.

.

lunedì 14 luglio 2025

JANNIK SINNER, UN ITALIANO SUL TRONO DI WIMBLEDON


 


Il sogno più improbabile e irrealizzabile, quello di Fantozzi che riceve la coppa di Wimbledon dalla Duchessa di Kent in un centrale di Wimbledon impazzito di gioia. Anni ad immaginare una scena così eccitante, accontentandoci qualche fiammata nei primi turni. Un Paolino Canè che porta Ivan Lendl al quinto, le sibilanti bordate a due allora di Seppi, qualche istrionismo di Fognini che si diverte perdendo con Federer. E, aspettando il miracolo dal cielo, la duchessa di Kent, se viva, sarà arrivata a 106 anni, mentre la Regina madre ha regalmente tirato le cuoia. Tocca quindi alla giovane principessa del Galles Kate premiare il primo italiano a trionfare sui sacri prati: al secolo, Jannik Sinner (voto 9,5. Il 10 è vietato).
È il numero uno da mesi, è alla quarta finale consecutiva di slam, ne ha già vinti tre e deve ancora compiere 24 anni. Eppure, siamo un paese che non riesce a godere e meritarsi i propri rari fenomeni. I soliti pallonari e influencer strappati al calcio già si mostravano perplessi dopo la rocambolesca sconfitta di Parigi “Questo non tiene carattere! È un perdente! Come si fa a perdere avanti di due goal a zero? E poi, come li ha tirati i rigori nel super coso lì del break super?”).  Sulla rosea carta da culo poi, dopo i primi turni dominati a Wimbledon, si auspicava che il nostro non le vincesse tutte così facilmente, per non annoiare il pubblico. Che facesse un po’ di wrestling alla Hulk Hogan, insomma. Il livello è questo. Ma è un orrore a tutto tondo, questo tennis divenuto nazional popolare: Feroci polemiche social sul duo di commentatori Sky (Pero e Bertolucci, bravi), rei di non tifare troppo, non metterci quello spirito patriottico di cui si ha bisogno. Auspicano, i subumani, anche nel tennis quella tragica e patetica telecronaca partigiana in stile Bergomi/Caressa (con tanto di enfatica introduzione cringe) quando giuoca e perde le finali la loro beneamata. Sospiri, urla, silenzi tombali sui gol dell’avversaria (quasi tutti in fuorigioco o fortunosi). Questi due invece, si esaltano quando Alcaraz fa un punto da fenomeno: incoscienti, anti italiani, quasi disertori. 
Questa è l’unica colpa di Sinner: aver portato il tennis sulla bocca dei cretini, che ne devono cianciare per forza col cipiglio di chi ne sa a pacchi. Tifare questo tale vecchio (come si chiama, Fognini?) perché ci levi dalle balle Alcaraz.
Cretini a parte, la finale di Parigi avrebbe ammazzato un toro. McEnroe, non l’ultimo degli arrivati, praticamente smise di vincere dopo la maledetta finale del Roland Garros persa con Lendl. Ancora prima, Borg scoppiò di testa dopo aver perso a Wimbledon dallo stesso Mac.
Quello che di Sinner colpisce, al di là di un tennis devastante, è una forza mentale non di questo mondo. Perde da Djokovic tre anni fa. Il serbo lo bolla con sufficienza come uno che sì tira forte, ma non fa male, gioca sempre uguale, in modo prevedibile. Lui che fa? Inutile rispondere, dar da mangiare a giornali che non legge. Lavora, arricchisce il suo tennis e tre anni dopo sullo stesso campo gli infligge una sconfitta che rasenta l’umiliazione tennistica. Come da due anni a questa parte. Ti aspetti che si levi un sassolino dalla scarpa, invece quasi si scusa per l’ennesimo infortunio tattico del serbo quando il match è perso. E ci sarebbe sempre il caso Costebol. Un essere umano avrebbe accusato il colpo, sceso di rendimento, giocato con tensione. Lui gioca, vince slam e diventa numero uno con la spada di damocle di una squalifica sulla testa. Lo stop arriva e lui riprende a giocare e vincere come nulla fosse. 
Già sappiamo dell’epopea parigina e di una delle partite di tennis più belle che mi sia dato di vedere. Il merdoso pubblico francese fa un tifo indecente per lo spagnolo, senza dargli merito delle oltre 5 ore di spettacolo sovrumano di cui è co-protagonista. E lui cosa fa? Li ringrazia. Non è il tipico italiano, dicono. No, non è il tipico essere umano. È questa la sua forza. Vince due set imperiosi contro un gigantesco Alcaraz. Finale prima quasi vinta, tre match point svaniti, poi complicata, persa, rimessa in piedi, rivinta, ripersa, riacciuffata per i capelli, prima di un super tie-break in cui può solo fare da spettatore allo show metafisico di Alcaraz.
Si arrivava dunque a Londra con i normali dubbi e incertezze di noi mortali. Avrà accusato il colpo, pensa lo sprovveduto spettatore. Niente di più sbagliato. È come non fosse successo nulla. Invece di stare lì a pensarci giorno e notte, maledire se stesso, il mondo e il tennis, annegare la delusione guardando Temptation Island o drogandosi, si dice: ok, ora vediamo cosa fare per battere questo satanasso sull’erba. A Londra domina avversari, è baciato dalla fortuna contro Dimitrov, demolisce i recalcitranti resti di Djokovic in semifinale.
Ma anche in finale, accade qualcosa che avrebbe spento in molti. L’incubo che ritorna: Carlitos il satanasso, sotto 2-4, si produce nei soliti 4 games di delirante follia tennistica e vince il primo set 6-4. Vuoi vedere che l'imperturbabile alieno rosso accuserà il colpo? Anche qui, previsioni cannate. Sinner si mette lì a testa bassa, prende il centro del campo e inizia a martellare, senza strafare, ma non arretrarando di un centimetro. Comanda il gioco e non dà modo allo spagnolo di orchestrare le sue mirabilie irrazionali. Nemmeno quelle tre o quattro fiammate di creatività inarrestabile che di solito gli servono per vincere i match in volata. Non gliene dà modo. Sinner vince di testa e di tennis, gioca da campione i punti importanti e finisce per trionfare laddove non era riuscito nessun italiano. Questo è. Tutto il resto è fuffa.

Il resto dello svogliato pagellame:

Alcaraz 7,5. Prima ancora che venissero fuori le storie sui party, la bella vita notturna e le donne, vi avevo rivelato in anteprima la causa del suo intoppo momentaneo: la figa. Come conosco i miei polli io, nessuno mai. L’altro problema poi è la noia che gli procurano tornei di basso livello e avversari mediocri. Non è spocchia o arroganza, la sua. È fatto così. Insopportabili ditini all’orecchio da spezzarglieli come un togo, urla da montone di Pamplona alla carica, smanicati da tamarro a Ibiza e un fisico da atleta di lotta greco romana, porterebbero chiunque a tifargli contro. È disarmonia pura verso il tennis. Poi vedi quello che fa con la racchetta, e non puoi non adorarlo. Sinner è un fuoriclasse, fa cose che altri non riescono a fare. Lui invece vede e fa magie
 che nessun altro riesce nemmeno a pensare, figuriamoci a fare. Sinner si è costruito negli anni. Lui era così già a 18, anche fisicamente. Inutile, dannoso, cercare di inquadrarlo in schemi fissi. Deve essere libero di creare, fare quello che gli dice il capoccione brachicefalo un'istante prima. Non sarà mai un cannibale dominatore assoluto ma il più forte di tutti, se ispirato. A Londra paga la troppa sicurezza datagli dal successo parigino. Pensava di aver dato forse la spallata decisiva all’avversario. Di sicuro non si aspettava un Sinner così aggressivo, capace di togliergli fiato e spazio, impedendogli anche le proverbiali folate di tennis ingiocabile.

Djokovic 7. Ha fatto cento in un torneo dopolavoristico (deo gratias), resta l’ossessione per lo slam 25. Lo ha capito e detto a che lui (hurrà): invecchia, come tutti. Con Sinner ormai non vincerebbe più nemmeno a tamburello su una spiaggia caraibica col nostro bendato e ubriaco, tantomeno fingendo il solito infortunio da vecchiaia. Idem con Alcaraz. È però ancora il più forte tra tutti gli altri. In semifinale slam ci arriva. Ed ha intenzione di continuare, hai visto mai che a Sinner venga un raffreddore da fieno o Alcaraz faccia un mega festino fino alle 7 di mattina con 25 donne, prima della finale. Non si sa mai. Lui si chiude in un sarcofago e almeno fino all’anno prossimo ci riproverà. Non si può però trascurare il suo box, che è pura avanguardia. Alla sempre composta moglie si sono aggiunti i due pargoli, tra cui uno che fa semplicemente terrore. Sembra Nole biondo in miniatura, già invasato e con gli occhi iniettati di sangue fuori dalle orbite. Ma creare nei campi da tennis, come nei centri commerciali, un angolo dove lasciare i bambini a giocare tra i palloncini, no?

Dimitrov 8. Vincitore morale, un titolo che fa ancora più tristezza di questo magnifico tennista malinconicamente perdente. Gioca meglio ora a 35 anni che a 25, ma il fisico non regge. Vecchio, rattoppato, deliziosamente vintage, sciorina due set da lustrarsi gli occhi contro un Sinner depotenziato dal dolore al gomito dopo una rovinosa caduta. Poi il pettorale si strappa. Consolatoria per i suoi tifosi e chi lo conosce bene, è la consapevolezza che l’avrebbe comunque persa al quinto, con grande eroismo.

Taylor Fritz 6,5. Una delle tante vittime finite in analisi, per colpa di Sinner. Dopo dieci mesi dalla sconfitta in finale a New York, sembra dare segnali di ripresa mentale. Arriva in semifinale, poi lo senti straparlare e prendi atto che no, ancora non si è riavuto. Si dice convinto di poter battere Alcaraz, tra lo sgomento generale di chi lo guarda temendo abbia dimenticato di prendere le goccine. Non contento, rincara la dose, tutto serio: se gioco come oggi nei primi due set, non vedo cosa possa fare Alcaraz. E qui qualcuno chiama un’ambulanza d’urgenza. Perde con onore dallo spagnolo, dice di preferire Sinner perché è più prevedibile. Cioè, ci perde in modo prevedibile. Mentre Alcaraz gli dà fastidio perché lo batte in modo imprevedibile. L’abuso di siliconi nel suo box plastificato, deve avergli danneggiato i neuroni, soffocato le sinapsi.

Flavio Cobolli 7+. Lo vidi qualche anno fa al Foro. Mi sembrò uno dei tanti. Poco appariscente, nessun colpo, servizio da challenger. Solo un buon carattere, gambe eccellenti e una tigna che, azzardai con gran sicurezza, potrà permettergli financo di entrare negli slam. Se qualcuno mi avesse detto che dopo tre anni avrebbe giocato quasi alla pari un quarto a Wimbledon contro Djokovic, avrei chiesto un Tso immediato per lui. È bravo ed encomiabile, migliorato in tutto, ha l’atteggiamento giusto. La cosa che più mi colpisce è la consapevolezza dei suoi limiti e la conseguente capacità di giocare senza pressione. L’erba, tra tutte, sembrava la superficie meno congeniale al suo tennis, ma partita dopo partita impara a muoversi come un leprotto. Un tempo per essere competitivi sull’erba bisognava saper giocare le volée come Edberg, oggi basta “sapersi muovere bene”. Bravo, comunque.

Alexander Zverev 5. Altro flop fragoroso. Non deve essere facile capire di aver perso il treno e che ora ci sono due marziani inarrivabili. Se non sei Djokovic, vai fuori di testa e non riesci nemmeno ad arrivare ai quarti/semi per vedere cosa succede. Si mette a nudo, ammette di sentirsi solo. Come suggerito da Becker, urge una vacanza per tornare quello di prima. Che, comunque, non sarà mai abbastanza per vincere uno slam.

Stefanos Tsitsipas 4. Ormai andato. Mollato anche da Badosa. A pezzi mentalmente e fisicamente. Ivanisevic ha capito di essersi imbarcato in una causa senza speranze e prova il metodo d’urto, dicendo di essere più in forma lui a 50 anni e senza un ginocchio. Basterà? Non credo, avrà già messo il broncio.

Danil Medvedev 4. La finale di Halle è stata illusoria. Perde, male, da un Bonzi qualsiasi al primo turno. Senza nemmeno riuscire a litigare con qualcuno, tranne un moscone. Perso, almeno a grandi livelli.

Jack Draper 4-. Doveva essere il suo torneo. Il principale antagonista dei due mostri lì davanti. Mandato a scuola dal redivivo Frankenstein Cilic (7). Rimandato.

Ben Shelton 6,5. Tarzan Boy sta studiando da grande. Scolaretto applicato, perché la potenza senza controllo è nulla. Prova a moderare la sua esplosività istintiva, e sembra portare buoni frutti. Poi arriva Sinner e la frustrazione di non poter fare nulla, lo rende simile a uno Tsonga d’annata contro Djokovic. Lui, però, ha limiti meno invalidanti e il tempo è dalla sua.

Fabio Fognini 7.
Il destino fa strani scherzi. Chi non ricorda il Fabio bizzoso terricolo che auspicava una bomba sui campi di Wimbledon, rei di offrirgli rimbalzi irregolari? In età senile invece, scopre di poterci giocare, e anche molto bene. Che con la sua mano quei rimbalzi può domarli meglio di tanti altri. Dopo il bel torneo dello scorso anno, avrebbe potuto passare qualche turno anche quest’anno, ma il sorteggio ha in serbo per lui il più bel regalo: un magnifico primo turno da circo Togni con Alcaraz, le foche, i nani e le ballerine. Cinque set di tennis gradevole, in punta di fioretto, con la platea del centre court in estasi e un match di commiato al tennis che nemmeno nei sogni più arditi. Giusto premio per chi, quando gli attuali tempi di pantagruelismo sinnerista erano jn miraggio, ha portato la croce nei tempi di vacche magre.

Wta 2. In passato ho seguito con molto interesse il tennis femminile, quasi lo stesso con cui seguivo il maschile. Talvolta anche maggiore. Ma cosa vuoi dire di un torneo come quello appena concluso? Davvero qualcuno pensa ancora che una finale Swiatek-Anisimova con doppio bagel in 58 minuti, valga quattro set di Sinner–Alcaraz? Che qualcuno paghi lo stesso prezzo per entrambe le finali e che sia giusto che i protagonisti guadagnino le stesse somme? Ormai la differenza tra tennis maschile e femminile è avviata a diventare tragicamente simile a quella che intercorre tra calcio maschile e femminile. La differenza la fa giocare in contemporanea, sugli stessi campi. Per questa posizione potrei essere fucilato in pubblica piazza da due erinni ed Elodie, con l’accusa di maschilismo patriarcale, ma poco importa. 
Non ci sono personalità importanti, tenniste talentuose e dal tennis piacevole, nemmeno qualche pin up buona per intrattenere l’onanista spettatore estemporaneo. Niente, nulla. Invano provano a venderci la numero uno Sabalenka (3) come un gran personaggio. Bella (!), simpatica (!!), determinata e super agonista (!!!), perché esala urlacci da rinoceronte in calore. Pazienza che la tigre combattente negli ultimi 12 mesi abbia perso cinque volte di fila in tre set nelle battute finali di slam o 1000. Che grinta Aryna! Alla fine vince Swiatek (8), che ad inizio torneo sembrava sull’orlo di un ricovero in clinica psichiatrica, indecisa se giocare o meno sulla detestata erba dopo la tragica stagione sull’adorata terra battuta. Per dire come siamo messi. Invece gioca, le si apparecchia un tabellone da itf e vince passando sui resti ormai svuotati di Bencic (7) e Anisimova (7,5) in semifinale e finale. Proprio l'americana di Russia è l’unica storia da raccontare. Già grande promessa, prima che la morte del padre non la facesse crollare. La crisi, il body shaming social e una pausa da tennis che pareva pietra tombale per una carriera a grandi livelli. Ora sembra essersi ritrovata. La speranza è che il doppio bagel subito in finale non la faccia ricadere nel baratro.




martedì 3 giugno 2025

Bublik, un istrione a Parigi

 






Avevo deciso di pubblicare una cosetta strappa storia lagrime su Gasquet ma, travolto dagli inquietanti eventi d'attualità, mi trovo costretto a cambiare argomento. Che fosse la giornata dei fenomeni paranormali lo avevo iniziato ad intuire guardando qualche scampolo di tale Lois Boisson opposta a Jessica Pegula, sullo Chatrier. La ventiduenne e muscolata francese numero 361 al mondo (una che faticherebbe a superare due turni a Pula) coi gamboni da Sebino Nela e cromosomi xyzs che sembrano mischiati a caso, sta facendo impazzire la maestrina numero 3 delle classifiche. Come ci riesce? Non credo sia per il terrificante afrore che (pare) emani, e che qualche settimana fa spinse una sua avversaria debole di stomaco a chiedere all'arbitro l'utilizzo di un deodorante. Non ha il rovescio, si sposta come una marionetta sul dritto, scentrando malamente. Poi stecca persino un servizio. Cose che si possono vedere solo in un circolo tra anziane signore. Ha solo il servizio ad uscire da sinistra, il drittone carico e una discreta smorzata. Come può la numero tre al mondo, pur invereconda, non chiudere 6-1 6-2, semplicemente tenedola sul lato del rovescio? Invece finisce per perdere 6-4 al terzo, dopo una serie di inenarrabili obbrobri tennistici. Brava/o Lois, ma contro una giocatrice di tennis vera come Mirra Andreeva non raccatterà più di tre games. Buttateci la casa su under 15,5 games. Sotto i ponti c'è posto.

Un sincero plauso ai commentatori Wta, che (temo) assumano massicce dosi di stimolanti equini per tenersi svegli durante il 99% dei match, ma c'è anche del buono nel tennis femminile. Resto folgorato, colto da innamoramento improvviso, osservando Hailey Baptiste opposta alla campionessa degli Australian Open Medison Keys. Questa corpulenta americanona simile a una gettatrice del peso haitiana, con la catena al collo da rapper di Harleem, esplode colpi inusitati. Gioca come un uomo (che gioca bene - si omette sempre tale infinitesimale dettaglio nel citare questa orrida frase fatta -). Con flemma, facilità disarmante e classe cristallina. Anche lei come Boisson ha cromosomi buttati a caso e che fanno a cazzotti, ma che spettacolo sior siori: Accelerazioni, attacchi controtempo, voleé, demivoleé. Prodigi e ingenuità da ventenne (anche se ne dimostra 47).  Perde in due set, perché l'altra è più solida.

Giusto in tempo per il clou di giornata: Aleksandr Bublik opposto a Jack Draper. Il funambolo russo kazako, arrivato sorprendentemente alla seconda settimana, godeva di pochissimi considerazione da parte di esperti e book (a 9,50, manco fosse Carballes contro Sinner). Miscredenti che non avevano annusato nell'aere parigina questo stordente profumo di fiori marci e droghe sintetiche. Non avevano visto due settimane fa Sasha aizzare le folle romane come un gladiatore anemico, vincere poi in scioltezza il challenger di Torino. Sarà sfuggita ai più anche la sua prodigiosa (e oscenamente concreta) prima settimana parigina, condita da rimonta e vittoria al quinto contro De Minaur. A molti mancherà anche un piccolo dettaglio: Sasha non è come gli altri, è atipico, spesso gigioneggia, schiavo del bel punto più che della vittoria. Lo sappiamo. Vincere è quasi un dettaglio trascurabile, contorno di uno spettacolo da offrire al pubblico, che ogni volta lo ripaga eleggendolo beniamino assoluto. Gode per quello, mica per la vittoria. Ha il talento per essere un top, ma non è un top, non pensa come un top, non si allena come un top. Metti Djokovic con lo stile di vita e filosofia naif di Sasha e lo ritroveresti ubriaco di vodka in un circolo di Belgrado, che racconta agli avvinazzati al suo tavolo di quando fece il best ranking: 372. Tutto vero, è così. Ma lui pensa di essere normale. Sono gli altri, gli anormali. Quelli che si allenano come muli da soma, muggiscono come montoni, esultano e agitano i pugni invasati, tipo Zapata Miralles, disse una volta. Ogni tanto però, trova la sua settimana bianca di ispirazione ancestrale. Stavolta lo fa in grande stile, in uno slam. Ha la faccia della tigre, ispirato, si è allenato giocando partite  (match in sequenza tra Roma, Torino e Parigi), concentratissimo. 

Gioca un primo set di grande intensità, ma cede 7-5. Draper scappa avanti di un break anche nel secondo. E adesso nessuno, nemmeno il più accecato tra gli svitati adepti fan del russo kazako, si sarebbe aspettato più di un 3-0, magari condito da qualche giochino di prestigio fine a se stesso per compiacere il pubblico, espressioni stralunate, sorrisetti da Jack Torrance. Invece, ecco la magia: Bublik si è messo in quella testa matta di giocare a tennis per vincere. Nessun servizio da sotto, ma rasoiate di dritto e rovescio, lampi e saette, bordate e carezze, graniuole di vincenti e melliflue smorzate, improvvise e non compulsivamente fini a se stesse. Draper, che pure è un bel cavallone da corsa e merita di stare in top 5, scompare. Il suo pur buon talento appare pochissima cosa rispetto al genio abbagliante di questo fenomeno sceso da Marte, con gli occhi da pazzo e barbetta caprina. In un lampo si ritrova 6/3 6/2 5/4. Solo a Parigi poteva trovare una simile ispirazione, sulle note de "L'Istrione" di Aznavour. C'è solo il tempo per il thrilling finale. Giusto per ricordarci che è sempre Bublik, e che potrebbe tranquillamente perderla alla sua maniera. Serve per il match. Game infinito, miracolo di Draper, voleé che gli muore sulle corde. Palle break, seconde tirate più forte della prima, doppi falli. Lo guardi bianco come un cencio, spiritato, e temi possa tornare il Bublik di sempre, quello delle sconfitte romantiche, un po' ironiche e tragiche. Invece la fiaba surreale ha un lieto fine. Ace, voleé a campo aperto e dritto vincente. "La più bella giornata della mia vita", dirà commosso. Pubblico in estasi. Ovazioni come se avesse vinto il torneo. Lacrime. Prima di riprendersi e darsi un contegno: "Ho ancora un'altra partita". Sinner è avvisato.



venerdì 9 maggio 2025

Il ritorno di Papa Sinner II, lampi di Bublik, l'ultimo Fognini









Si respira un clima di mistica attesa a Roma, ore di trepidazione e flatulenze all'incenso per l'esito del Conclave e il ritorno sui campi del Foro di Jannik Sinner. Un bel sole accompagna l'inaccessibile sgambata dell'italiano contro Casper Ruud. Gridolini, urla, schiamazzi, cori da stadio. Che la situazione sia leggermente sfuggita di mano lo capisco guardando due svitati sulla settantina con parrucca rossa che saltellano garruli. Una simile isteria collettiva la ricordo solo da ragazzo, quando il pazzo del quartiere vestito da sciatore provava a fare uno slalom gigante tra gli ulivi a Rocca Cannuccia imitando Alberto Tomba.
Ma c'è anche il tennis, e un po' di smarrimento mi coglie nel constatare come nei campi di periferia 1 e 2, l'Alcaraz di Wish Munar e gamba corta Giron siano diventati i beniamini assoluti del pubblico, che li tifa in modo infernale. "Ale, ale ale ale, Munar, alè". È il degrado dei tempi: una volta i cazzoni qui avevano come idoli cazzari autentici come Paire o Kohli. Vedo qualcosina del giovane fenomeno predestinato Fonseca, affettuzzato in due set da Marozsan, gradevole violino tzigano. Il teenager brasiliano ha facilità di sparo disarmante, ma ancora un fisico da wurstel di pollo e una normale confusione tattica. 
Match di giornata, almeno per me, Bublik-Safiullin. Lo scenario è quello epico del Pietrangeli, violentato dalle due orride tribunette. Da anni questa storica struttura, una specie di tana in marmo circondata dalle statue è un vanto che riesce persino a far dimenticare la proverbiale disorganizzazione, campi di patate, servizi quasi inesistenti. "Eh, ma noi abbiamo il Pietrangeli!!!". Ebbene, per due biglietti in più, sono riusciti a rovinare anche quello, con quest'abominio. Bublik però ci fa poco caso ed eletto a beniamino assoluto, dà spettacolo. Gladiatorio e arrembante, Sasha regola in due set il buon Safiullin, soldatino di piombo russo della scuola Youzhny. Un mix di follia e insolito pragmatismo, fanno gridare al miracolo: sarà una di quelle due/tre settimane l'anno che il cavallo pazzo kazako ha deciso di giocare a tennis per vincere le partite mettendo parzialmente da parte l'ortodossia giocolieristica? Ai posteri l'ardua sentenza.
Poi spazio al canto del cigno di Fabio Fognini, reso ancor più malinconico dal rossastro tramonto romano. Il ligure malconcio e reduce da tormentati mesi di problemi fisici, può poco contro il britannico Fearnley. Due set di agonia, vissuti in attesa di qualche lampo. Un guizzo, una sfuriata epica, un coniglio dal cilindro. Resta solo lo storico annuncio del nuovo Papa che irrompe sul maxischermo con tanto di bacio di Fognini, che prova ad affidarsi a lui. Il massimo sarebbe stato accompagnarlo con un epico bestemmione. Il match però, non c'è. Lui che in carriera ha ingarbugliato Nadal e mandato al manicomio Murray, oggi non riesce a fare partita contro un avversario che è un normale impiegato della racchetta, almeno due categorie sotto il livello del Fognini prime. Poco male, non è questa partita a dover indirizzare i bilanci su una carriera comunque ottima. Genio e follia, grandi gambe oggi stanche, che compensavano limiti mentali e un servizio non adeguato al tennis di vertice comunque accarezzato con la top 10 e la vittoria a Montecarlo. Fognini ha tirato la carretta del tennis italiano per oltre un decennio, prima dell'attuale boom, e forse meritava di chiudere in modo diverso e romantico, vincendo quella Davis onorata negli anni bui del tennis italiano.




martedì 1 aprile 2025

Masters 1000 Miami, Djokovic 99 e ¾. Esplode Mensik





Sembrava la situazione perfetta per il successo numero 100, una delle ossessioni, forse la meno inquietante, di Djokovic. Fra tragicomiche rimostranze pseudo sindacali, rutilanti palleggi a favor di telecamere col Kennedy no vax che ha battuto la testa, anche sul campo sembrava ben centrato. Lontano dal mostruoso fenomeno che fu, ma in una condizione più che sufficiente per sbaragliare quel che resta della concorrenza a Miami, con Sinner in esilio e i principali avversari versione fantasmi autolesionisti: Alcaraz (4) riesce a suicidarsi col vecchio bimbo Goffin (6+), cui basta lanciare di là delle scamorzine senza lattosio. Zverev (4) dopo la finale in Australia deambula smarrito come Randle Mac McMurphy post lobotomia, Medvedev (4) sempre in bilico tra serial killer e fine pensatore, ballerino del Bolshoi storto e un avvinazzato al bar pieno di vodka. Stavolta è capace di trasformare l'orsacchiotto Munar (6,5), l'Alcaraz rachitico di Wish, in un funambolo col fisico di Hulk. Draper (5) e Rune (4,5) falliscono la prova del nove dopo Indian Wells. In un simile scenario post apocalittico, normale che Djokovic pensasse di avere il titolo in tasca. Per la sua e la nostra serenità. Specie con un tabellone apparecchiato da putti, stile banchetto nuziale. Una serie di rassegnate vittime sacrificali fatte fuori con affilato puntiglio da sadico dittatore: il culturista mignon Carabelli (sv), Musetti (6-) pulcino bagnato, Er Grinta Sebastian Korda (5,5), indomito e gladiatorio guerriero dei campi. Uno che se gli fai "bau" si mette paura o si infortuna al flessore, per arrivare alla semifinale col Master degli slave del serbo: Grigor Dimitrov (7-). Per carità, sempre un lustro per i nostri occhi troppo spesso violentati dal brutale tennis moderno e bravissimo ad acciuffare la semifinale lasciandoci quasi le penne contro Cerundolo (6). Seduto a fine partita, col fiatone e le rughe da sessantenne minatore bulgaro, mette un po' di tristezza. Tutto perfetto insomma. Pensate a Djokovic (7), perfezionista fino all'ossessione. Uno che se in 24 ore il suo cuore batte una volta in più rispetto alla tabella prevista è capace di licenziare i suoi medici o dichiarare guerra alla Oms per attentato: arriva in finale presentandosi con un orzaiolo gigante. Di certo Jakub Mensik (8) non si è impietosito. Tanto meno ha avuto i timori reverenziali degli altri nel pestare sodo dall'inizio alla fine contro il suo idolo da bambino. Niente male questo lungagnone ceco dagli spietati occhi di ghiaccio, esponente del moderno "serve&boom" che ha soppiantato il serve and volley. Più che il servizio monstre e il bel rovescio lungolinea, impressiona per carattere e maturità, malgrado non abbia ancora vent'anni. Non solo non gli tremano le gambe di fronte al dictator, ma picchia sempre più forte. Assieme a Fonseca (6,5), è un altro di quelli destinati a giocarsi gli slam negli anni a venire. Il brasiliano si lascia preferire, più divertente ed esplosivo, anche se ancora meno formato del ceco, a partire da un fisico rotondetto da adolescente che mangia troppi kinder bueno. Un po' inquieta la torcida brasiliana che ha trasformato il centrale di Miami nel Maracanà, se il Papero (mi ricorda fisicamente il 17enne Alexander Pato) arriverà davvero ai vertici. Potrebbero far crollare gli spalti. Tornando a Mensik, il rischio è che dopo Rune e Sinner, possa diventare anche lui arcinemico del popolo e della PTPA, per lesa maestà. E che il suo nome venga inserito in una prossima vertenza, a meno che non si ravveda con due sconfitte nei prossimi confronti diretti. Orfana di Sinner, italtennis nelle manone di Berrettini (6+) in costante crescita direzione top ten. Gioca due partite tiratissime con De Minaur (5,5) e Baywatch Fritz (6,5), una la vince e l'altra la perde. Ma sono i due che deve avere come punto di riferimento.

Due parole sulle donne, massimo tre. Beppa Giosef Sabalenka (7,5) si accanisce come una tigre svitata e urlante sulle povere topoline Pegula (7) e Paolini (7). Anche meno. Quelle urla atroci oltre a mettere in allarme i sismografi della Florida, meriterebbero una petizione del Codacons, Wwf, della AssoCacciaePesca. La Pina Fantozzi yankee quella è, brava maestrina, ma nulla può per arginare la furia bielorussa. Bene anche Paolini, che torna a livelli buoni e si difende con dignità contro la ruttante Erinni, uscendone viva. Leggo della separazione con Renzo Furlan, artefice di un quasi miracolo sportivo e miglior allenatore Wta nel 2024. A vedere il sovraffollamento all'angolo di Gelsomina, con l'onnipresente Errani madre padrona, Garbin e i suoi petulanti incitamenti, il bravo Furlan pareva in grande imbarazzo. Una roba da scappare di notte. Se invece è stata lei a volere la separazione, temo sia una scelta suicida. Il tempo ci dirà, ma il rischio di vederla fuori dalle 50 che ride in modo demenziale prima di servire, c'èNon riesce il tris a Mirra Andreeva (5,5) che per una volta mostra tutti i limiti dei suoi 17 anni nel modo infantile e bizzoso con cui cede ad una brava Anisimova (7-, ritrovata). Probabile che l'altra abbia fatto la furba, che il Mto fosse tattico come il 90% dei Mto. Ma sono cose che non si dicono. Che devi abituarti a subire. Crescerà anche in questo. Swiatek (4,5) a sto giro ci si mette pure uno spettatore stalker. Perde da Eala in modo agghiacciante: pallate fuori di metri, stecche, doppi falli. Giocatrice del torneoAlexandra Eala (8+)meravigliosa carneade filippina numero 140 al mondo sbucata dal niente come in una fiaba, facendo a fettine tre vincitrici slam (Ostapenko, Keys e Swiatek). Una carneade si diceva, ma non per gli addetti ai lavori che la sapevano vincitrice di slam junior o per chi come me l'aveva vista dal vivo diciottenne beccarsi un 6-0 da Stefan Errani Edberg (7,5 in quel torneo) sull'erba di Gaibledon. Un marchio d'infamia che mi portò a pensare che non sarebbe mai arrivata ai vertici. Mi sbagliavo clamorosamente. E forse si sbaglia anche chi ora pensa possa avere una carriera da top. La ragazza è brava, ha talento, i suoi mancini sono puliti, non emette un sibilo, l'atteggiamento è delizioso e il sorriso ti fa innamorare. Per non parlare di quei rispettosi pugnetti di autoincitamento che si dà sulle natiche. Insomma, la nemesi di Aryna Sabalenka calata da qualcuno sul campo per salvare la Wta dall'orrore. In realtà, una carriera da Fernandez potenziata sarebbe già grasso che cola. Di più è lecito solo sperare.




lunedì 24 marzo 2025

PTPA, il Golpe marrone

 





La scorsa notte, dopo aver ingerito forti dosi di peperoni verdi fritti, ho avuto un incubo: anno 2045, Novak Djokovic appena eletto presidente della Serbia per acclamazione popolare, ha invaso militarmente l'Italia. Nobile obiettivo del neo Presidente, è bonificare il Trentino da sacche di nazismo e riportare quei territori alla democrazia. La guerra divampa, inesorabile. In Italia Giancarlo Magalli è al secondo mandato come Premier, dopo aver battuto Fabrizio Corona con un televoto flash. Una vittoria inattesa, malgrado l'endorsement del Re dell'Universo Elon Musk verso l'ex paparazzo. Grandi polemiche interne, ricorsi e l'accusa che Signorini abbia lanciato il televoto quando gran parte dell'elettorato di Corona non poteva più votare, in quanto nei manicomi le tv erano spente. Il governo Magalli ha da poco giurato nelle mani del Presidente della Repubblica Cristiano Malgioglio, ma si trova a dover fronteggiare una guerra sanguinosa. Nel paese vibrano le proteste dei pacifisti, chiedendogli la resa. "Arrendiamoci alla pace!", lo slogan dei manifestanti scesi in piazza. Immediata la convocazione dello Z5, che ha sostituito il G8. Kim Jong-Un, il quasi centenario Trump, l'ologramma di Putin creato con l'intelligenza artificiale, Xi e Orban presidente della Nuova Europa Putina, affrontano la situazione. I rappresentanti del nuovo ordine democratico mondiale chiedono l'immediato cessate il fuoco. Che Magalli ponga fine a questa carneficina, arrendendosi alla pacifica invasione serba. Anche il Papa Michail Santorov I, dalla sua residenza di San Pietroburgo vestito in una elegantissima tunica rossa con falce e martello, invoca pace e disarmo: "Bisogna fermare questo pazzo provocatore di Magalli! Basta con la scusa di farsi invadere per poi fare la guerra! L'Italia è sempre stata Serba! I bambini muorono!". "Per la sete di potere ci porterà alla quinta guerra mondiale!", gli fanno eco i cardinali Vauro e Orsini. Il 102enne Magalli, nuovo baluardo della sinistra riformista ed europeista, non può che accettare la resa offertagli da Trump, che si guadagnerà il Nobel alla pace (tra lui e Putin ogni anno va in scena una lotta simile a quella Messi-Ronaldo per il Pallone d'Oro): l'Italia cadrà in mano serba, tranne la Sicilia che andrà a Trump come ricompensa per il lodevole impegno profuso e la Sardegna a Putin, che gli piace assai il pane carasau.

Ma nel sogno, anche il tennis vive anni di luminosa rinascita. Djokovic, malgrado gli impegni politici, non ha certo smesso di giocare. Anzi, si appresta a chiudere per il ventesimo anno consecutivo al numero uno della PTPA. La nuova organizzazione del tennis, da esso stesso creata, che ha spazzato via Atp e Wta dando nuovo slancio a questo sport in disarmo. Malgrado i 58 anni, Nole si dice intenzionato a vincere il suo 160esimo slam in carriera. Ha ovviamente ottenuto l'assegnazione a tavolino di tutti quelli vinti illecitamente dagli affiliati al criminale "cartello" dell'Atp, un covo di corruzione e malaffare. Si mantiene in forma smagliante restando recluso in un sarcofago a -20 gradi per 16 ore al giorno, ottenendo uno sbalorditivo ringiovanimento cellulare. Al punto di chiedere e ottenre dalla OMS (presieduta da Helmut Mengele, nipote di Josef, e da Krusty il clown) la modifica della sua età biologica, portandola a 19. Nole è assai contento di come si sia evoluto il tennis, finalmente unito dalla PTPA. Pochi impegni, solo quattro slam disputati in Serbia con tabellone a 4: Djokovic, il sempre verde Kyrgios, Tennys Sandgren (riabilitato no vax trumpiano per anni vittima di ostracismo e voci strane che lo volevano un po' più a destra dei nazisti dell'Illinois) e poi una wild card da elargire con sorteggione a un terrapiattista del tik tok. Musk sta programmando anche un Master di fine anno da disputarsi su Marte, e pare che Kim Jong-Un abbia chiesto una wild card, pronto a deliziarci coi suoi slice. Il resto, solo esibizioni itineranti tenute sotto un tendone da circo, ben remunerate dall'arcimiliardario Presidente della PTPA, un trumpiano di ferro che aveva fatto mirabilie col Wrestling. Nole con le sue trascinanti imitazioni e il funambolico Nick con imbuto in testa, dente cariato e un batuffolo nella narice, danno vita a rutilanti doppi contro due volleanti scimpanzè. Mandano in visibilio il pubblico pagante. Non si aspetta altro che il momento clou: quando il serbo si fa cavare le pulci sul testone da uno dei due scimpanzè e Nick si accende una scorreggia con l'accendino. Sono lontanissimi i tempi in cui il tennis era diviso, pieno di corruzione e favoritismi. I tennisti sfruttati e malpagati come operai dell'Italsider. Ora finalmente vige unità, meritocrazia e democrazia di tinanio. Anche tra le donne, non manca lo spettacolo. La talentuosissima Arina Rodionova fa man bassa di titoli slam, spesso fustigando l'unica rivale in tabellone: Nicoletta Kyrgios che altri non è che quel buontempone di Nick in parrucca bionda, vezzosa gonnellina plissettata e conturbante top in pizzo. Qualcuno poi, si chiederà che fine avranno fatto i vecchi tennisti. La scure della democrazia e della PTPA si è abbattuta su di loro, inflessibile. Pene esemplari, commisurate al rapporto che essi avevano avuto col delinquenziale "cartello" dell'Atp/Wta. Si va dal semplice ritiro di titoli e premi, all'arresto, il confino, la reclusione in manicomi, fino alla pena capitale nei casi di complicità più grave col cartello o abuso di vittorie su Nole. Sinner e Alcaraz vivono in esilio, e ogni tanto si vedono in icognito per giocare a Pinckleball. Rune è stato arrestato e rinchiuso in un manicomio navale di Copenaghen dopo che la polizia PTPA l'ha catturato mentre giocava a ping pong con Mats Wilander. In casa hanno rinvenuto anche materiale compromettente, firmato Louis Vuitton, che potrebbe costargli la fucilazione.

Poi mi sono svegliato, ed era solo un sogno sciocco. Come ho potuto sognare che Magalli diventasse premier?




lunedì 17 marzo 2025

Pagellone Indian Wells, Mirra Andreeva a star is born. Jack Draper, forse






Nella Neverland del tennis a Indian Wells, in pieno deserto, va in scena il "Quinto slam". Un appasionante torneo in cui i protagonisti sembrano squilibrati tamburellisti alla rincorsa di palline che rimbalzano altissime sul cemento sabbioso, spostate da refoloni mostruosi di vento desertico. Viva gli Internazionali di Roma, anche se i campi si stanno sgretolando, i tennisti devono pagarsi il biglietto del 492 sbarrato e si cambiano in promiscue baracche arrugginite, non hanno acqua per lavarsi, etc.

Stante l'arcinota assenza del numero uno Sinner (i cui adepti, ululanti come le vedove di Timbuctù, si sono prodigati in riti sciamanici contro tutti i nemici del nostro, e del popolo), qui era di casa Carlos Alcaraz (5). Spagnolo favoritissimo ma, a causa dei feroci riti dei carotas o perché continua impunemente a sfarfalleggiare, cade sulla buccia di banana di Jack Draper. Carlitos è un caso che molti evitano di trattare. Il regresso rispetto al passato a me sembra clamoroso. Fisicamente è lo stesso, la mano e il talento sono sempre formidabili, ma tatticamente non ha portato molto in più rispetto a quando è esploso ancora teenager. Le amnesie mi sembrano aumentate, e l'agonismo miseramente affievolito. A tratti gioca come un Bublik che finge di essere grintoso. Dopo attenta analisi tecnico-tattica-psicologica, sono arrivato alla conclusione che l'adorato cabezon potrebbe essersi imbattuto nel terrificante e disumano mostro che mina sicurezze, indebolisce e devasta tutto ciò che gli capita a tiro, e alla lunga tende ridurti allo stato larvale: la figa. (P.s se una delle lodevoli lottatrici contro il patriarcato leggesse, chiedo venia: era una battuta).

Jack Draper (8). La settimana da Dio di Jack Draper. Il ragazzo bello come un attore di fiction adolescenziali, educato, che ogni mamma vorrebbe dare in sposo alle proprie figlie tossiche, mette in fila Fonseca, Fritz, Shelton, Alcaraz e Rune, infilzati con la sua acuminata lama mancina. A dispetto del proverbiale carisma da barbabietola, il suo tennis d'attacco è sempre godibile e più robusto rispetto al passato. Se sia un bagliore casuale o la nascita di una nuova stella ai livelli più alti, ce lo diranno i prossimi mesi.

Holger Rune (7). Malgrado una mattanza cruenta nella finale con Draper (mai iniziata), può uscire soddisfatto dal torneo, tornando ai livelli che gli competono. Ha talento (meno di Alcaraz), è potente (ma meno di Sinner), è odiato (ma molto meno di Medvedev), però si candida per essere terzo o quarto incomodo. 


Danilo Medvedev 7
. Come si fa a non adorarlo. Sua la cosa più bella del torneo: si gioca l'accesso alla semifinale con il rampante pollo da combattimento Fils (0-). Una battaglia punto a punto, con il russo che prova ad arginare l'impeto dell'iper eccitato pestatore francese. Sopporta le sguaiate esultanze del galletto, le urla ridicole, l'atteggiarsi a gladiatore del Colosseo. Sbadiglia, si gratta il culo. Rintuzza le bordate Arthur come un gattaccio spelacchiato attaccato ai suoi maroni, si gratta il culo di nuovo, annaspa simile a una pertica storta in balia dei mulinelli di vento desertico. Tollera ancora pazientemente altre urla belluine di Fils e quegli inverecondi pugni roteanti sull'errore dell'avversario. San Danilo accetta ghandianamente anche che l'altro chieda (ridendo) un Mto avanti 6-5 al terzo, perché una caccola nel naso gli dà fastidio. Lui non fa un piego. Con lo sguardo perso nel vuoto, cova la sottile vendetta del genio. Non perde la testa, serve quattro bombe e poi nel tiebreak arriva a match point. Nastro fortunato ed esultanza folle mai vista prima, nemmeno dopo aver vinto uno slam: saltella giulivo come un pupazzo di gomma con le molle sotto i tacchi, gli occhi da pazzo e i radi capelli scomposti, in faccia all'insopportabile avversario. Tranne poi ricomporsi in un nano secondo, fare la finta espressione contrita e scusarsi: "Sorry, non dovevo esultare così". L'altro frantuma la racchetta. Artista vero. Clonatelo. Perde in semifinale da Rune, ma sta tornando.





Tra le donne, Mirra, fortissimamente, Mirra Andreeva (9). Dopo l'exploit a Dubai, la ragazzina siberiana conferma a Indian Wells la sua candidatura ad essere numero uno assoluta dei prossimi anni. E lo fa mettendo in riga le due ammorbanti dominatrici di cartapesta degli ultimi anni: robottino Swiatek mandata in tilt con variazioni e angoli, la pachidermica Sabalenka, senza strafare, alternando colpi con saggezza da veterana e aspettando che l'altra sbarellasse come da copione. Sciorina colpi puliti, mai banali o uguali, facendo un decimo di fatica rispetto alla forzuta bielorussa. Ben diretta da Conchita Martinez, la diciassettenne sembra già non avere punti deboli.

Sabalenka (5). Parsa in palla fino alla finale, che è l'essesima esibizione da galleria dell'orrore. Urla disumane da scaricatore di porto coi peli irsuti sulle spalle, roncolate furiose, moine, faccette cretine, smorfie, solite battute da "simpatica per forza" nel post partita. Mandata al manicomio da Mirra, che la sposta senza gru, la cucina a puntino, e la stende. Più che una tigre, un elefante. Non fosse che l'elefante, animale intelligentissimo, avrebbe abbozzato una qualche strategia.

Swiatek (2). Già detto in tempi non sospetti: la polacca è una bomba ad orologeria. Il suo modo ansiogeno, ossessivo e compulsivo, di stare in campo, mi mette a disagio. Fa paura. Perde come spesso succede, in lotta, se trova un'avversaria che non le faccia giocare palle sempre uguali. E fin qui niente di strano. Agghiacciante invece è la sua improvvisa esplosione d'ira, con pallina volontariamente scagliata su un raccattapalle. L'avessero fatto McEnroe o Connors, sarebbero stati squalificati per mesi. L'avesse fatto Moutet: radiato a vita. Qualcuno faccia qualcosa. Ormai è pericolosa per se stessa e per gli altri.




venerdì 7 marzo 2025

Nick Kyrgios, perché?

 





Un ritorno attesissimo dai più grandi feticisti, onanisti, malati mentali del pianeta. Me compreso, ovviamente. Colto da sadica morbosità, ho infatti puntato la sveglia alle 4 di notte per assistere all'esordio di Nick Kyrgios ad Indian Wells. Di questo almeno non dovrò rendere conto al mio psicologo, perché la sveglia ha suonato ma ho continuato a dormire. Le premesse lasciavano presagire già tutto. Immagini di Nick lagrimante, che stringeva il polso malconcio e abbandona l'allenamento. Già, perché ora vorrebbe allenarsi. E allora, una domanda mi è sorta spontanea. Perché Nick? Ad ogni modo, l'avversario sembrava l'ideale attore non protagonista della prevedibilissima scaneggiata austro-napoletana del dolore: Botis Van de Zandschulp. L'uomo più buono del mondo. Uno che gioca anche un bel tennis, con l'agonismo di un raccoglitore di margheritine da campo, e con cui è impossibile litigare o fare polemiche. Che avrebbe abbracciato fraternamente anche Crazy Dani Koellerer intento a spegnergli una sigaretta sulla mano col ghigno mefistofelico. Insomma, l'orange era sparring ideale per il teatro di Kyrgios, prima della scontata vittoria per k.o.tecnico. E così è stato. Per quasi un'ora Kyrgios esprime il suo solito bel tennis insensato. Botte, fulmini e saette, nella più assoluta assenza di costrutto tattico e condizione fisica da torneo di rutti. Tanto veloce di braccio, quanto pigro e impresentabile di gambe. E lì il polso c'entra poco. Anarchia virulenta, condita da smorfie di sofferenza, in un dolente trascinarsi da via crucis. L'olandese imperturbabile, col consueto atteggiamento di chi si trova lì per caso, porta a casa il primo set e scappa nel terzo, mentre l'altro arranca. Fino a dove si spingerà? Vorrà fingere di morire in campo, per amore del tanto detestato tennis? La cosa servirà a qualcuno? Farà piacere, emozionerà il pubblico? Sono scene già viste in Australia, ormai hanno perso anche un barlume di pathos. Sai già come andrà a finire, col australiano che piange inconsolabile sulla seggiola dopo il ritiro. Perché l'ostinazione di tristi, malinconiche passerelle strappalacrime? Perché voler trasformare tutto in patetico, dai dissing social, fino al tennis giocato? Ormai si è capito, purtroppo: il suo polso si è rotto in modo gravissimo e, pur ricostruito, non gli consente più di essere competitivo a buoni livelli. O almeno di farlo senza soffrire. Urge quindi una qualsiasi decisione. Fermarsi fino a quando non sarà a posto. O, ahinoi che amiamo le schegge impazzite, in modo definitivo, riciclandosi come influencer a tempo pieno. Non siamo preparati ad una stagione di melense comparsate come svago dai social. 

E allora torno alla quintessenziale domanda: Perché Nick? Perché accanirsi sul tennis, sul proprio corpo martoriato, sulla sensibilità dello spettatore? È tutto spettacolo, ok. Ma uno spettacolo ormai prevedibile e triste, senza via di uscita. L'unica risposta sensata che mi viene in mente, fa riferimento proprio al suo essere. È la degna conclusione di un personaggio controverso, che ha fatto del paradosso il suo stile di vita. Per indole e, a volte, in modo artificioso. Un decennio da professionista farcito da grandi match e buchi neri, memorabili battaglie coi fab four, alcune addirittura vincenti. Grazie ad un ego smisurato, pur nell'anarchia sconsiderata del suo tennis, o forse anche grazie a quella, era uno dei pochi a saperli impensierire. Però finiva lì. Non avrebbe mai potuto diventare un numero uno. Non aveva la testa da numero uno, la voglia di soffrire ed allenarsi, da numero uno. Odiava il tennis, giocava perché costretto. Fiero e spavaldo, lo ripeteva ad ogni piè sospinto. Amava invece il basket, fosse per lui avrebbe giocato sempre in tenuta Nba. E allora perché invece ora, che il suo fisico non è più in grado di giocare, si ostina a volerlo fare? Non perché ha scoperto di amarlo all'improvviso, folgorato da San Jimmy Connors, ma per l'esatto contrario: lo odia a tal punto da volerlo avvilire in questo modo. Non so se la mia lettura può avere un senso, dovrebbe rispondere un bravo strizzacervelli. Altrimenti tocca rispolverare la storia di quel tale che per una vita intera ha rifiutato di scopare, perché il sesso non gli piaceva. A 80 anni, una volta impotente, si è iscritto a un sito di incontri di sesso e si imbottisce con dosi equine di viagra, accettando di schiattare per infarto.





domenica 2 marzo 2025

Pillole di viagra tennistico settimanale - Mistress Aneke Rune, polli da combattimento ad Acapulco

 





Circo tennistico diviso tra Santiago, Acapulco e Dubai. Tralascerei il torneo cileno, poco più di un challenger, impreziosito dalla inutile presenza del numero due al mondo Alexander Zverev, cui forse avranno anche stracciato l'ingaggio per giusta causa. Un tour sudamericano così inutile non si vedeva da quello dei Mötley Crue nel 2020. Se questa è l'ambizione e lo stato di forma degli inseguitori, Sinner rischia di rimanere numero uno anche senza giocare fino al 2027. Grande spettacolo invece ad Acapulco. Tra tequila, tacos e sombrero, si affrontavano in semifinale Shapovalov e Davidovich Fokina. Match di cartello. Il canadese che sta mettendo la testa a posto e reduce dalla striscia monstre di 8 vittorie di fila (pare vada ripetendo, con lo sguardo allucinato, a chiunque incroci: Djokovic e Federer l'hanno mai fatta una striscia simile? Eh?) opposto al rampante Fokina di inizio anno, tra gladiatorie battaglie in Australia e l'artistico suicidio nella finale di Delray Beach contro un Kecmanovic ormai intento a mettersi lo shampoo sotto la doccia. Una gemma, tra le tante della carriera del biondo iberico. La semifinale si preannuncia quindi epica. I due paiono due polli da combattimento messicani. Tronfi, fieri, impettiti, scossi da un tragico agonismo di carta pesta. Bombarde insensate dello spagnolo, fiammate poderose del canadese, improvvisi colpi di genio, ricami e pallate in tribuna. Break e controbreak che farebbero impallidire anche un match di Itf femminile a Brazeville. Nessuno dei due arretra di un centimetro. Nessuno accetta l'ignominioso epilogo della vittoria. Sia mai. Qualsiasi cosa, ma l'insopportabile onta della vittoria proprio no. Vinco io geometra? no, vinchi lei ragionere. Un po' rimanda alle leggendarie battaglie del passato tra Gasquet e Verdasco. Anzi, qualcuno narra che i due siano gemelli nati da un passionale rapporto contro natura tra Nando e Richard, dopo un torneo di Bordeaux. A differenza dei loro genitori però, questi due non si detestano. Anzi, paiono due compagnoni che si fanno forza autocommiserandosi. Sul 7-6 4-2 Fokina, nemmeno quotavano il proverbiale controbeak, marchio di fabbrica del talento iberico: la Dorando Petri move. Puntuale contro beak, chiunque (da Kecmanovic a un 68enne giocarore di Pickleball con la gotta) avrebbe vinto il secondo e chiuso 6-1 al terzo con una chesterfeld in boccs. Shapo no. Lui è diverso, e cede al tiebrek del secondo. Superfluo aggiungere che in finale Fokina viene bistrattato dal soldatino essenziale Machac. Uno coi gamboni da Lou Ferrigno, che vince quando c'è da vincere.

Torneo d'inquietante noia si annunciava a Dubai, e così è stato. Sublimato da una finale per sromaci forti. Dopo aver assistito a Tsitsipas-Auger Aliassime uno dovrebbe recarsi alle autorità competenti e consegnarsi spontaneamente, perché ormai è capace di tutto. Vince il greco, che si rialza dopo mesi di torpore esistenziale. Presenza del tutto simbolica quella di Djokovic, preso a sberloni a mano piena da Berrettini. Percosso brutalmente. Nessun dramma però, era nei piani. L'obiettivo (ossessione) del serbo è lo slam 25. Complicato Parigi, ogni sforzo e la preparazione predisposta dal suo battaglione di specialisti, sarà rivolta a Wimbledon. Nutrizionisti, medici, paramedici, proctologi, Ris, psicologi, fisioterapisti, assaggiatori anti avvelenamento, anatomopatologi, cavie umane, hanno stilato una tabella di marcia impeccabile. Da quanti nanogrammi di pera lessa con gocce di veleno di rospo e sangue di vipera nicaraguense mangiare ad intervalli di due ore, al numero di passi e respiri da fare al giorno, fino all'ibernazione notturna in una bara appartenuta al barone Wurdalak (citazione colta). Niente sarà lasciato al caso. Immaginate ora Bublik, che prima della finale di un 250 non saprebbe mai rinunciare a un triplo big mac e due litri di birra, e capirete che è un altro sport. Pur continuando a risalire, continua a mancare a Berrettini il definitivo salto di qualità che lo riporti ai livelli pre buco nero (che non è quello della Satta, sia chiaro). A proposito di gossip pruriginoso, il corrierone dedica spazio al quasi stalking di una 19enne cantante sanremese verso il nostro martello. Ora, che io abbia visto il Festival Sanremo e non mi sia accorto della presenza di questa qui, me la fa considerare abbastanza trascurabile. Tiepidi segnali di risveglio di Medvedev. Vince due buone partite, perde da Griekspoor un match già vinto, con 4 match point a favore. Qualcosa si muove però, comprese scenate, urla e frasi sconnesse all'arbitro, tra cui: "Coi russi sempre due pesi e due misure". Frase che pare sia piaciuta molto al neo presidente russo Trump, che potrebbe intervenire presso l'Atp.

In realtà è un'altra la vicenda che mi ha colpito di più durante la settimana. Sempre più uomini si dicono schiavi, feticisti, i più svitati praticano corsi on line di bondage finendo per strozzarsi o finire al policlico come delle trote intrappollate nella rete. Con gli occhi da pazzi su facce da citrulli, se vedono una bella donna per strada, invece del banale e obsoleto "Michia che bel culo c'ha quella", se ne escono con frasi tipo: "mmh...da quella lì mi farei calpestare col tacco 12, cospargere di cera bollente e prendere a sprangate nella nuca". Qualcuno è autenticamente deviato, altri lo fanno per sfuggire alla lapidazione delle femministe che lottano come leonesse contro il patriarcato sublimato dal becero cat calling, la maggior parte per darsi un tono. Vogliono fingersi così potenti, economicamente e intellettualmente, che almeno nel sesso godono facendosi umiliare, per sperimentare la sensazione di inferiorità. In realtà sono solo dei Fantozzi che si fanno prendere a sberle. Perché il preambolo? Perché d'improvviso si prende il proscenio Madame Aneke Rune. Una che incarna alla perfezione l'immagine che ho di Mistress. Sadica padrona con aderente vestito di pelle nera, frustino in mano, sguardo malvagio e tagliente, infierisce sul citrullo schiavo di cui sopra che ulula di dolore. Sale in cattedra col suo tacco 18 sul caso Sinner lanciando frustate a destra e manca col gatto a nove code. E Wada e Itia carponi. Le dichiarazioni che non ti aspetti, ma che denotano intelligenza. Perché da Mistress saggia, sa bene che la buffonata costruita attorno a Sinner, può capitare a chiunque. Anche al suo dolce pargolo Vitus. E gli indignati di oggi, un domani non potrebbero dirsi vittime, ma solo imbecilli patentati. Sferzante, accavalla le gambe algida e sensuale, e denuncia come siano inquietanti e pericolose le attuali norme. Paradossale essere puniti per una contaminazione da 0,0000000001 nanogrammi di sostanza proibita che non farebbe effetto nemmeno su un moscerino rachitico. È preoccupata, Mamma Mistress Aneke, perché una quantità così bassa di sostanza proibita può entrare nel corpo degli atleti in qualsiasi modo. Una bistecca allevata con steroidi, frutta, semplice contatto fisico. Queste norme e la folle gestione del caso Sinner rischiano di gettare nel panico atleti che ormai hanno paura di tutto. Per essere sicuri dovrebbero vivere in una campana di vetro, o andare in giro avvolti da un enorme preservativo. Uno come Marat Safin, oggi, rischierebbe di essere fermato perché positivo a 126 tipi di droga diverse, a causa di contaminazione con le safinettes che lo attendevano in albergo. Bene Aneke, nel mare di idiozie a buon mercaro sparate da molti atleti (spiace che Wawrinka, di solito mai banale, si sia unito al branco dei qualunquisti), una voce razionale, pragmatica, forse solo normale.




martedì 25 febbraio 2025

Mirra Andreeva, un lampo nella Wta morente





Faccio pubblico outing: da qualche anno seguo la Wta con distacco vagamente nauseato. La fine dell'impero Williams ha causato un vuoto di personalità, ancor prima che tecnico, incapace di attrarre il pubblico medio al quale appartengo. Il quadro attuale ne è lo specchio fedele. Si vive la pallida rivalità tra la tigre di Minsk Sabalenka e Iga Ansia Swiatek, senza alcun sussulto. La prima da anni è vittima di paturnie esistenziali e psicodrammi sportivi. Recentemente, per sua stessa ammissione, è svuotata, senza fame. E una tigre senza fame, somiglia a un gattone che fa le fusa. Forse il desiderio di maternità dichiarato qualche mese fa inizia a prevalere su quello di tirare palline. La seconda sembra invece prigioniera di demoni opposti, che producono risultati simili. Appare ogni volta più ossessionata e ossessionante, chiusa nel suo guscio impermeabile al resto del mondo. Una macchinetta tira colpi nascosta da una visiera. Non so quanto c'entrino mental coach e tutta la stramba ciurma-staff al seguito, ma i suoi incontri sono ormai pura angoscia ansiogena. Non c'è niente di umano e coinvolgente, per chi guarda e (temo) nemmeno per lei. Per il resto, Coco Gauff è sempre incapace di fare il salto definitivo, e chissà se mai lo farà mai. Un pietoso velo su Elena Rybakina, che pure avrebbe il talento per vincere altri slam, ma è bloccata dell'arcinota storiaccia col coach Vukov. Roba da indagine Wta, non resta che aspettare e sperare si faccia chiarezza. Per il bene della ragazza, prima umano, poi sportivo. Gli unici barlumi di speranza in questo grigio torpore, restano Ons Jabeur e Karolina Muchova. Due talenti scintillanti che hanno sfiorato il grande successo, prima di ricadere vittime di infortuni e una testa che non segue troppo il talento. Rivederle lottare per la vittoria di uno slam è un miraggio, più che una previsione.

In un simile quadro post apocalittico, la vittoria di Mirra Andreeva nel 1000 di Dubai, è parso un miraggio. La speranza di nuova linfa per l'intero movimento agonizzante. Sorella minore e più forte di Erika, pure top 100 (una vicenda che lascia ricordi di Serena-Venus). La coppia di sorelle più forte in circolazione, più delle coetanee Fruhvirtova e meno glamour delle Kudermetova. Poco mi interessano i record di precocità e altri onanismi numerici che i più si affannano a snocciolare. Nemmeno il talento, che pure c'è, ben evidente. Quello che più mi colpisce di questa ragazzina siberiana non ancora diciottenne, con la fronte prominente e il viso da Giamburrasca, è la maturità da veterana con cui sta in campo. E una personalità da dominatrice. Lo si dice da almeno tre anni, e solo vicende imponderabili potranno impedirlo. Lei e Sinner monopolizzeranno le scene per un decennio almeno, difficile sbagliarsi. Un'altra siberiana da numero uno, dopo Masha. Se dio vuole, opposta in quasi tutto. A Dubai vince, e non lo fa per un colpo di fortuna o tabellone monco: sgretola una dopo l'altra tre vincitrici di slam: Vondrousova, Swiatek e Ribakyna, prima di disinnescare la danesona Tauson in finale. Praticamente il vertice della attuale, smunta, Wta piegata in una settimana. Manca solo Sabalenka, che pure aveva battuto lo scorso anno a Parigi. Ma se neppure la personalità vi interessa, oltre al suo gradevole tennis da contrattaccante, malgrado dica di ispirarsi a Ons Jabeur (quando dorme), non si può non rimanere incantati dalle sue interviste surrealmente naif. Una giovane vecchia. Tra citazioni di LeBron, musica di Micheal Jackson (se non i Queen!), l'idolo Federer, ma anche Nadal post Australian Open '22 (cosa che mi accomuna a lei). E pure Djokovic, altrimenti si offende. Ma la teenager nata nella profonda Siberia di  Krasnojarsk, ha anche un altro idolo sportivo: Diego Armando Maradona. Uno che giocava quando i suoi genitori nemmeno erano nati. A chi le chiedeva, un paio d'anni fa, dei suoi obiettivi, rispondeva con candore e modestia non comuni: Quanti slam ha vinto Djokovic? 22, 23? Beh, io voglio vincerne di più. Non bastasse, c'è poi la perla che la rende piccolo idolo: 'La tattica? - squittisce -, sì con la mia allenatrice (Conchita Martinez) la studiamo nei minimi dettagli, a seconda dell'avversaria. Ma poi in campo non faccio niente di quello che mi ha detto, gioco come mi viene.".



venerdì 21 febbraio 2025

Medjedovic-Tsitsipas, remake del Kolossal Chang-Lendl '89








Capita spesso di imbattersi in scialbi remake. Immagino "Il Padrino" quarant'anni dopo, con alla regia Veronesi invece di Coppola, e al posto di Al Pacino e De Niro due attori come Edoardo Leo e il pur ottimo Stefano Fresi. Non è la stessa cosa, spesso delude, ma lo guardi per curiosità e alla fine risveglia qualche sussulto di piacere. È il caso di Medjedovic-Tsitsipas, rifacimento Netflix del pluri premiato Kolossal Chang-Lendl del lontano 1989. Il giovanotto serbo, pur divertentissimo da vedere e lanciato verso un futuro roseo, non è Chang. Tanto meno il Cristo morente greco Tsitsipas in crisi esistenziale può essere accostato a Ivan Lendl, allora truce tiranno e numero uno al mondo. Figurarsi se il primo turno di un torneo del petrol-tennis tra i cammelli a Doha possa avere lo stesso fascino di un ottavo del Roland Garros, sul centrale parigino. 

Tocca però accontentarsi, e il remake è davvero gustoso. Il rampante serbo, stanco dalla sinfonica settimana marsigliese, se la sta giocando punto a punto sul 5-4 del terzo set, quando prova un folle recupero in spaccata. Più che il suo mentore Djokovic, somiglia a Fantozzi che balza in sella alla bersagliera o un ballerino del Bolshoi lanciato in una spaccata che gli fa perdere la funzionalità dei genitali. È una scena tragica e un po' raccapricciante. Hamad resta a terra ululando di dolore. Poi si trascina sorretto a spalla negli spogliatoi. Pare un match finito. Dove vuole andare quel povero ragazzo che si sarà sfibrato i muscoli della coscia e che ormai parlerà come Mario Giordano? Invece torna in campo. Non corre ma zoppica, si trascina. Però ha un piano ben preciso nel testone: rinunciare per causa di forza maggiore al suo bel tennis d'attacco fatto di servizio, drittoni, trame offensive e un urticante rovescio slice che rimanda a nostalgiche affettate picassesche. Può solo tirare gran bombe da fermo, o la va o la spacca. L'altro resta allibito, pensava di aver già vinto e non sa cosa fare. I suoi due neuroni si interrogano sul da farsi e poi si abbracciano prima di dormire. Sappiamo quanto sia complicato giocare contro un giocatore menomato, ma contro uno letteralmente sciancato, incapace anche di camminare, dovrebbe essere cosa più agevole. E questo non è un furbo, un malato immaginario, faticherebbe anche a salire due gradini. Tsitsipas può angolare i colpi, giocargli una palla corta, anche poco rischiosa, a metà campo, che l'altro nemmeno proverebbe a recuperarla. Ma non ne gioca mezza. Si limita a tirare forte il servizio e a rimetterla di là sperando che l'altro gliela regali per pietà. Ma lo sciancato, da fermo, mette in atto il suo sublime piano: bombarde ad occhi chiusi. Tutte dentro. Tutte vincenti. Spesso sulle righe. L'allocco greco la perde al tiebreak del terzo e la scena finale meriterebbe un qualche Oscar: Hamad, con quella faccia un po' così di chi non crede a cosa ha combinato, quell'aria malandrina di chi l'ha fatta gossa, si avvicina a rete trascinandosi come un malato al santuario della madonna di Lourdes. Biascica pure qualche scusa. Si aspetterebbe che l'altro lo abbracciasse, al limite gli chiedesse come sta o se ha bisogno di aiuto per arrivare alla sedia. Invece Tsitsipas gli regala uno sguardo intriso d'odio e il solito handshake da tennis femminile quando una delle due protagoniste è indispettita assai. Tipo Ostapenko o una bizzosa Sharapova d'annata. Meraviglia.

Questo incontro mi ha riportato alla mente il famigerato Chang-Lendl in Paris. Ieri ho cercato in rete qualche video di quel confronto epico. C'è tutto il match col commento francese. Poi trovo anche un vecchio filmato (purtroppo incompleto) della telecronaca Tommasi-Clerici, che è un piccolo capolavoro di letteratura sportiva. Un drammatico romanzo con venature di ironia surreale e finale a sorpresa. Non si riesce nemmeno a vedere la pallina, ma pazienza. (P.s. se qualche lettore è in possesso o sa dove trovare vecchie telecronache del meraviglioso duo, mi contatti e mi farà felice). Ad ogni modo, mi torna alla mente il giorno in cui vidi l'incontro in diretta. Frequentavo la prima media, e quel giorno non ero andato a scuola. Ogni tanto mia madre me lo consentiva. Anzi, ne era contenta. Al punto che alle superiori ebbi il trauma di non poter bigiare di nascosto come tutti gli altri. Non eravamo una famiglia tanto normale. Mia sorella maggiore invece studiava per l'esame di terza media e ripeteva cose insensate ad alta voce. Insieme assistemmo a quella drammatica, teatrale, battaglia commentata da Bisteccone Galeazzi sulla Rai (Capodistria non aveva un gran segnale). Ivan Lendl era il dominatore assoluto delle scene. In lui vedevo riassunte tutte le sfumatute del male. La bruttezza macchinosa del suo tennis robotico che aveva spazzato via l'estro di McEnroe, e un carattere da algido despota. Normale per noi ragazzi tifare per l'outsider, specie se questi è un bimbo cinese naturalizzato americano di diciassette anni. Un vero fenomeno di corsa e sapienza tattica che recupera due set di svantaggio e si gioca il quinto set col numero uno ceco, naturalizzato americano anche lui. Michael Chang è lanciato verso l'impresa quando si blocca, inizia a flettere le corte gambette con la faccia impassibile appena scalfita da un dolore che sarà lancinante: crampi. È la fine, destinato ad essere sbranato dal robot, se non deciderà di ritirarsi. E invece è lì che nasce la magia. Michelino pensa al da farsi. I pensieri si accavallano nel suo testone abnorme, mentre sugli spalti il cuore di mamma segue in apprensione gli eventi. Per prima cosa, ha la lucidità di mangiarsi una banana, poi due. Resistere fino quando il potassio non entrerà in circolo contrastando i crampi. Beve come un cammello, prende tempo, accetta scientemente un warning per aver superato i trenta secondi. Finge pure di contestare un punto. In lui c'è tutta la saggezza orientale di un giovane vecchio di diciassette anni. Lendl è incredulo, indispettito, poi furioso fino alla pazzia. Come si permette questo giovane gnomo di non arrendersi inchinandosi al re? Lui che tra un servizio e l'altro era solito dilungarsi nell'orrorifico rituale (tirarsi le sopracciglia con inspiegabile rabbia, segatura al manico, polsino tergisudore passato sul volto spigoloso, movimento a raddrizzare la racchetta come fosse un battipanni e smascellata prima del lancio della pallina), ora si affretta per dare poco tempo all'altro di recuperare. Ma l'esito è che va in confusione lui. L'altro tira il servizio senza nemmeno riuscire a sollevare i piedi e poi dà sfoggio a tutta la sua diabolica arte di arrangiarsi e pazienza orientale. È un satanasso con gli occhi a fessura. Rallenta, alterna lobboni sui quali Lendl non sa che fare a colpi a metà campo per chiamare l'altro a rete, corse disperate con strazianti rantoli di dolore, persino vincenti improvvisi (non proprio il suo pane). Lendl ha la faccia dello sgomento. Il numero uno irriso da un diciassettenne ragazzino zoppo. A un certo punto perde anche la lucidità e si ferma protestare, mentre il volpino cinese ne approfitta per riposare e andare ad abbeverarsi. Lendl dovrebbe giocare palle corte, ma non ne è molto capace, sottolinea Clerici. E poi sarebbe anche un rischio doppio, gli risponde Tommasi: rischiosa la palla corta, rischioso anche l'eventuale passante. Fatto sta che non fa nulla, risponde con dei pallonetti a quelli di Chang, aspetta l'errore dell'altro, finendo per sbagliare lui. Il pubblico in visibilio che sostiene l'infermo cinesino all'impresa è la cornice perfetta per farlo impazzire ancora di più, come non bastassero quelle diavolerie cinesi. Con l'ultima, geniale, trovata del servizio da sotto (quando all'epoca non era ancora la sboronata trash odierna), prima del meritato trionfo. Ciliegina sulla torta di una delle più grandi imprese "che mi sia dato di vedere" (cit.).




sabato 15 febbraio 2025

JANNIK SINNER SQUALIFICATO PER TRE MESI







BRAKING NEWS: Un fulmine a ciel sereno, mentre mi trovo impelagato nella preparazione di una sontuosa pasta e cime di rape e mentalmente preso dalla kermesse sanremese. Tutto intento al riascolto a mente lucida delle canzoni del 75esimo Festival, arriva infatti la news clamorosa, "notizia di emergenza, agite con urgenza": Accordo tra Jannik Sinner e la Wada per una squalifica di tre mesi. Lo rivedremo a inizio maggio, pronto per gli Internazionali d'Italia. Allora, la questione è complessa e delicata per ridurla a due ciance scritte tanto per. Mai vorrei mischiarmi alle due ortodosse schiere demenziali, colpevolisti-innocentisti. Da un lato i torquemada, forcaioli con bava alla bocca in piena trance da Grillo prime con venature travagliesche. Quasi tutti spagnoli, serbi, anti-Sinner sparsi, e uno svitato tiktoker australiano. Dall'altra gli innocentisti, qualche sventurato che si è preso la briga di leggere (qualcuno ancora ci riesce) gli atti e carota boys che, per tutta risposta, stanno raccogliendo le firme per una immediata beatificazione dell'eroe altoatesino senza macchia. Interrogato, Papa Bergoglio ha risposto un po' infastidito: "Chi è questo, un altro frocio? Devo chiedere a Fazio, altrimenti levatevi dalle balle." Prima del solito appello agli ucraini ad arrendersi alla pace. Bando alle quisquilie, mai cadrò nella tentazione di dare una risposta semplicistica ad un affare così complesso. Quindi, senza alcun indugio dirò chiaramente:

Mah. Boh.

La storia è talmente semplice e lineare da creare una mostruosità illogica e un cortocircuito no sense. Come seguace postumo della corrente democristiana di Mariano Rumor, vi invito però a una riflessione priva di sciocchi estremismi. Inutile arrovellarsi, protestate, incazzarsi. Basta analizzare i fatti, la nuda cronaca, diceva quello. Sinner era stato assolto dalla ITIA (International Tennis Integrity Agency) per la positività al Clostebol con una quantità tale da rendere una formica parecchio muscolosa, causata dalla contaminazione di una pomata usata dal suo massaggiatore. La WADA (Agenzia Mondiale Antidoping) pur riconoscendo la non assunzione volontaria del tennista italiano, per dimostrare al mondo che esiste, ha fatto ricorso minacciando condanna da 1 a 2 anni per responsabilità oggettiva. La storia quindi era ben chiara. Il resto lo ha fatto un mero calcolo di opportunità. Fatti due conti, l'entourage dell'italiano ha voluto chiudere questa vicenda estenuante patteggiando una squalifica mininima. Scelta razionale che se da un lato riduce al minimo la perdita di punti e non intacca la partecipazione ai due prossimi slam, dall'altro macchierà la carriera dell'incolpevole (lo dicono entrambi gli organi, con buona pace dei Kyrgios) tennista azzurro di una squalifica per doping. La soluzione soddisfa anche la smania politic-esibizionista della Wada che "si accontenta" di una squalifica lieve, tre mesi. Tutti contenti. Forse un po' meno Sinner che sa di essere innocente, ma che si ritrova squalificato per non essersi dopato. Una mostruosità senza senso, che invece continuerà a non soddisfare i forcaioli che vorrebbero l'italiano novello Ben Johnson ai ceppi, e nemmeno i tifosi dell'italiano.

Detto ciò, tra soddisfatti e scontenti, torno ad occuparmi di cose più serie della Wada: mancano poche ore alla finale di Sanremo e cresce a vista d'occhio la tensione. Anche se con l'occhio destro, e fingendo come Abatantuono con la Sandrelli, darò un'occhiata al Circo Medrano Milan. Forse domani completerò la riflessione con un pagellone sanremese da far invidia ad Assante (rip)-Castaldo. Chi vincerà? Gli inutili gorgeggi di Giorgia con una canzonetta da nulla partono tragicamente in pole, ma di solito chi entra Papa esce Cardinale. Magari. Potrebbe essere superata sul traguardo da Achille Lauro che dopo le (credibilissime) parentesi Sid Vicius e Bowie quest'anno sembra calato nella parte di Toto Cutugno (occhio al secondo posto allora). A buona quota, era a 6,50 due giorni fa, lo proverei. Qualche chance anche per Cristicchi che, essendo io un insensibile senza cuore (o il contrario, vale tutto), mi rifiuto di ascoltare oltre trenta secondi. Outsider il nuovo Faber culturista Olly, o Lucio Corsi che mi piacicchia per il suo essere normalmente naif in un mare di finti eccentrici. Ovviamente la mia attenzione sarà tutta per la rutilante gara della gnocca (apprezzabile lo sforzo di Carlo Conti nel regalarci una "quota gnocca" consistente) tra Elodie, Rose Villain e Clara, con possibili inserimenti di due o tre outsider emergenti.

"Mettete un like e fatemi sapere nei commenti se siete contenti della questione Sinner e la vostra classifica della gnocca sanremese".



lunedì 10 febbraio 2025

L'ETERNO RITORNO DI SHAPOVALOV, BOLLICINE BELLUCCI

 





Ci son cascato di nuovo, cantava il David Bowie italiano Achille Lauro (questa solo per i dipendenti dal veleno allucinogeno di rospo del deserto). Quando meno te lo aspetti e ormai lo consideri solo il vacuo sogno di una notte annebbiata, eccolo lì che si ripropone come una peperonata. Fiammeggiante e dirompente. Impetuoso tornado estivo a Febbraio. Saette mancine, assalti dissennati, parabole meravigliose e irrazionali, sciagurati errori, frizzi, lazzi e bombe trik e trak che scoppiano in mano. C'è tutto il Dennis Shapovalov show in questo ritorno a Dallas. Devasta tutto ciò che gli capita a tiro, il tornado canadese. Tempo fa gli diedi il nomignolo "Tornado biondo", ma mi fecero notare che somigliava al nome di una pornostar anni '90, quindi l'ho cestinato. Ad ogni modo, non ho seguito i primi giorni dell'Atp texano, aspettandomi poco più che una tediosa lotta fra yankee locali affamati di punti. Invece, giorno dopo giorno, la sagoma del canadese si è fatta più minacciosa. Fino a raggiungere una finale che ha del miracoloso per chi come me, innamorato più volte tradito, ormai lo considerava una causa persa o dispersa chissà dove. E forse lo è ancora, ma pazienza. Brutalizzati in serie: Fritz, Machac, Paul. Ed in finale Casper Ruud. Il paradosso di un tennista che di razionale non ha nulla, è che li batte dando la sensazione di maestosa superiorità, malgrado i risultati e la costanza in classifica degli avversari, lui se la sogni. Li mette al tappeto senza nemmeno essere costretto a lotte cruente. Vedo solo qualche fase dei primi turni, mentre mi gusto dal primo quindici la finale con Casper Ruud. Uno che, per intelligenza, lavoro e qualche fluido paranormale del Divino Otelma, è numero 5 al mondo (è stato numero 2 e ha fatto due finali slam). L'eterno confronto tra la formica operaia e la cicala dissipatrice di talento. Stavolta la cicala non solo non schiatta, ma colpisce fino alla fine senza paura. Primo set equilibrato, col canadese che esprime sempre un tennis d'attacco sul filo del rasoio, tra abominio e meraviglia. Forse solo più accorto nelle scelte tattiche e più paziente ma, deo gratias, resta sempre lui: ace al centro o parabole mancine a uscire, smorzate d'autore, volée che lasciano sempre quel decimo di secondo di terrore: sgozzerà malamente la pallina in rete o la accarezzerà docilmente? In questa settimana l'ispirazione era quella giusta. Finisce per vincere il primo e dilagare nel secondo set in un rutilare di dritti vincenti e quel rovescio a tutto braccio, croce e delizia, rischiosissimo ma bellissimo da vedere: riguardo un replay e sembra in sospensione, con le braccia che quasi si congiungono dietro le spalle: l'airone che si libra in un volo elegante o si schianta contro la roccia. Si prodiga anche in una volée di rovescio in tuffo adagiata meravigliosamente dall'altra parte, per stroncare ogni velleità di rientro del danese. Tornando alla frase iniziale, il pericolo di ricascarci c'è tutto, ma non bisogna essere deboli. L'esperienza mi ha portato a capire che il segreto del vivere bene e a lungo è non avere aspettative. Figuriamoci da Shapovalov. Più facile che uno slam lo vinca Ruud o Fritz, gente che sa fare poche cose con costanza, piuttosto che uno come lui che, pur dotato di un notevole arsenale, spesso finisce per non fare le scelte giuste al momento giusto. Non è un genio, non sarà mai Federer o McEnroe, ma in questi tempi di abbrutimento creativo, mi accontenterei di vedere questi lampi di genialità isolata a livello di top ten. O nelle fasi conclusive degli slam, per mettere del pepe a match troppo spesso monotoni. Se poi Tipsarevic riuscirà nella titanica impresa di farne un tennista consistente e regolare, senza snaturarne la proverbiale indole istintiva, toccherà fargli una statua nel centro di Belgrado. 

L'airone canadese ha rubato un po' di spazio all'altro eroe per caso della settimana: Mattia Bellucci. Il suo exploit (semifinale) a Rotterdam, ha fatto molto rumore nella stampa mainstream ormai avvezza a trattare di tennis. Spesso non sapendone nulla. Perché il suo è un non exploit, e battere due cadaveri tennistici come Medvedev e Tsitsipas non vuol dire quasi nulla. Sicuramente non più di quanto già si era visto nei match del nostro contro Tiafoe e Fritz s Parigi e Londra o nei challenger di fine anno. Medvedev e Tsitsipas oggi esprimono un tennis a stento da primi 50, quindi tennisti che Bellucci ha le qualità per poterli battere. Oltre che il carattere. Bravo a sfruttare l'occasione, ma più che il risultato in sè celebrato dai Tg, colpisce il modo di giocare di questo ragazzo. Libero e scanzonato. Fisico tarchiato, collo incassato, codino e bandana vintage, da lontano sembra di vedere Dolgopolov. Ma la somiglianza è solo fisica. Pur talentuoso, l'italiano è lontano anni luce dal fulminante talento del soldato ucraino, contrario ad ogni legge balistica. Bellucci è un fantastico mancino dal tennis brioso, frizzante come uno spumantino italiano. Bel servizio, velenose traiettorie mancine, ottimo rovescio piatto, funambolismi a go go, volèe, smorzate, strettini e back senza soluzione di continuità. A un certo punto gli vedo fare una cosa che non notavo dai tempi di Stich: Smash a rimbalzo non definitivo, ma piazzato intelligentemente. Una specie di servizio velenoso, con cui prende la rete e fa punto agilmente di volée. Annichilisce i disorientati Medvedev e Tsitsipas con un tennis istrionico. Quasi un inno al divertimento circense. Diverte chi guarda e si diverte anche lui: servizi da sotto e tweener a campo aperto, solo per il gusto di farlo. Un po' come George Best che a porta vuota invece di calciare si stende e segna di testa. Difficile che con un gioco simile possa ambire a grandi risultati, lui che pure da ragazzino batteva Sinner. Riuscisse a entrare nelle 32 tds slam e sollazzarci spesso in questo modo, sarebbe grasso che cola. Dopo il braccio di titanio diamatato Sinner, il braccio d'acciaio Berrettini e il braccio d'oro Musetti, non sarebbe male il braccio con le bollicine Bellucci.




Dissi io stesso, una volta, commentando una volè di McEnroe: "Se fossi un po' più gay, da una carezza simile mi farei sedurre". Simile affermazione non giovò certo alla mia fama di sciupafemmine, ma pare ovvio che mai avrei reagito con simile paradosso a un dirittaccio di Borg o di Lendl. Gianni Clerici.