la cosa più bella del torneo: si gioca l'accesso alla semifinale con il rampante pollo da combattimento Fils (0-). Una battaglia punto a punto, con il russo che prova ad arginare l'impeto dell'iper eccitato pestatore francese. Sopporta le sguaiate esultanze del galletto, le urla ridicole, l'atteggiarsi a gladiatore del Colosseo. Sbadiglia, si gratta il culo. Rintuzza le bordate Arthur come un gattaccio spelacchiato attaccato ai suoi maroni, si gratta il culo di nuovo, annaspa simile a una pertica storta in balia dei mulinelli di vento desertico. Tollera ancora pazientemente altre urla belluine di Fils e quegli inverecondi pugni roteanti sull'errore dell'avversario. San Danilo accetta ghandianamente anche che l'altro chieda (ridendo) un Mto avanti 6-5 al terzo, perché una caccola nel naso gli dà fastidio. Lui non fa un piego. Con lo sguardo perso nel vuoto, cova la sottile vendetta del genio. Non perde la testa, serve quattro bombe e poi nel tiebreak arriva a match point. Nastro fortunato ed esultanza folle mai vista prima, nemmeno dopo aver vinto uno slam: saltella giulivo come un pupazzo di gomma con le molle sotto i tacchi, gli occhi da pazzo e i radi capelli scomposti, in faccia all'insopportabile avversario. Tranne poi ricomporsi in un nano secondo, fare la finta espressione contrita e scusarsi: "Sorry, non dovevo esultare così". L'altro frantuma la racchetta. Artista vero. Clonatelo. Perde in semifinale da Rune, ma sta tornando.





Tra le donne, Mirra, fortissimamente, Mirra Andreeva (9). Dopo l'exploit a Dubai, la ragazzina siberiana conferma a Indian Wells la sua candidatura ad essere numero uno assoluta dei prossimi anni. E lo fa mettendo in riga le due ammorbanti dominatrici di cartapesta degli ultimi anni: robottino Swiatek mandata in tilt con variazioni e angoli, la pachidermica Sabalenka, senza strafare, alternando colpi con saggezza da veterana e aspettando che l'altra sbarellasse come da copione. Sciorina colpi puliti, mai banali o uguali, facendo un decimo di fatica rispetto alla forzuta bielorussa. Ben diretta da Conchita Martinez, la diciassettenne sembra già non avere punti deboli.

Sabalenka (5). Parsa in palla fino alla finale, che è l'essesima esibizione da galleria dell'orrore. Urla disumane da scaricatore di porto coi peli irsuti sulle spalle, roncolate furiose, moine, faccette cretine, smorfie, solite battute da "simpatica per forza" nel post partita. Mandata al manicomio da Mirra, che la sposta senza gru, la cucina a puntino, e la stende. Più che una tigre, un elefante. Non fosse che l'elefante, animale intelligentissimo, avrebbe abbozzato una qualche strategia.

Swiatek (2). Già detto in tempi non sospetti: la polacca è una bomba ad orologeria. Il suo modo ansiogeno, ossessivo e compulsivo, di stare in campo, mi mette a disagio. Fa paura. Perde come spesso succede, in lotta, se trova un'avversaria che non le faccia giocare palle sempre uguali. E fin qui niente di strano. Agghiacciante invece è la sua improvvisa esplosione d'ira, con pallina volontariamente scagliata su un raccattapalle. L'avessero fatto McEnroe o Connors, sarebbero stati squalificati per mesi. L'avesse fatto Moutet: radiato a vita. Qualcuno faccia qualcosa. Ormai è pericolosa per se stessa e per gli altri.




venerdì 7 marzo 2025

Nick Kyrgios, perché?

 





Un ritorno attesissimo dai più grandi feticisti, onanisti, malati mentali del pianeta. Me compreso, ovviamente. Colto da sadica morbosità, ho infatti puntato la sveglia alle 4 di notte per assistere all'esordio di Nick Kyrgios ad Indian Wells. Di questo almeno non dovrò rendere conto al mio psicologo, perché la sveglia ha suonato ma ho continuato a dormire. Le premesse lasciavano presagire già tutto. Immagini di Nick lagrimante, che stringeva il polso malconcio e abbandona l'allenamento. Già, perché ora vorrebbe allenarsi. E allora, una domanda mi è sorta spontanea. Perché Nick? Ad ogni modo, l'avversario sembrava l'ideale attore non protagonista della prevedibilissima scaneggiata austro-napoletana del dolore: Botis Van de Zandschulp. L'uomo più buono del mondo. Uno che gioca anche un bel tennis, con l'agonismo di un raccoglitore di margheritine da campo, e con cui è impossibile litigare o fare polemiche. Che avrebbe abbracciato fraternamente anche Crazy Dani Koellerer intento a spegnergli una sigaretta sulla mano col ghigno mefistofelico. Insomma, l'orange era sparring ideale per il teatro di Kyrgios, prima della scontata vittoria per k.o.tecnico. E così è stato. Per quasi un'ora Kyrgios esprime il suo solito bel tennis insensato. Botte, fulmini e saette, nella più assoluta assenza di costrutto tattico e condizione fisica da torneo di rutti. Tanto veloce di braccio, quanto pigro e impresentabile di gambe. E lì il polso c'entra poco. Anarchia virulenta, condita da smorfie di sofferenza, in un dolente trascinarsi da via crucis. L'olandese imperturbabile, col consueto atteggiamento di chi si trova lì per caso, porta a casa il primo set e scappa nel terzo, mentre l'altro arranca. Fino a dove si spingerà? Vorrà fingere di morire in campo, per amore del tanto detestato tennis? La cosa servirà a qualcuno? Farà piacere, emozionerà il pubblico? Sono scene già viste in Australia, ormai hanno perso anche un barlume di pathos. Sai già come andrà a finire, col australiano che piange inconsolabile sulla seggiola dopo il ritiro. Perché l'ostinazione di tristi, malinconiche passerelle strappalacrime? Perché voler trasformare tutto in patetico, dai dissing social, fino al tennis giocato? Ormai si è capito, purtroppo: il suo polso si è rotto in modo gravissimo e, pur ricostruito, non gli consente più di essere competitivo a buoni livelli. O almeno di farlo senza soffrire. Urge quindi una qualsiasi decisione. Fermarsi fino a quando non sarà a posto. O, ahinoi che amiamo le schegge impazzite, in modo definitivo, riciclandosi come influencer a tempo pieno. Non siamo preparati ad una stagione di melense comparsate come svago dai social. 

E allora torno alla quintessenziale domanda: Perché Nick? Perché accanirsi sul tennis, sul proprio corpo martoriato, sulla sensibilità dello spettatore? È tutto spettacolo, ok. Ma uno spettacolo ormai prevedibile e triste, senza via di uscita. L'unica risposta sensata che mi viene in mente, fa riferimento proprio al suo essere. È la degna conclusione di un personaggio controverso, che ha fatto del paradosso il suo stile di vita. Per indole e, a volte, in modo artificioso. Un decennio da professionista farcito da grandi match e buchi neri, memorabili battaglie coi fab four, alcune addirittura vincenti. Grazie ad un ego smisurato, pur nell'anarchia sconsiderata del suo tennis, o forse anche grazie a quella, era uno dei pochi a saperli impensierire. Però finiva lì. Non avrebbe mai potuto diventare un numero uno. Non aveva la testa da numero uno, la voglia di soffrire ed allenarsi, da numero uno. Odiava il tennis, giocava perché costretto. Fiero e spavaldo, lo ripeteva ad ogni piè sospinto. Amava invece il basket, fosse per lui avrebbe giocato sempre in tenuta Nba. E allora perché invece ora, che il suo fisico non è più in grado di giocare, si ostina a volerlo fare? Non perché ha scoperto di amarlo all'improvviso, folgorato da San Jimmy Connors, ma per l'esatto contrario: lo odia a tal punto da volerlo avvilire in questo modo. Non so se la mia lettura può avere un senso, dovrebbe rispondere un bravo strizzacervelli. Altrimenti tocca rispolverare la storia di quel tale che per una vita intera ha rifiutato di scopare, perché il sesso non gli piaceva. A 80 anni, una volta impotente, si è iscritto a un sito di incontri di sesso e si imbottisce con dosi equine di viagra, accettando di schiattare per infarto.





domenica 2 marzo 2025

Pillole di viagra tennistico settimanale - Mistress Aneke Rune, polli da combattimento ad Acapulco

 





Circo tennistico diviso tra Santiago, Acapulco e Dubai. Tralascerei il torneo cileno, poco più di un challenger, impreziosito dalla inutile presenza del numero due al mondo Alexander Zverev, cui forse avranno anche stracciato l'ingaggio per giusta causa. Un tour sudamericano così inutile non si vedeva da quello dei Mötley Crue nel 2020. Se questa è l'ambizione e lo stato di forma degli inseguitori, Sinner rischia di rimanere numero uno anche senza giocare fino al 2027. Grande spettacolo invece ad Acapulco. Tra tequila, tacos e sombrero, si affrontavano in semifinale Shapovalov e Davidovich Fokina. Match di cartello. Il canadese che sta mettendo la testa a posto e reduce dalla striscia monstre di 8 vittorie di fila (pare vada ripetendo, con lo sguardo allucinato, a chiunque incroci: Djokovic e Federer l'hanno mai fatta una striscia simile? Eh?) opposto al rampante Fokina di inizio anno, tra gladiatorie battaglie in Australia e l'artistico suicidio nella finale di Delray Beach contro un Kecmanovic ormai intento a mettersi lo shampoo sotto la doccia. Una gemma, tra le tante della carriera del biondo iberico. La semifinale si preannuncia quindi epica. I due paiono due polli da combattimento messicani. Tronfi, fieri, impettiti, scossi da un tragico agonismo di carta pesta. Bombarde insensate dello spagnolo, fiammate poderose del canadese, improvvisi colpi di genio, ricami e pallate in tribuna. Break e controbreak che farebbero impallidire anche un match di Itf femminile a Brazeville. Nessuno dei due arretra di un centimetro. Nessuno accetta l'ignominioso epilogo della vittoria. Sia mai. Qualsiasi cosa, ma l'insopportabile onta della vittoria proprio no. Vinco io geometra? no, vinchi lei ragionere. Un po' rimanda alle leggendarie battaglie del passato tra Gasquet e Verdasco. Anzi, qualcuno narra che i due siano gemelli nati da un passionale rapporto contro natura tra Nando e Richard, dopo un torneo di Bordeaux. A differenza dei loro genitori però, questi due non si detestano. Anzi, paiono due compagnoni che si fanno forza autocommiserandosi. Sul 7-6 4-2 Fokina, nemmeno quotavano il proverbiale controbeak, marchio di fabbrica del talento iberico: la Dorando Petri move. Puntuale contro beak, chiunque (da Kecmanovic a un 68enne giocarore di Pickleball con la gotta) avrebbe vinto il secondo e chiuso 6-1 al terzo con una chesterfeld in boccs. Shapo no. Lui è diverso, e cede al tiebrek del secondo. Superfluo aggiungere che in finale Fokina viene bistrattato dal soldatino essenziale Machac. Uno coi gamboni da Lou Ferrigno, che vince quando c'è da vincere.

Torneo d'inquietante noia si annunciava a Dubai, e così è stato. Sublimato da una finale per sromaci forti. Dopo aver assistito a Tsitsipas-Auger Aliassime uno dovrebbe recarsi alle autorità competenti e consegnarsi spontaneamente, perché ormai è capace di tutto. Vince il greco, che si rialza dopo mesi di torpore esistenziale. Presenza del tutto simbolica quella di Djokovic, preso a sberloni a mano piena da Berrettini. Percosso brutalmente. Nessun dramma però, era nei piani. L'obiettivo (ossessione) del serbo è lo slam 25. Complicato Parigi, ogni sforzo e la preparazione predisposta dal suo battaglione di specialisti, sarà rivolta a Wimbledon. Nutrizionisti, medici, paramedici, proctologi, Ris, psicologi, fisioterapisti, assaggiatori anti avvelenamento, anatomopatologi, cavie umane, hanno stilato una tabella di marcia impeccabile. Da quanti nanogrammi di pera lessa con gocce di veleno di rospo e sangue di vipera nicaraguense mangiare ad intervalli di due ore, al numero di passi e respiri da fare al giorno, fino all'ibernazione notturna in una bara appartenuta al barone Wurdalak (citazione colta). Niente sarà lasciato al caso. Immaginate ora Bublik, che prima della finale di un 250 non saprebbe mai rinunciare a un triplo big mac e due litri di birra, e capirete che è un altro sport. Pur continuando a risalire, continua a mancare a Berrettini il definitivo salto di qualità che lo riporti ai livelli pre buco nero (che non è quello della Satta, sia chiaro). A proposito di gossip pruriginoso, il corrierone dedica spazio al quasi stalking di una 19enne cantante sanremese verso il nostro martello. Ora, che io abbia visto il Festival Sanremo e non mi sia accorto della presenza di questa qui, me la fa considerare abbastanza trascurabile. Tiepidi segnali di risveglio di Medvedev. Vince due buone partite, perde da Griekspoor un match già vinto, con 4 match point a favore. Qualcosa si muove però, comprese scenate, urla e frasi sconnesse all'arbitro, tra cui: "Coi russi sempre due pesi e due misure". Frase che pare sia piaciuta molto al neo presidente russo Trump, che potrebbe intervenire presso l'Atp.

In realtà è un'altra la vicenda che mi ha colpito di più durante la settimana. Sempre più uomini si dicono schiavi, feticisti, i più svitati praticano corsi on line di bondage finendo per strozzarsi o finire al policlico come delle trote intrappollate nella rete. Con gli occhi da pazzi su facce da citrulli, se vedono una bella donna per strada, invece del banale e obsoleto "Michia che bel culo c'ha quella", se ne escono con frasi tipo: "mmh...da quella lì mi farei calpestare col tacco 12, cospargere di cera bollente e prendere a sprangate nella nuca". Qualcuno è autenticamente deviato, altri lo fanno per sfuggire alla lapidazione delle femministe che lottano come leonesse contro il patriarcato sublimato dal becero cat calling, la maggior parte per darsi un tono. Vogliono fingersi così potenti, economicamente e intellettualmente, che almeno nel sesso godono facendosi umiliare, per sperimentare la sensazione di inferiorità. In realtà sono solo dei Fantozzi che si fanno prendere a sberle. Perché il preambolo? Perché d'improvviso si prende il proscenio Madame Aneke Rune. Una che incarna alla perfezione l'immagine che ho di Mistress. Sadica padrona con aderente vestito di pelle nera, frustino in mano, sguardo malvagio e tagliente, infierisce sul citrullo schiavo di cui sopra che ulula di dolore. Sale in cattedra col suo tacco 18 sul caso Sinner lanciando frustate a destra e manca col gatto a nove code. E Wada e Itia carponi. Le dichiarazioni che non ti aspetti, ma che denotano intelligenza. Perché da Mistress saggia, sa bene che la buffonata costruita attorno a Sinner, può capitare a chiunque. Anche al suo dolce pargolo Vitus. E gli indignati di oggi, un domani non potrebbero dirsi vittime, ma solo imbecilli patentati. Sferzante, accavalla le gambe algida e sensuale, e denuncia come siano inquietanti e pericolose le attuali norme. Paradossale essere puniti per una contaminazione da 0,0000000001 nanogrammi di sostanza proibita che non farebbe effetto nemmeno su un moscerino rachitico. È preoccupata, Mamma Mistress Aneke, perché una quantità così bassa di sostanza proibita può entrare nel corpo degli atleti in qualsiasi modo. Una bistecca allevata con steroidi, frutta, semplice contatto fisico. Queste norme e la folle gestione del caso Sinner rischiano di gettare nel panico atleti che ormai hanno paura di tutto. Per essere sicuri dovrebbero vivere in una campana di vetro, o andare in giro avvolti da un enorme preservativo. Uno come Marat Safin, oggi, rischierebbe di essere fermato perché positivo a 126 tipi di droga diverse, a causa di contaminazione con le safinettes che lo attendevano in albergo. Bene Aneke, nel mare di idiozie a buon mercaro sparate da molti atleti (spiace che Wawrinka, di solito mai banale, si sia unito al branco dei qualunquisti), una voce razionale, pragmatica, forse solo normale.




martedì 25 febbraio 2025

Mirra Andreeva, un lampo nella Wta morente





Faccio pubblico outing: da qualche anno seguo la Wta con distacco vagamente nauseato. La fine dell'impero Williams ha causato un vuoto di personalità, ancor prima che tecnico, incapace di attrarre il pubblico medio al quale appartengo. Il quadro attuale ne è lo specchio fedele. Si vive la pallida rivalità tra la tigre di Minsk Sabalenka e Iga Ansia Swiatek, senza alcun sussulto. La prima da anni è vittima di paturnie esistenziali e psicodrammi sportivi. Recentemente, per sua stessa ammissione, è svuotata, senza fame. E una tigre senza fame, somiglia a un gattone che fa le fusa. Forse il desiderio di maternità dichiarato qualche mese fa inizia a prevalere su quello di tirare palline. La seconda sembra invece prigioniera di demoni opposti, che producono risultati simili. Appare ogni volta più ossessionata e ossessionante, chiusa nel suo guscio impermeabile al resto del mondo. Una macchinetta tira colpi nascosta da una visiera. Non so quanto c'entrino mental coach e tutta la stramba ciurma-staff al seguito, ma i suoi incontri sono ormai pura angoscia ansiogena. Non c'è niente di umano e coinvolgente, per chi guarda e (temo) nemmeno per lei. Per il resto, Coco Gauff è sempre incapace di fare il salto definitivo, e chissà se mai lo farà mai. Un pietoso velo su Elena Rybakina, che pure avrebbe il talento per vincere altri slam, ma è bloccata dell'arcinota storiaccia col coach Vukov. Roba da indagine Wta, non resta che aspettare e sperare si faccia chiarezza. Per il bene della ragazza, prima umano, poi sportivo. Gli unici barlumi di speranza in questo grigio torpore, restano Ons Jabeur e Karolina Muchova. Due talenti scintillanti che hanno sfiorato il grande successo, prima di ricadere vittime di infortuni e una testa che non segue troppo il talento. Rivederle lottare per la vittoria di uno slam è un miraggio, più che una previsione.

In un simile quadro post apocalittico, la vittoria di Mirra Andreeva nel 1000 di Dubai, è parso un miraggio. La speranza di nuova linfa per l'intero movimento agonizzante. Sorella minore e più forte di Erika, pure top 100 (una vicenda che lascia ricordi di Serena-Venus). La coppia di sorelle più forte in circolazione, più delle coetanee Fruhvirtova e meno glamour delle Kudermetova. Poco mi interessano i record di precocità e altri onanismi numerici che i più si affannano a snocciolare. Nemmeno il talento, che pure c'è, ben evidente. Quello che più mi colpisce di questa ragazzina siberiana non ancora diciottenne, con la fronte prominente e il viso da Giamburrasca, è la maturità da veterana con cui sta in campo. E una personalità da dominatrice. Lo si dice da almeno tre anni, e solo vicende imponderabili potranno impedirlo. Lei e Sinner monopolizzeranno le scene per un decennio almeno, difficile sbagliarsi. Un'altra siberiana da numero uno, dopo Masha. Se dio vuole, opposta in quasi tutto. A Dubai vince, e non lo fa per un colpo di fortuna o tabellone monco: sgretola una dopo l'altra tre vincitrici di slam: Vondrousova, Swiatek e Ribakyna, prima di disinnescare la danesona Tauson in finale. Praticamente il vertice della attuale, smunta, Wta piegata in una settimana. Manca solo Sabalenka, che pure aveva battuto lo scorso anno a Parigi. Ma se neppure la personalità vi interessa, oltre al suo gradevole tennis da contrattaccante, malgrado dica di ispirarsi a Ons Jabeur (quando dorme), non si può non rimanere incantati dalle sue interviste surrealmente naif. Una giovane vecchia. Tra citazioni di LeBron, musica di Micheal Jackson (se non i Queen!), l'idolo Federer, ma anche Nadal post Australian Open '22 (cosa che mi accomuna a lei). E pure Djokovic, altrimenti si offende. Ma la teenager nata nella profonda Siberia di  Krasnojarsk, ha anche un altro idolo sportivo: Diego Armando Maradona. Uno che giocava quando i suoi genitori nemmeno erano nati. A chi le chiedeva, un paio d'anni fa, dei suoi obiettivi, rispondeva con candore e modestia non comuni: Quanti slam ha vinto Djokovic? 22, 23? Beh, io voglio vincerne di più. Non bastasse, c'è poi la perla che la rende piccolo idolo: 'La tattica? - squittisce -, sì con la mia allenatrice (Conchita Martinez) la studiamo nei minimi dettagli, a seconda dell'avversaria. Ma poi in campo non faccio niente di quello che mi ha detto, gioco come mi viene.".



venerdì 21 febbraio 2025

Medjedovic-Tsitsipas, remake del Kolossal Chang-Lendl '89








Capita spesso di imbattersi in scialbi remake. Immagino "Il Padrino" quarant'anni dopo, con alla regia Veronesi invece di Coppola, e al posto di Al Pacino e De Niro due attori come Edoardo Leo e il pur ottimo Stefano Fresi. Non è la stessa cosa, spesso delude, ma lo guardi per curiosità e alla fine risveglia qualche sussulto di piacere. È il caso di Medjedovic-Tsitsipas, rifacimento Netflix del pluri premiato Kolossal Chang-Lendl del lontano 1989. Il giovanotto serbo, pur divertentissimo da vedere e lanciato verso un futuro roseo, non è Chang. Tanto meno il Cristo morente greco Tsitsipas in crisi esistenziale può essere accostato a Ivan Lendl, allora truce tiranno e numero uno al mondo. Figurarsi se il primo turno di un torneo del petrol-tennis tra i cammelli a Doha possa avere lo stesso fascino di un ottavo del Roland Garros, sul centrale parigino. 

Tocca però accontentarsi, e il remake è davvero gustoso. Il rampante serbo, stanco dalla sinfonica settimana marsigliese, se la sta giocando punto a punto sul 5-4 del terzo set, quando prova un folle recupero in spaccata. Più che il suo mentore Djokovic, somiglia a Fantozzi che balza in sella alla bersagliera o un ballerino del Bolshoi lanciato in una spaccata che gli fa perdere la funzionalità dei genitali. È una scena tragica e un po' raccapricciante. Hamad resta a terra ululando di dolore. Poi si trascina sorretto a spalla negli spogliatoi. Pare un match finito. Dove vuole andare quel povero ragazzo che si sarà sfibrato i muscoli della coscia e che ormai parlerà come Mario Giordano? Invece torna in campo. Non corre ma zoppica, si trascina. Però ha un piano ben preciso nel testone: rinunciare per causa di forza maggiore al suo bel tennis d'attacco fatto di servizio, drittoni, trame offensive e un urticante rovescio slice che rimanda a nostalgiche affettate picassesche. Può solo tirare gran bombe da fermo, o la va o la spacca. L'altro resta allibito, pensava di aver già vinto e non sa cosa fare. I suoi due neuroni si interrogano sul da farsi e poi si abbracciano prima di dormire. Sappiamo quanto sia complicato giocare contro un giocatore menomato, ma contro uno letteralmente sciancato, incapace anche di camminare, dovrebbe essere cosa più agevole. E questo non è un furbo, un malato immaginario, faticherebbe anche a salire due gradini. Tsitsipas può angolare i colpi, giocargli una palla corta, anche poco rischiosa, a metà campo, che l'altro nemmeno proverebbe a recuperarla. Ma non ne gioca mezza. Si limita a tirare forte il servizio e a rimetterla di là sperando che l'altro gliela regali per pietà. Ma lo sciancato, da fermo, mette in atto il suo sublime piano: bombarde ad occhi chiusi. Tutte dentro. Tutte vincenti. Spesso sulle righe. L'allocco greco la perde al tiebreak del terzo e la scena finale meriterebbe un qualche Oscar: Hamad, con quella faccia un po' così di chi non crede a cosa ha combinato, quell'aria malandrina di chi l'ha fatta gossa, si avvicina a rete trascinandosi come un malato al santuario della madonna di Lourdes. Biascica pure qualche scusa. Si aspetterebbe che l'altro lo abbracciasse, al limite gli chiedesse come sta o se ha bisogno di aiuto per arrivare alla sedia. Invece Tsitsipas gli regala uno sguardo intriso d'odio e il solito handshake da tennis femminile quando una delle due protagoniste è indispettita assai. Tipo Ostapenko o una bizzosa Sharapova d'annata. Meraviglia.

Questo incontro mi ha riportato alla mente il famigerato Chang-Lendl in Paris. Ieri ho cercato in rete qualche video di quel confronto epico. C'è tutto il match col commento francese. Poi trovo anche un vecchio filmato (purtroppo incompleto) della telecronaca Tommasi-Clerici, che è un piccolo capolavoro di letteratura sportiva. Un drammatico romanzo con venature di ironia surreale e finale a sorpresa. Non si riesce nemmeno a vedere la pallina, ma pazienza. (P.s. se qualche lettore è in possesso o sa dove trovare vecchie telecronache del meraviglioso duo, mi contatti e mi farà felice). Ad ogni modo, mi torna alla mente il giorno in cui vidi l'incontro in diretta. Frequentavo la prima media, e quel giorno non ero andato a scuola. Ogni tanto mia madre me lo consentiva. Anzi, ne era contenta. Al punto che alle superiori ebbi il trauma di non poter bigiare di nascosto come tutti gli altri. Non eravamo una famiglia tanto normale. Mia sorella maggiore invece studiava per l'esame di terza media e ripeteva cose insensate ad alta voce. Insieme assistemmo a quella drammatica, teatrale, battaglia commentata da Bisteccone Galeazzi sulla Rai (Capodistria non aveva un gran segnale). Ivan Lendl era il dominatore assoluto delle scene. In lui vedevo riassunte tutte le sfumatute del male. La bruttezza macchinosa del suo tennis robotico che aveva spazzato via l'estro di McEnroe, e un carattere da algido despota. Normale per noi ragazzi tifare per l'outsider, specie se questi è un bimbo cinese naturalizzato americano di diciassette anni. Un vero fenomeno di corsa e sapienza tattica che recupera due set di svantaggio e si gioca il quinto set col numero uno ceco, naturalizzato americano anche lui. Michael Chang è lanciato verso l'impresa quando si blocca, inizia a flettere le corte gambette con la faccia impassibile appena scalfita da un dolore che sarà lancinante: crampi. È la fine, destinato ad essere sbranato dal robot, se non deciderà di ritirarsi. E invece è lì che nasce la magia. Michelino pensa al da farsi. I pensieri si accavallano nel suo testone abnorme, mentre sugli spalti il cuore di mamma segue in apprensione gli eventi. Per prima cosa, ha la lucidità di mangiarsi una banana, poi due. Resistere fino quando il potassio non entrerà in circolo contrastando i crampi. Beve come un cammello, prende tempo, accetta scientemente un warning per aver superato i trenta secondi. Finge pure di contestare un punto. In lui c'è tutta la saggezza orientale di un giovane vecchio di diciassette anni. Lendl è incredulo, indispettito, poi furioso fino alla pazzia. Come si permette questo giovane gnomo di non arrendersi inchinandosi al re? Lui che tra un servizio e l'altro era solito dilungarsi nell'orrorifico rituale (tirarsi le sopracciglia con inspiegabile rabbia, segatura al manico, polsino tergisudore passato sul volto spigoloso, movimento a raddrizzare la racchetta come fosse un battipanni e smascellata prima del lancio della pallina), ora si affretta per dare poco tempo all'altro di recuperare. Ma l'esito è che va in confusione lui. L'altro tira il servizio senza nemmeno riuscire a sollevare i piedi e poi dà sfoggio a tutta la sua diabolica arte di arrangiarsi e pazienza orientale. È un satanasso con gli occhi a fessura. Rallenta, alterna lobboni sui quali Lendl non sa che fare a colpi a metà campo per chiamare l'altro a rete, corse disperate con strazianti rantoli di dolore, persino vincenti improvvisi (non proprio il suo pane). Lendl ha la faccia dello sgomento. Il numero uno irriso da un diciassettenne ragazzino zoppo. A un certo punto perde anche la lucidità e si ferma protestare, mentre il volpino cinese ne approfitta per riposare e andare ad abbeverarsi. Lendl dovrebbe giocare palle corte, ma non ne è molto capace, sottolinea Clerici. E poi sarebbe anche un rischio doppio, gli risponde Tommasi: rischiosa la palla corta, rischioso anche l'eventuale passante. Fatto sta che non fa nulla, risponde con dei pallonetti a quelli di Chang, aspetta l'errore dell'altro, finendo per sbagliare lui. Il pubblico in visibilio che sostiene l'infermo cinesino all'impresa è la cornice perfetta per farlo impazzire ancora di più, come non bastassero quelle diavolerie cinesi. Con l'ultima, geniale, trovata del servizio da sotto (quando all'epoca non era ancora la sboronata trash odierna), prima del meritato trionfo. Ciliegina sulla torta di una delle più grandi imprese "che mi sia dato di vedere" (cit.).




sabato 15 febbraio 2025

JANNIK SINNER SQUALIFICATO PER TRE MESI







BRAKING NEWS: Un fulmine a ciel sereno, mentre mi trovo impelagato nella preparazione di una sontuosa pasta e cime di rape e mentalmente preso dalla kermesse sanremese. Tutto intento al riascolto a mente lucida delle canzoni del 75esimo Festival, arriva infatti la news clamorosa, "notizia di emergenza, agite con urgenza": Accordo tra Jannik Sinner e la Wada per una squalifica di tre mesi. Lo rivedremo a inizio maggio, pronto per gli Internazionali d'Italia. Allora, la questione è complessa e delicata per ridurla a due ciance scritte tanto per. Mai vorrei mischiarmi alle due ortodosse schiere demenziali, colpevolisti-innocentisti. Da un lato i torquemada, forcaioli con bava alla bocca in piena trance da Grillo prime con venature travagliesche. Quasi tutti spagnoli, serbi, anti-Sinner sparsi, e uno svitato tiktoker australiano. Dall'altra gli innocentisti, qualche sventurato che si è preso la briga di leggere (qualcuno ancora ci riesce) gli atti e carota boys che, per tutta risposta, stanno raccogliendo le firme per una immediata beatificazione dell'eroe altoatesino senza macchia. Interrogato, Papa Bergoglio ha risposto un po' infastidito: "Chi è questo, un altro frocio? Devo chiedere a Fazio, altrimenti levatevi dalle balle." Prima del solito appello agli ucraini ad arrendersi alla pace. Bando alle quisquilie, mai cadrò nella tentazione di dare una risposta semplicistica ad un affare così complesso. Quindi, senza alcun indugio dirò chiaramente:

Mah. Boh.

La storia è talmente semplice e lineare da creare una mostruosità illogica e un cortocircuito no sense. Come seguace postumo della corrente democristiana di Mariano Rumor, vi invito però a una riflessione priva di sciocchi estremismi. Inutile arrovellarsi, protestate, incazzarsi. Basta analizzare i fatti, la nuda cronaca, diceva quello. Sinner era stato assolto dalla ITIA (International Tennis Integrity Agency) per la positività al Clostebol con una quantità tale da rendere una formica parecchio muscolosa, causata dalla contaminazione di una pomata usata dal suo massaggiatore. La WADA (Agenzia Mondiale Antidoping) pur riconoscendo la non assunzione volontaria del tennista italiano, per dimostrare al mondo che esiste, ha fatto ricorso minacciando condanna da 1 a 2 anni per responsabilità oggettiva. La storia quindi era ben chiara. Il resto lo ha fatto un mero calcolo di opportunità. Fatti due conti, l'entourage dell'italiano ha voluto chiudere questa vicenda estenuante patteggiando una squalifica mininima. Scelta razionale che se da un lato riduce al minimo la perdita di punti e non intacca la partecipazione ai due prossimi slam, dall'altro macchierà la carriera dell'incolpevole (lo dicono entrambi gli organi, con buona pace dei Kyrgios) tennista azzurro di una squalifica per doping. La soluzione soddisfa anche la smania politic-esibizionista della Wada che "si accontenta" di una squalifica lieve, tre mesi. Tutti contenti. Forse un po' meno Sinner che sa di essere innocente, ma che si ritrova squalificato per non essersi dopato. Una mostruosità senza senso, che invece continuerà a non soddisfare i forcaioli che vorrebbero l'italiano novello Ben Johnson ai ceppi, e nemmeno i tifosi dell'italiano.

Detto ciò, tra soddisfatti e scontenti, torno ad occuparmi di cose più serie della Wada: mancano poche ore alla finale di Sanremo e cresce a vista d'occhio la tensione. Anche se con l'occhio destro, e fingendo come Abatantuono con la Sandrelli, darò un'occhiata al Circo Medrano Milan. Forse domani completerò la riflessione con un pagellone sanremese da far invidia ad Assante (rip)-Castaldo. Chi vincerà? Gli inutili gorgeggi di Giorgia con una canzonetta da nulla partono tragicamente in pole, ma di solito chi entra Papa esce Cardinale. Magari. Potrebbe essere superata sul traguardo da Achille Lauro che dopo le (credibilissime) parentesi Sid Vicius e Bowie quest'anno sembra calato nella parte di Toto Cutugno (occhio al secondo posto allora). A buona quota, era a 6,50 due giorni fa, lo proverei. Qualche chance anche per Cristicchi che, essendo io un insensibile senza cuore (o il contrario, vale tutto), mi rifiuto di ascoltare oltre trenta secondi. Outsider il nuovo Faber culturista Olly, o Lucio Corsi che mi piacicchia per il suo essere normalmente naif in un mare di finti eccentrici. Ovviamente la mia attenzione sarà tutta per la rutilante gara della gnocca (apprezzabile lo sforzo di Carlo Conti nel regalarci una "quota gnocca" consistente) tra Elodie, Rose Villain e Clara, con possibili inserimenti di due o tre outsider emergenti.

"Mettete un like e fatemi sapere nei commenti se siete contenti della questione Sinner e la vostra classifica della gnocca sanremese".



lunedì 10 febbraio 2025

L'ETERNO RITORNO DI SHAPOVALOV, BOLLICINE BELLUCCI

 





Ci son cascato di nuovo, cantava il David Bowie italiano Achille Lauro (questa solo per i dipendenti dal veleno allucinogeno di rospo del deserto). Quando meno te lo aspetti e ormai lo consideri solo il vacuo sogno di una notte annebbiata, eccolo lì che si ripropone come una peperonata. Fiammeggiante e dirompente. Impetuoso tornado estivo a Febbraio. Saette mancine, assalti dissennati, parabole meravigliose e irrazionali, sciagurati errori, frizzi, lazzi e bombe trik e trak che scoppiano in mano. C'è tutto il Dennis Shapovalov show in questo ritorno a Dallas. Devasta tutto ciò che gli capita a tiro, il tornado canadese. Tempo fa gli diedi il nomignolo "Tornado biondo", ma mi fecero notare che somigliava al nome di una pornostar anni '90, quindi l'ho cestinato. Ad ogni modo, non ho seguito i primi giorni dell'Atp texano, aspettandomi poco più che una tediosa lotta fra yankee locali affamati di punti. Invece, giorno dopo giorno, la sagoma del canadese si è fatta più minacciosa. Fino a raggiungere una finale che ha del miracoloso per chi come me, innamorato più volte tradito, ormai lo considerava una causa persa o dispersa chissà dove. E forse lo è ancora, ma pazienza. Brutalizzati in serie: Fritz, Machac, Paul. Ed in finale Casper Ruud. Il paradosso di un tennista che di razionale non ha nulla, è che li batte dando la sensazione di maestosa superiorità, malgrado i risultati e la costanza in classifica degli avversari, lui se la sogni. Li mette al tappeto senza nemmeno essere costretto a lotte cruente. Vedo solo qualche fase dei primi turni, mentre mi gusto dal primo quindici la finale con Casper Ruud. Uno che, per intelligenza, lavoro e qualche fluido paranormale del Divino Otelma, è numero 5 al mondo (è stato numero 2 e ha fatto due finali slam). L'eterno confronto tra la formica operaia e la cicala dissipatrice di talento. Stavolta la cicala non solo non schiatta, ma colpisce fino alla fine senza paura. Primo set equilibrato, col canadese che esprime sempre un tennis d'attacco sul filo del rasoio, tra abominio e meraviglia. Forse solo più accorto nelle scelte tattiche e più paziente ma, deo gratias, resta sempre lui: ace al centro o parabole mancine a uscire, smorzate d'autore, volée che lasciano sempre quel decimo di secondo di terrore: sgozzerà malamente la pallina in rete o la accarezzerà docilmente? In questa settimana l'ispirazione era quella giusta. Finisce per vincere il primo e dilagare nel secondo set in un rutilare di dritti vincenti e quel rovescio a tutto braccio, croce e delizia, rischiosissimo ma bellissimo da vedere: riguardo un replay e sembra in sospensione, con le braccia che quasi si congiungono dietro le spalle: l'airone che si libra in un volo elegante o si schianta contro la roccia. Si prodiga anche in una volée di rovescio in tuffo adagiata meravigliosamente dall'altra parte, per stroncare ogni velleità di rientro del danese. Tornando alla frase iniziale, il pericolo di ricascarci c'è tutto, ma non bisogna essere deboli. L'esperienza mi ha portato a capire che il segreto del vivere bene e a lungo è non avere aspettative. Figuriamoci da Shapovalov. Più facile che uno slam lo vinca Ruud o Fritz, gente che sa fare poche cose con costanza, piuttosto che uno come lui che, pur dotato di un notevole arsenale, spesso finisce per non fare le scelte giuste al momento giusto. Non è un genio, non sarà mai Federer o McEnroe, ma in questi tempi di abbrutimento creativo, mi accontenterei di vedere questi lampi di genialità isolata a livello di top ten. O nelle fasi conclusive degli slam, per mettere del pepe a match troppo spesso monotoni. Se poi Tipsarevic riuscirà nella titanica impresa di farne un tennista consistente e regolare, senza snaturarne la proverbiale indole istintiva, toccherà fargli una statua nel centro di Belgrado. 

L'airone canadese ha rubato un po' di spazio all'altro eroe per caso della settimana: Mattia Bellucci. Il suo exploit (semifinale) a Rotterdam, ha fatto molto rumore nella stampa mainstream ormai avvezza a trattare di tennis. Spesso non sapendone nulla. Perché il suo è un non exploit, e battere due cadaveri tennistici come Medvedev e Tsitsipas non vuol dire quasi nulla. Sicuramente non più di quanto già si era visto nei match del nostro contro Tiafoe e Fritz s Parigi e Londra o nei challenger di fine anno. Medvedev e Tsitsipas oggi esprimono un tennis a stento da primi 50, quindi tennisti che Bellucci ha le qualità per poterli battere. Oltre che il carattere. Bravo a sfruttare l'occasione, ma più che il risultato in sè celebrato dai Tg, colpisce il modo di giocare di questo ragazzo. Libero e scanzonato. Fisico tarchiato, collo incassato, codino e bandana vintage, da lontano sembra di vedere Dolgopolov. Ma la somiglianza è solo fisica. Pur talentuoso, l'italiano è lontano anni luce dal fulminante talento del soldato ucraino, contrario ad ogni legge balistica. Bellucci è un fantastico mancino dal tennis brioso, frizzante come uno spumantino italiano. Bel servizio, velenose traiettorie mancine, ottimo rovescio piatto, funambolismi a go go, volèe, smorzate, strettini e back senza soluzione di continuità. A un certo punto gli vedo fare una cosa che non notavo dai tempi di Stich: Smash a rimbalzo non definitivo, ma piazzato intelligentemente. Una specie di servizio velenoso, con cui prende la rete e fa punto agilmente di volée. Annichilisce i disorientati Medvedev e Tsitsipas con un tennis istrionico. Quasi un inno al divertimento circense. Diverte chi guarda e si diverte anche lui: servizi da sotto e tweener a campo aperto, solo per il gusto di farlo. Un po' come George Best che a porta vuota invece di calciare si stende e segna di testa. Difficile che con un gioco simile possa ambire a grandi risultati, lui che pure da ragazzino batteva Sinner. Riuscisse a entrare nelle 32 tds slam e sollazzarci spesso in questo modo, sarebbe grasso che cola. Dopo il braccio di titanio diamatato Sinner, il braccio d'acciaio Berrettini e il braccio d'oro Musetti, non sarebbe male il braccio con le bollicine Bellucci.



lunedì 27 gennaio 2025

AUSTRALIAN OPEN 2025 - Pagelle finali






Jannik Sinner 9. Ordinaria amministrazione. Archivia il terzo slam quasi in pantofole. Tolto Alcaraz, su cui permaneva una certa curiosità, nessuno avrebbe potuto impensierire Sinner che in quella tenuta giallo canarino sembrava Titti the Ripper. L'unica speranza di avversari, Kyrgios ed haters vari era che si abbrustolisse se lo avessero piazzato per tre match di fila alle 12, con sole a strapiompo e 42 gradi. Non accade e lui si mangia tutti, persino in crescendo rossiniano. Il tennis è bello perché in imprevedibile evoluzione, ma se sta bene fisicamente, solo la Wada ed eventi esterni potranno impedirgli di partire favorito anche su terra ed erba.

Novak Djokovic 5,5. Un 24 volte vincitore slam e 10 volte re di Melbourne che esce (forse) per l'ultima volta da quel campo tra i fischi, fa molta tristezza. Voto che è una media tra il gioco espresso (7), e gli scivoloni di contorno (4). Perché il Nole anziano (anche se non sembra averne contezza) gioca ancora a un livello da top 3, malgrado le quasi 38 primavere e gli acciacchi di vecchiaia. Vince di testa e facendo il cinema con Alcaraz, poi si rende conto di non averne più e molla in semifinale. Contorno indecente, col clima di accerchiamento, quasi vittima di un complotto pluto alieno mondialista delle nazioni del G8, Nato, Uefa e Codacons, rei di sminuire i suoi successi e renderlo meno carismatico di Federer e Nadal. Racconta che in Australia lo hanno avvelelenato (manco fosse Navalny) nel 2022, ma non ce l'ha con gli australiani. Polemiche pretestuose da un lato utili per trovare nuovi stimoli, e che dall'altro provocano reazioni di odio non condivisibili ma comprensibili.

Carlos Alcaraz 4--. Premio pollo Vallespluga del torneo. Dà sempre l'impressione di enorme sufficienza, con quell'aria un po' così di chi si diverte come il gatto col topo e pensa "vai, vai, tanto ti riprendo quando voglio", perché sono due categorie più forte. Rispetta e gioca con la grinta consueta solo contro i primi 3/4. Quella vecchia volpe di Djokovic lo sa, allora recita la parte del povero vecchio sciancato da non prendere troppo sul serio ed El Cabezon ci casca. Non inferisce, giochicchia, sfarfalla e l'altro vince.

Ben Shelton: 7,5. Ben è un animale da competizione dal primordiale istinto attaccante. Tutto bello, tutto esaltante per vincere qualche partita o divertire il pubblico. Per stare coi primi dovrà rinunciare a un po' della sua esplosività anarchica per un maggior equilibrio. Già lo sta mettendo in pratica. Bravo a sfruttare il buco nel tabellone e arrivare in semifinale. Sinner è ancora troppo per lui.

Alexander Zverev 7. Con quel popo' di fidanzata, io agli slam non ci penserei più.

Tommy Paul 6. Come un Filini della racchetta, timbra il suo bel cartellino impiegatizio da quarti di finale. Di più, solo in caso di pandemia mortale e scomparsa di metà del genere umano. 

Learner Tien 7. Se a 19 anni la spunti di mestiere, classe e astuzia su un ex numero 1 al mondo e vincitore slam, qualcosa vorrà dire. Intelligenza tattica da giocatore di scacchi, deliziosi e geometrici colpi mancini, calma orientale da vietnamita americano: c'è tutto per farti innamorare, annessi limiti di un fisico da torello e colpi troppo leggeri per ambire al dominio totale delle scene.

Joao Fonseca 6,5. È stato un abbaglio restare così abbagliati dopo l'exploit abbagliante con Rublev? Forse. Anche perché il russo (s.v.) oggi perderebbe pure da Vagnozzi. Sonego ci fa capire che il ragazzino ha ancora limiti di gestione tattica. Resta un piccolo fenomeno, una specie di Sinner che imita Federer. Fortissimo, ma ancora acerbo. Farà una SF slam entro fine anno. 

Lorenzo Sonego 7+. Gorgheggia meno (sarà perché levo il volume), arremba di più. Lo Sharapovo bruno a Melbourne si scopre serial killer di baby prodigi. Prima Fonseca mescolandogli le carte da vecchio baro, poi un Tien stremato e per poco non porta Shelton al quinto.

Daniil Medvedev 4. Difficile interpretare quella espressione, sempre in bilico tra lo squilibrato serial killer e il poeta russo malato di tisi aspirante al suicidio. Forse, semplicemente, voleva starsene altrove con moglie e figlio appena nato. Invece degli uomini malvagi lo hanno buttato sul primo low cost per Melbourne. Ha bisogno di staccare la spina. Se per sempre o solo qualche mese, staremo a vedere.

Nick Kyrgios 3-. C'è qualcosa di più patetico di un quasi ex tennista che per mesi vomita deliri inverecondi sul numero uno via social come una qualsiasi influencer? Sì, un quasi ex tennista che poi aizza folle oceaniche e lo sfida apertamente anche sul campo (provocando lo stesso effetto di Povia che dissa Roger Waters) e su quel campo viene preso a sberle da un inglese da challenger. Tennista stra finito, ed è un peccato. Gli resta il web, qualche dissing meno ambizioso con un suo pari (con Tomic faceva anche ridere, sembrava si scrivessero da due manicomi diversi), due ciance sulla terra piatta su onlyfans. Magari una puntata a sorpresa della Bromance tossica con Djokovic, che invece di sfuttarlo per le cene col cretino gli spieghi cos'è il tennis.

Musetti 5,5. Se Sinner placa la quarantennale sete di vittorie dell'italiano medio in delirante crisi d'astinenza post Seppi e Lorenzi, lui dovrebbe sollazzarne l'animo con trame tennistiche deliziose. Invece ancora sembra soffocato, inespresso. Confuso su come usare tutto quel ben di dio di talento. Farà finale a Montecarlo con Sinner. La sparo così.

Taylor Fritz 4. Da aitante Baywach a Malibù a Gino bagnino sessantenne con la panza di Torvajanica. Di notte sognerà ancora il ghigno mefistofelico di Monfils che lo sta mandando al manicomio. 

Correntin Moutet 7. Il sorteggio gli consegna un picchiatore australiano sul centrale ribollente di invasati tifosi locali da cui potersi far detestare. Sembra il regalo di natale per un bimbo. Correntin la carogna si diverte a sgonfiarlo, tra graffi e sadiche zampate. Gli si apre un tabellone che è un altro regalo, della befana. Lui sì che saprebbe come far fuori Sinner: con un coltellino a serramanico. La spreca, ovviamente, perdendo da un Tien semi azzoppato.

Mensik 6. Forse il più pronto dei teeneger emergenti, abbatte il muro cartonato di Ruud (4) alla distanza. Sempre alla distanza, si arrende al funambolo Fokina. Il più credibile tra i centosei eredi di Berdych (ma poi, perché deve nascere per forza un erede di Berdych, manco fosse Federer, Nadal o Borg?). Stesso fisico, gran servizio, rovescio letale, medesime roncole tondeggianti e, temo, anche lui con tre carnefici a sbarrargli la strada per gli slam.

Davidovich Fokina 7,5. Miracoli di Melbourne. Il circense funambolo perdente si scopre maratoneta vincente. Con lo stesso schema di parata e risposta, rintuzza i giganti picchiatori Aliassine e Mensik, e li finisce di fioretto. Il tutto recuperando da 0-2. Cotto come una pera lessa, cede a Paul.

Gael Monfils 8. Il più anziano vincitore di Atp ad Auckland, laddove si rigenerano le ossa dei vecchi soldati (ricordare Gasquet 2023). A Melbourne si supera, disinnesca e spazza via Giovannone Perricard, spedisce al più vicino neurodeliri Fritz, che giorni dopo il match vaneggia ancora sugli alieni. Dio solo sa dove trovi le risorse. Si arrende solo al suo fisico, prima che a Shelton, non prima di aver lottato altre tre ore. Standing ovation meritata (meditare Nole) per questo lottatore e show-man naturale, che pare un trapezista del circo acrobatico prestato al tennis.


Donne


Medison Keys 9. L'Epifania della Bugs Bunny. Torneo perfetto. Va a vincerlo senza colpi di fortuna, ma abbattendo in lotta una dopo l'altra le favorite Ribakina, Swiatek, Sabalenka. Svolta della maturità per l'eterna promessa dalle grandi sassate estemporanee. Testa, fisico, tattica e colpi da k.o. (quelli già li aveva).

Aryna Sabalenka 5,5. Fino alla semifinale è la solita passerella fatta di roncole disumane e moine, urla da squilibrata e balletti da pin up, sguardo assassino e occhietti dolci, fisico da baffuta giavellottista anni '80 della Germania dell'est e femminili pose sexy sui social. Questa buffa (mi fa anche molta simpatia) versione caricaturale di Serena dell'est sembra non avere rivali. È avviata al tris in Australia, quando incontra una più matura e con più testa di lei che la rispedisce a casa. Sfascia la racchetta per la rabbia, poi sorridente fa i complimenti all'avversaria con tanto di vezzoso sorrisino. Più che tigre sembra un gattone soriano in calore, castrato in finale da Medison.

Iga Swiatek 5. Anti diva, e lo sappiamo. Anti tennis, pure. Perennemente nascosta dietro quella visiera, frenetica, confusionaria, compulsiva. Vorrebbe che tutto intorno sparisse e restasse lei e il suo tennis monocorde, che dà la stessa emozione elettrizzante di una macchinetta sparapalle impostata alla stessa velocità e direzione per tre ore. Si accartoccia goffamente in volata contro Keys.

Jasmine Paolini 5,5. Forse questa è la normalità e l'eccezionalità è stata lo scorso anno, ma l'impressione è che la dolce Gelsomina sia completamente scarica. I sorrisi contagiosi hanno lasciato il posto al faccione imbronciato da "Il mio amico Arnold" che si ripete "Che cavolo stai dicendo Willy?". Cede di schianto al terzo set a una Svitolina poco più che normale. Malgrado gli eminenti pareri di esperti del settore per cui è solo un allenamento proficuo, forse urge una decisione sul doppio. Le ha dato grandi soddisfazioni, ma rischia di toglierle le energie fisiche e mentali per competere al meglio in singolo. Quante top ten ci sono che arrivano in fondo anche in doppio?

Elena Rybakina 4,5. Tanto bellina ed esangue come funerea protagonista di un film di Tim Burton. In irreversibile confusione tecnico tattica. Dentro e fuori dal campo. Ivanisevic, chiamato per mettere ordine a questo postribolo tennistico, pare sia scappato di notte. Medison Keys la batte con saggezza.

Danielle Collins 7+. La contessa Dani. Non si capisce se si è ritirata, cosa ci faccia ancora lì, forse un ultimo sardanapalesco tour d'addio prima di diventare mamma. A ben vederla, complice vestitino pre maman, forse incita lo è già. In campo sembra poca cosa rispetto alla jena ammirata qualche mese fa. Fa in tempo a battere un'australiana, farsi fischiare come nemmeno Djokovic, Medvedev e Moutet messi insieme dal pubblico di casa e a rispondere da par suo: sorrisoni, piroettes e inchini da prima ballerina alla scala, prima di invitare tutti a baciarle il culo, dandosi pacche alle terga. Mancano solo Boldi e De Sica a suggellare la scena regale. Mancherà.

Diana Shnaider 6+. La seguo da tempo con discreto interesse. Russa atipica, mancina bandanata, fisico tachiatello, dritto con cui dipinge e squarcia il campo, repertorio da doppista con tanto di rutilanti colpi offensivi e volée. Perde in lotta contro Vekic, perchè fisicamente è ancora due categorie sotto le migliori. Anche lei come Paolini dovrebbe fare una seria riflessione sul doppio.

Elina Svitolina 6,5. Partecipa alla festa in famiglia, col marito Gael che fa fuoco e fiamme. Dopo la maternità è tornata forte ma non fortissima. Senza un colpo risolutore ma con buon ordine, arriva ai quarti. Pure lei vittima della castigamatti Keys.

Paula Badosa 7. La signora Tsitsipas all'arrembaggio. Bistratta il fidanzato sugli spalti come faceva lui col compianto babbo Apostolos. Si issa fino ad una inattesa semifinale pestando con ritrovata efficacia. Nulla può con Sabalenka che, da brava amica, cerca di non infierire troppo.

Coco Gauff 4,5. Fallisce l'ennesima prova di maturità, e se non ci è riuscito quel volpone di Brad Gilbert, dubito possa avvenire mai. Si schianta contro Badosa, spettatrice quasi incolpevole di uno spettacolo da guinness degli errori/orrori gratuiti.

Taylor Townsend 7,5. Ormai doppista quasi a tempo pieno, Rosalina grassottina finalmente acciuffa la vittoria finale assieme a Siniakova. Sempre uno spettacolo sublime vederla volleare come una Martina di 120kg.

Anastasija Pavlyuchenkova 7. È da così tanti anni nel circuito che leggendo il suo nome in tabellone uno pensa abbia 56 anni. Invece ne ha "solo" 33. Gioca quasi part time, ma ogni tanto la nemesi di Sharapova piazza la zampata di classe. Acciuffa i quarti dove lotta con ardimento contro l'invasata Sabalenka, strappandole financo un set.

Naomi Osaka 6. Segnali di risvegli azzoppati.

Karolina Muchova 5. Sfortunata nel sorteggio, perde male da Osaka. Le speranze per una Wta più bella però passano per il suo braccio vellutato.





domenica 26 gennaio 2025

AUSTRALIAN OPEN 2025 - Day 15 - Dominio Sinner









Dal vostro inviato, che non rinunzia a una bella mattinata italiana di sole quasi primaverile in riva al mare, mentre dall'altra parte del mondo si sfidano in finale Jannik Sinner e Alexander Zverev. Le moderne diavolerie tecnologiche non mi impediscono di guardarla, baciato dal sole e con l'odore salmastro dell'acqua scossa da onde placide. Il numero uno e il numero due (per caso), non erano comunque garanzia di finale equilibrata, anzi. Bisognava davvero fare uno sforzo di fantasia estremo per vedere possibili pericoli per l'italiano che, come uno squalo, parte subito fortissimo per mettere le cose in chiaro. È evidente fin da subito come si affrontino due auto di cilindrata diversa. Zverev, che tutto in rosso sembra Shummi gigante, fa una fatica disumana a stare al passo del nostro eroe, rosso carota naturale di capelli e in una delicata divisa giallo Titti. Basta vedere i colpi del tedesco. Strappati, forzati, portati con ampiezza esagerata specie nel drittone. Massimo sforzo per minimo risultato, perché la pallina viaggia meno rispetto a quella di uno Jannik che invece scocca saette infuocate col minimo sforzo. Colpi puliti, quasi senza fare fatica.
Sinner porta a casa il primo set, Zverev nel secondo mette sul campo ogni risorsa fisica e mentale per stare in scia. Fa quasi tenerezza il tedescone, alla terza finale e sempre alla ricerca del maledetto primo slam. Ma, tra tutte, questa sembra la più impossibile. Il pallettarone tedesco si esprime al suo massimo, serve bene. Di più non può, col suo gioco macchinoso e prevedibile. Dovrebbe trasformarsi in Federer o Nadal, ma è una cosa che non si può fare. Le sue caratteristiche sono quelle, fino a due o tre anni fa riuscivano a dare fastidio ad un Sinner ancora in costruzione. Ora che l'italiano è una macchina quasi perfetta, gli fa il solletico. Invano prova a indirizzare lo scambio nella diagonale del rovescio, ma il nostro è rapido come un satanasso e bravissimo ad uscirne con il lungolinea. Una variazione, lo scolastico ma efficacissimo drop shot vincente. Se non bastasse, un dritto a campo aperto, a tre quarti della velocità.
Zverev ha una piccola possibilità quando, dopo essersi issato con immane fatica al tiebreak del secondo set, si porta avanti 2-1 con mini brek. Forse lì, chiedendo aiuto al servizio, una delle sue armi migliori, avrebbe potuto cercare un guizzo. Tutto inutile perché il terminator italiano lo vince in scioltezza e prende il largo anche nel terzo. Ciò che stupisce di Sinner, ammesso ci sia ancora qualcosa capace di stupirmi, è la calma con cui cucina le sue prede. Non è un killer feroce e violento, ma sempre misurato. Non si fa prendere dalla foga, fa sempre la scelta giusta. "Spacca la pallina" squilla un Supermac sempre incontinente ai microfoni. In realtà il più delle volte evita la bordata come fino a un paio di anni fa, quasi trattenendosi. Tira a 3/4 di velocità (che è comunque il doppio degli altri) e le volte in cui, in piena sicurezza, lascia andare il braccio la palla nemmeno la vedi uscire dalla racchetta. 
Domina il terzo, con uno Zverev che issa bandiera bianca, e chiude dando impressione di superiorità disarmante. Terzo slam, più una serie di record sul cemento che snocciolano alla tv e che nemmeno ricordo. Riguarda vittorie consecutive coi top ten senza perdere un set, ed altro ancora, superando gente come Federer, Nadal, McEnroe, Djokovic. Ad oggi, non vedo nessuno capace di avvicinarlo. Tra tutti, l'unico che con le sue variazioni può minarne le certezze è Alcaraz. Ma lo spagnolo rispetto a due anni fa non sembra aver fatto i progressi, tattici e mentali, dell'italiano.


sabato 25 gennaio 2025

AUSTRALIAN OPEN 2025 - Day 14 - Keys, il trionfo della Bugs Bunny atomica









Conosce il meritato lieto fine la cavalcata di Medison Keys a Melbourne. Una cavalcata folle, che ha preso corpo e velocità turno dopo turno, facendo fuori la noia di un torneo sotto tono e quelle che i bookmakers quasi non pagavano come finaliste: Prima Swiatek, poi Sabalenka in finale. E ancora prima ci aveva liberati di un'altra delle possibili pretendenti al trono, Elena Rybakina. 
Su Medison e la sua formidabile parabola di crescita, ho già scritto un paio di gioni fa (recuperate, se vi aggrada). Resta solo da aggiungere l'ennesima prestazione maiuscola in finale, uscita vittoriosa dalla violenta battaglia con la tigre di Minsk, una Aryna Sabalenka orridamente urlante, fallosa e paradossalmente più tesa dell'underdog americana. Dopo la vittoria su Swiatek si era messa in luce l'attitudine suicida dello scoiattolo senza volto polacco, senza dare il giusto merito alla prestazione della Keys. Anche oggi si può essere portati a sottolineare una Sabalenka colpevole di un inizio horror, e un finale goffamente svenevole, lei così corpulenta e feroce da incutere timore solo a ritrovarsela dall'altra parte della rete. Va invece sottolineata, anche in finale, la bella evoluzione di Medison Keys. Un decennio di onorata carriera alle spalle, passando da predestina a mancata promessa, a buona tennista intermittente, sempre sul filo del rasoio e pericolosa per tutte "se le entrano i colpi". Un destino comune a molte sue colleghe wta, picchiatrici folli, a volte insensate e scriteriate, ragazzone da colpi mortali ma non accompagnate da equilibrio tattico, condizione fisica e capacità difensiva. Tutte condizioni necessarie per diventare tennista vera, e che lei dopo dieci anni è riuscita ad acquisire grazie anche al coach marito Bjorn Fratangelo, ex tennista anche lui. 
In finale, un po' ho temuto che la lodevole Bugs Bunny potesse cedere dopo il rientro furibondo dell'avversaria, che agitava il pugno ostentando il delicatissimo tatuaggio della tigre (una roba che va fortissimo nel carcere di massima sicurezza di Minsk). Sembrava lanciata, assetata di sangue, più esperta a gestire simili situazioni e match importanti, la bielorussa. Keys invece è stata brava a restare aggrappata, per poi andare a prendersi la vittoria con autorevolezza, facendo sfoggio nei momenti cruciali degli ultimi games, dei suoi miglioramenti.
L'altra urlava e pestava come in preda a raptus omicidiari durante il parto. La Medison di un tempo avrebbe risposto sparando un missile da posizione balisticamente impossibile Giorgi-style (quasi, non esageriamo con la demenzialità tennistica), tragicamente finito sui teloni. E sarebbe rimasta piegata su se stessa per la delusione. Quella attuale invece sta lì, arpiona un dritto difesivo in quasi chop, poi persino un back di rovescio, riguadagna campo e finisce per chiudere con la sua masterclass: la botta di dritto vincente. Evviva Medison, evviva la neo assennata coniglietta atomica.

venerdì 24 gennaio 2025

AUSTRALIAN OPEN 2025 - Day 13 - Djokovic alza bandiera bianca, tra i fischi





Avevo puntato la sveglia alle 4,00 per gustarmi Djokovic-Zverev, nel silenzioso e placido albeggiare. La sveglia ha squillato, e io ho continuato a dormire il sonno dei giusti. Mi sveglio e pasteggio la mia frugale colazione a base di pane raffermo e latte di capra, assistendo alla conferenza stampa del serbo, che poco prima si era ritirato dopo aver perso il primo set al tie-break. Col volto deluso e stravolto, ammette che il problema accusato due giorni fa non gli permetteva di continuare. Confessa che negli ultimi anni si è infortunato molto, e non sa quale sia il motivo. In quell'istante mi è venuto alla mente il mio povero nonno Ernesto che a 88 anni, dopo la consueta passeggiata mattutina di due ore attraversando a piedi la città, con la faccia buia ci diceva: "Le gambe non girano più come una volta, mi stanco facilmente. Nessuno di questi dottori capisce il motivo. Che malattia ho? Non capiscono niente...". Nole va per i 38 anni, è reduce da una ventennale carriera che ha messo a dura prova il suo fisico e gli ha permesso di vincere 24 slam. Ora non si capacita di come non riesca a reggere fresco come una rosa sette incontri di slam al meglio di cinque set contro avversari di 15 anni più giovani. Proprio non capisce il motivo, lui che cura meticolosamente la macchina del suo fisico, non tralascia alcun dettaglio, tra allenamenti e alimentazione. Chi lo sa. Forse, in cuor suo, crede davvero di poter battere anche l'età. Che medici e scienziati non capiscano nulla e l'invecchiamento sia solo una balla messa in giro dai poteri forti. Lui si sente immortale e sempregiovane. 

Tornando semi-serio, Djokovic purtroppo invecchia come tutti, meno di altri colleghi che alla sua età stanno già in pantofole sul divano con la gotta. Paga normali acciacchi a un fisico straordinario. Acciacchi a cui ci si può arrendere o con cui si può scegliere di convivere, tra antidolorifici e pause fisiologiche, e che due giorni fa non gli hanno impedito di battere Alcaraz da vecchio merpione, sfruttando la cosa contro un avversario debole psicologicamente. Oggi, dopo un'ora e venti di battaglia cruenta ha perso il primo set e ha deciso di abbandonare, consapevole e lucido, per alcuni motivi evidenti: 1) l'avversario, a differenza di Alcaraz, non concedeva nulla ma lo costringeva a lunghi sfinenti scambi e a guadagnarsi ogni singolo punto. 2) Era conscio di quanto fosse inutile mettere in scena i rituali teatrini, perché il suo buon amico tedesco non si sarebbe impressionato. Tanto meno destabilizzato provando a fare cose diverse come aveva fatto Alcaraz, perché ne sa fare solo una. 3) In ultimo, ma non ultimo, visti i tempi del primo set, per vincere avrebbe dovuto lottare e soffrire sul campo almeno altre tre ore, forse quattro. E l'eventuale finale l'avrebbe giocata al Fatebenefratelli di Melbourne. Amen e così sia. Il resto, chi parla di strappo di 4 cm, forse 6 o 8, altre menomazioni che non solo impedirebbero di giocare a tennis a livello amatoriale, ma anche di camminare, vive felicemente su Marte. Ma in fondo è il bello dello sport, che alimenta miti e vuole trasformare gli sportivi in eroi immortali. Triste ma non sorprendente che il pubblico accolga il suo ritiro e lo accompagni all'uscita tra salve di fischi. Epilogo immeritato (e per dirlo io...). Forse il disappunto è dovuto a gente che voleva altro tennis ed era convinta, vedendolo combattere punto a punto, che potesse farlo ancora. Se a questo si aggiungono le polemiche spesso inutili di queste due settimane, scenate isteriche, vittimismo sui suoi successi sminuiti solo perché serbo, la Nato, l'occidente e le cospirazioni aliene, il clima di accerchiamento che ha creato attorno a sé per trovare motivazioni, non si può dire che non ci abbia messo molto di suo. La speranza è che a Parigi, Londra e New York, possa esserci un congedo più sobrio.

Jannik Sinner raggiunge la finale domando in tre set le sfuriate di un pur ottimo Ben Shelton. Risultato abbastanza bugiardo, perché l'italiano ha dovuto sudare più di quanto non dica il punteggio e il match poteva complicarsi se l'americano (parso più maturo, pur con i suoi limiti) nel primo set non avesse buttato alle ortiche due set point sul servizio (che non è quello di Errani). Ora la finale con uno Zverev parso in palla fisicamente e determinato nel vincere il suo primo, maledetto, slam, non credo sarà una passeggiata. Jannik dovrà essere bravo ad uscire dalla diagonale del rovescio e, se possibile, evitare che il match diventi una maratona. Precedenti in equilibrio e sempre combattuti, che lasciano il tempo che trovano, perché troppo indietro nel tempo, quando Sinner non era la macchina quasi perfetta di oggi.



giovedì 23 gennaio 2025

AUSTRALIAN OPEN 2025 - Day 12 - Swiatek, cuor di scoiattolo





Qualche anno fa, saranno stati dieci o più (basterebbe fare il calcolo della sua età, ma mi tedia a morte), in una piovosa mattinata romana, mi capitò di vedere una diciassettenne ragazzona americana impegnata sul campo numero uno del Foro Italico (questo lo ricordo, perché vicino a me c'era una gnocca svedese con vezzoso abitino color verde acqua). Aveva la pelle da indiana, simpatici dentoni da Bugs Bunny e goffe movenze sulla terra resa ancor più scivolosa da fastidiose goccioline di pioggia, ma tirava delle gran badilate, fortissime e piatte. Ogni tanto, zavorrata da un davanzale ingombrante si piegava su se stessa, stremata, un po' stile Monfils dopo 5 ore e 30 di battaglia. Invece quella era in campo da una ventina di minuti scarsi. Forte, bel braccione tennistico, senza una tattica (anche se su quella potrà lavorarci), ma davvero poco incline al sacrificio e all'atletismo, sentenziai con sicumera da Travaglio tennistico che non ne becca una nemmeno per sbaglio. Da allora per me, Medison Keys è stata la cherokee indolente. O "la flaca". Venne una finale allo Us Open qualche anno dopo persa dall'altra meteora Stephens, prima di perdersi un po'. Sempre alti e bassi, in pieno stile delle ragazze con questa tipologia di gioco. Motivo di questo inutile preambolo? Perché oggi me la ritrovo, a otto anni di distanza dalla finale nuovayorchese, e qualcuno in più rispetto alla mattinata Foro, ancora in finale agli Australian Open. E la scopro discretamente plasmata. Smagrita, dignitosamente atletica, con una rinnovata capacità di difendere, che poi è quello che fa la differenza nel tennis moderno. Tira sempre della gran badilate, ma con maggior controllo, arrota addirittura qualche traiettoria per aprirsi il campo. Pare destinata solo a fare una bella figura contro la super favorita Swiatek, che però ci mette molto di suo per perdere. Frenetica e confusionaria, la donna senza volto, va completamente in bambola ogni volta che si trova a lottare punto a punto. Sempre nascosta dietro quella visiera, come ad isolarsi da tutto, anti personaggio per eccellenza, predilige le corse solitarie. Possibilmente, vorrebbe non ci fosse nemmeno il pubblico. Il primo caso di numero uno al mondo che è devastante se domina l'avversario, ma goffa e ansiosa se si trova a dover sgomitare. Un po' come un ciclista straordinario nelle fughe solitarie e nullo in volata. Iga cuor di scoiattolo ha diverse possibilità di vincere, compreso un match point sul suo servizio, prima di suididarsi definitivamente al super tiebreak.

Grande delusione (non mia di certo), per la mancata finale kolossal con la tigre di Minsk Aryna Sabalenka, che invece in precedenza non aveva avuto molti problemi e si era fatta zero scrupoli nello sbranare l'amica e compagna di shopping pazzo, Paula Badosa.




Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.