(Scusandomi in anticipo con i vecchi lettori - ne sarà rimasto qualcuno o siete tutti morti? - per le divagazioni e la lungaggine terrificante di questo quasi romanzo testamentario)
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Ho quarantatre anni e il dono di non ricordare ormai quasi più nulla. Talvolta di notte urlo "l'orrooooreeee!" come Boris Yelnikoff, addormentandimi col terrore di morire senza aver visto qualcosa di epocale. Un quadro che sfugge abilmente al disegno di un pennello incerto, nuvolaglia rossastra che come vascello suicida si staglia sui ghiacciai magicamente dissolti di Capo Horn prima che un subumano maniaco sessuale riesca a postarne lo scatto su Instagram. O gabbiani storditi volteggiare nel violento libeccio, lasciandosi trasportare come velieri inermi, prima di gettarsi in picchiata su un fetido mucchio d'immondizia. E poi le stelle, l'amore. "Non eri tu che volevi tatuarti 'se inizierò a parlare di amore e stelle, vi prego: abbattetemi'?" sento squillare dalle serre. E che ne so. Sai, non ricordo. Per espiare la colpa, guardo Mentana. È da
326 ore in diretta tv attorniato da un manipolo di sventurati figuranti con occhi cerchiati che paiono usciti da un centro di recupero per onanisti compulsivi con degenerate devianze autoflagellanti. E parlano tutti concitati, ridono di nulla con espressioni assenti, dissertano del niente che avvolge una frivolezza da poco come l'elezione del Presidente della Repubblica italiana. Si lanciano in mirabilie elucubranti con la stessa enfasi di una nomination al GF tra Pappalardo e Pasquale Laricchia. D'un tratto la chiamata perentoria del capocomico Grillo che ordina al servile conducente di riferire cose. Quello, tutto elettrizzato e sbavante, le riporta ossequioso all'inebetito spettatore. L'entusiasmo straripa. Gonfiano il petto appena, sul calar delle tenebre, arriva la zampata dei tre fuoriclasse aspiranti golpisti da scollacciata commediola sexy in salsa italico moscovita (Il trucido da osteria, l'avvocaticchio pettineuse pour Femme over 50 - Scanzi, Bersani&Travaglio -, e la piccola Chucky balilla daha Ggarbatellah): Belloni Mazzanti Viendalmare Presidenta! Ed è tutto un fiorire di "Ah ma che bella scelta...un profilo altissimo...eh, una donna al Colle...che bello-che bello-che svolta! E soprattutto una donna! Ma mica per seguire un genere tanto di moda (?!)...il capo dei servizi segreti Presidente! Non solo, presidentA! Era-ora! Mattarella bis invece sarebbe una dittatura, lasciatemelo dire...". Celebrano l'audace colpo dei soliti idioti come uno strabiliante passo avanti per l'Italia. Dritti nel burrone. Evviva. Bisogna solo sperare che l'Italia e l'Europa siano salvate da un quasi novantenne ex despota puttaniere ricoverato al San Raffaele, dal ministro bibitaro (solo perché terrorizzato all'idea di dover traslocare dalla Farnesina e tornare a vendere 7up al San Paolo) e dal rompicazzo di Rignano coi genitori in galera con l'imputazione penalmente più grave di tutte: aver messo al mondo uno che (ognissantissimavolta) mette i bastoni tra le ruote ai cretini. E li fa schiumare rabbia. Tutti: politici, giornalisti, fuochisti, carpentieri.
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Temo d'essermi allontanato inesorabilmente dalle pur nobili intenzioni che mi hanno portato a scrivere questa roba qui. Ma quella vocina insiste: "Adesso speri nel nano di Arcore padre della patria? dopo tutto quello che gli hai detto?". Resto basito. Non ricordo di aver mai imputato a Silvio scelte politiche scellerate. L'unica che mi sovviene, aver venduto Shevchenko, è ormai acqua passata. Ma, lo sapete, e sono pronto a portare le carte ad un ipotetico processo di Norimberga, ho sempre quarantatrè anni e godo del Dono: non ricordo quasi nulla. Ma anche ricordassi qualcosa, siccome solo gli stupidi non cambiano idea, essendo io di trecentosei volte più intelligente di Gesù (lo ripeteva sempre il mio amico Mimino il pazzo, morto in manicomio), faccio il cazzo che mi pare. Mentre il ragù borbotta svogliato all'ora di pranzo di una domenica qualsiasi, mi ritrovo a tifare per l'immenso, intramontabile, Rafa Nadal. Solo echi scomposti della mia (non ancora rassegnata) compagna, a ricordarmeli: ma non lo detestavi? E l'arrotino? L'antitennis? Il forse chi-lo sa-mah-dopato di Manacor? "Zitta donna, e vai a preparare il pranzo in cucina", le dico mentre in mutande (talvolta levandole e roteandole al cielo per emulare le esultanti braccia nerborute dell'idolo iberico) mi trovo a tifare per il gladiatore dai bicipiti gonfi di gloria. Via, sciò, altro che presidentA della Repubblica, in cucina dovete stare - le dico, sempre più in preda a raptus di "misoginia istituzionale" -. Lei scuote la testa, armeggia col telefono, forse chiama il medico per riferirgli l'aggravamento improvviso delle mie condizioni: "Prima il nano di Arcore, adesso pure Nadal...che faccio? Sarà mica colpa della terza dose? Ho paura...". Ma Rafa è lì, si smutanda sbuffante, frenetico e inquieto come nei tempi di gloria, milioni di bulbi piliferi fa. Preda di mille tic vibranti, sembra però non trovare via di uscita contro Daniil Medvedev, di dieci anni tondi più giovane. Perso il secondo in modo rocambolesco, tutto sembra perso: il russo spiritato spara bordate più ignoranti dell'Azzolina, volando verso un altro scalpo formidabile. Come dimenticare l'esecuzione di Novak Djokovic nell'ululante New York che sognava il grande Slam? Una devastazione senza pietà che gli ha fatto guadagnare un posto nel mio cuore d'inguaribile romantico. Il pubblico di Melbourne, forse vinto dal mio stesso morbo delirante da terza dose, spinge il toro ferito all'ultimo sforzo. E Rafito accoglie l'invito salvandosi dal baratro dello 0-40 sul 2-3 nel terzo set. Lo vogliono morto? Strillo, preoccupato. Cioè, sono davvero dei fottuti sadici nazisti questi aussie. Vogliono morto Medvedev, ma vogliono una cruenta fine anche per Nadal, perché, diciamocelo, solo spirando in campo il nostro eroe senza macchia potrà arrivare al quinto set. Ragliano contro Medvedev in modo sguaiato. Urla, buuu, fischi, pernacchie e ogni sorta di belluino dissenso. Al confronto i ritmati "de-vi mo-ri-re" del Foro agli avversari degli italiani, vincerebbero il premio fair play. Una cosa mai vista, indegna. Cosa avrà fatto di male l'allampanato ragazzo russo per meritarsi l'esplodere di tanta rabbia repressa? Sta demolendo a suon di bestiali roncole ciò che resta di una generazione irripetibile. Certo, ha un carattere complesso, sembra pazzo autentico, un giovinastro di una maleducazione scollacciata. Talmente antipatico che non si può non adorare alla follia. Un fuscello di due metri che a vederlo per strada temi venga spazzato via da un lieve brezza primaverile, ma che sul rettangolo scocca bordate spaventose, fiammeggianti missili dritto per dritto che bucano il campo. Sempre con quello sguardo un po' così da serial killer mancato su un volto da romanzo russo ottocentesco, coi capelli radi e non volto emaciato sotto una barbetta caprina. Bomba su bomba, alla faccia del pubblico, si trova due set avanti. Contro un avversarsio che va per i trentasei anni, stordito e alle corde, pecca d'ingenuità. È un gattone gigione che giochicchia col topo tramortito, beandosi della splendida cattura. Pensa di aver già vinto. Inizia a insultare (a pienissima ragione) il pubblico insultante, talmente squallido da infastidire lo stesso Nadal. Inevitabilmente si distrae, mentre l'altro col testone basso non ne vuole sapere di bandiere bianche: arpiona pallate fumanti, contrattacca, ci crede, disposto al martirio, alla tumulazione in campo piuttosto che arrendersi. È fatto così, il diavolaccio, ed è per questo che lo adoro da sempre. Come? Ah, ho sempre 43 anni e il dono...Prendo una pillola a caso. Il match non è straordinario, ma avvincente per il contrasto generazionale, di stili, caratteri. E poi c'è nell'aria un'elettrica atmosfera da leggenda, sia che allo spagnolo riesca l'impresa, sia che si arrenda alla maniera degli impavidi eroi. Rafa arpiona il terzo set e vola anche nel quarto, mentre l'altro va in tilt, discute con pubblico, arbitro, i fantasmi di se stesso imploranti un tso.
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Una neomelodica vocina nel cervello mi ripete, demenziale: va bene amico mio, impresa o no, resterebbe una vittoria zoppa, senza il numero uno in gara. Se solo la Gestapo australiana non l'avesse fatto prigioniero e respinto, Djokovic questi due se li sarebbe mangiati a colazione (vegana). Senza voler entrare più di tanto nella penosa vicenda (sub)umana, vale la banale ma sempre verde teoria del "chi è assente ha sempre torto". Specie se sei assente non per infortunio, ma per tua volontà. Una libera scelta di non vaccinarsi. Demenziale, ma sempre libera. E, soprattutto e peggio di tutto, aver provato ad aggirare l'obbligo inanellando una caterva di bugie che manco John Belushi in The Blues Brothers. Il resto, l'essersi reso messianica fonte d'ispirazione del manipolo di imbecilli no-vax, il teatrino dei genitori con lumini, foto e altarini del figlio simil prigioniero politico dell'Isis, rientrano nel quadro umano dei personaggio, su cui i molti estastimatori della sua grondante simpatia forse avranno aperto gli occhi.
Tornando alle vicende sportive, difficile stabilire dove inizino le colpe del russo per non aver matato il toro, o i meriti del toro che non si fa ammazzare nemmeno con due pugnalate al cuore, ma si assiste ad un altro match. Dio solo sa dove trovi le energie dopo oltre quattro ore di battaglia cruenta, ma Nadal vola anche nel quarto set e porta la finale al quinto. Tutto riaperto, un incrocio affascinante, emozionante per tutti i suoi risvolti tecnici, umani e psicologici. Dopo trent'anni di tennis visto e giocato (male), lo capirebbero anche i muri: per vincere occorre essere completamente idioti o straordinariamente intelligenti. E quei due, laffuori, che tra agli strepiti scomposti del pubblico si stanno scannando, ne sono l'emblema lampante. Uno non ha nulla nel cranio a forma d'uovo, al limite una scorza di lupino restata lì a fluttuare tra i neuroni che danzano sincopati. Tira una seconda più forte della prima sul break point che vale la partita, o sul set point, meglio ancora se lo fa sul match point. L'altro, stante una resistenza fisica umanamente inspiegabile, ha un cuore di agonista che peserà quei sei/sette chili e intelligenza superiore. Lo vedi ancora più chiaramente a inizio del quinto. Ha progressivamente cambiato modo di giocare. Capito che il suo fisico non può più sopportare i tremendi sforzi arrotomani difensivi del Rafa che fu, si è reinventato tuttocampista. Attacca, spinge, si avventa a rete, accorcia gli scambi. E lo fa anche bene. Certo non sarà Edberg, ma a volte a rete basta mettere la racchetta, arrivarci col giusto tempismo. Il resto, i gesti bianchi, le pennellate volleanti, scordatevele. Restano onanistico feticcio di dannunziani falliti senza costole (una me la sono tolta lo scorso anno, senza anestesia).
Vincerà il giovin bombarolo dall'intelligenza tennistica di un lombrico, o l'attempato seminvalido, trasformatosi da arrotinarrapatomane in prode tuttocampista?
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Ah quasi dimenticavo il finale del tragicomico tentativo di golpe italomoscovita. Fallito nella notte, anche perché quei tre non sarebbero buoni nemmeno a rovesciare il consiglio comunale di Zagarolo. Alla maratona Mentana l'eccitazione ha lasciato il campo a una sonnolenta, mesta, rassegnazione da hangover. Fanno le pagelle: non si può dare la sufficienza a Salvini, bisogna dirlo (!), eh, hm, bah, forse qualcosa ha sbagliato anche Conte, eh. Ha vinto Letta che però ancora si fida di Conte e (questo lo aggiungo io) messo in campo la solita strategia vincente del PD: la mucca che guarda il treno che si sta schiantando sperando che qualche pazzo lo salvi.
Sulla Rod Laver Arena invece, un vamos via l'altro (mai banali, eh) Rafa balza in testa nel quinto, mentre Danil seguita la sua personale battaglia contro tutto e tutti. Se la prende anche col massaggiatore reo di non massaggiargli bene le cosce dolenti. Che spettacolo. Perché sì, nel quinto set quello provato è il venticinquenne, mentre lo spagnolo dieci anni più vecchio salta come un grillo artritico e rotea i pugni al cielo. È un caso da studiare, mistero della natura, questo eroe venuto fuori da un trattato medico sulle battaglie dell'antica Grecia. Rafa sistema con cura le bottigliette, è stravolto anche lui. Ma da questo lui trova linfa vitale. Dimostra cinquant'anni. Il volto quasi livido, tumefatto, come Marvin "The Marvelous" Hagler alla dodicesima ripresa contro la bestia Mugabi. Ha perso quasi tutti i capelli, cerotti ovunque a ricordarci ferite passate e recenti. Un fisico strepitoso che negli anni, pur di arginare il Dio Immacolato e Celeste Federer e il geco serbo, lo ha spinto a lesionarsi tendini e lacerarsi muscoli. L'ultimo, l'anno scorso sembrava aver detto la parola fine. Ora si gioca il quinto set della finale degli Australian Open, mulinellando colpi a testa bassa, escogitando nuove soluzioni. Alzi la mano chi pensava che potesse continuare a pieni giri dopo i trent'anni. Invece è ancora lì a scarnificarsi quel che resta, a quasi trentasei, pur di agguantare quel fatidico Major ventuno da goat temporaneo. Guardando il quinto set appollaiato in balcone col gatto sulle gambe, provo a spiegarmi l'inspiegabile ed ho il lampo: è come quegli artisti pazzi avanguardisti che, per aprire la mente a nuove mirabolanti percezioni, si facevano piantare un chiodo incandescente nello scroto. Anzi no, lui non è cosa da squilibrati artisti fatti di lsd: Rafael Nadal da Manacor è un arrapatomane sodomasochista. Sì eccitta soffrendo. Più i muscoli gli fanno male, più si arrapa e arrota un maglio arroventato. Più forte è il dolore, maggiore il godimento. Spara un dritto vincente e urla di piacere in preda all'orgasmo. Al cambio campo, mentre si appresta a servire per il match, temo possa gettarsi addosso della cera incandescente ululando di piacere. Oppure ordinare al basito raccattapalle di frustarlo con un gatto a nove code prima di servire. Potrebbe addirittura chiedere che la sua parte di campo sia ricoperta da carboni ardenti o, nel caso il regolamento lo consenta, di chiodi arrugginiti, vetri, acido muriatico. L'altro invece, ha gli occhi svegli e accesi, persi nel vuoto. Si ripeterà a memoria la tattica da usare per il contro break: debbo tirare quattro bordate fortissime sulla riga. Che ci vuole? Smorfia di dolore, risolino inespressivo da pazzo, prima di schiaffeggiare stizzito la mano del massaggiatore. Nadal 30-0, si capotta a due punti dalla vittoria. Eccolo, l'ennesimo coupe de théâtre di una finale folle, maratona-senza-Mentana sul punto di subire l'ennesimo cambio d'inerzia. A 36 anni, migliaia di acciacchi, centinaia di infortuni invalidanti alle spalle, una fatica tripla rispetto all'avversario nel costruirsi il punto e nemmeno più l'adrenalinica inerzia da remuntada che ti fa svanire ogni dolore e stanchezza. Anzi, sul 5-5, 99 tennisti su 100 cederebbero di schianto. Una mazzata capace di abbatterebbe un toro, non il toro di Manacor che gettandosi addosso un po' di cera incandescente finisce per chiuderla lui, 7-5 al quinto. Dopo non si sa bene quante ore di battaglia rusticana e qualche record battuto qui e là.
A freddo, scambio impressioni in messaggistica con un vecchio amico di università prima, di circolo poi. "Non ci credo che ti sei ridotto a tifare quello lì". Poi la fiammata che, avendo tra gli altri difetti l'essere interista, gli fa citare Peppino Prisco: "Non è che vuoi morire nadaliano, così poi sono uno di meno?". Tiè. Almeno voglio arrivare a vedere Federer vincere a Parigi, a 41anni. Ibra sollevare la Champions alla stessa età dopo aver segnato in rovesciata al 118' della finale contro il PSG di quello lì, che ora piange. Poi, se riesco, spingermi a Wimbledon, ove un rientrante Petzschner che in stampelle impallinerà tutti a suon di slice che baciano le righe e solleverà la gonna della duchessa di Kent mentre gli consegna la coppa. Poi, perché no, un Murray con anca bionica trionfante nella finale di Flushing Meadows sul 63enne McEnroe, squalificato per atti osceni mentre era avanti 4-2 al quinto.